Autore: Alessandro Sacchi

nato ad Alessandria classe 1937 laureato in scienze bibliche

Tempo Ordinario B – 03. Domenica

Chiamati per il regno di Dio

Il tema del vangelo di questa domenica è la venuta ormai prossima del regno di Dio annunziato da Gesù. La prima lettura è stata scelta per introdurre questo tema. Giona però non porta a Ninive un lieto annunzio, ma un annunzio di sventura: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». L’autore di questo libretto non dice quale fosse il peccato di questa grande città, ma lo possiamo dedurre dalle accuse dei profeti, in modo speciale di Naum, che descrive la distruzione della città: idolatria, ingiustizia, sfruttamento e oppressione nei confronti dei più deboli. Nella predicazione di Giona però era implicita una buona notizia: la possibilità per i niniviti di essere preservati da tale castigo a patto che si convertissero. È quanto essi fanno e Dio cambia idea ed evita di fare il male che aveva minacciato.

Secondo il vangelo di Marco invece Gesù non pone nessuna condizione. Il suo vangelo è una buona notizia perché annunzia che Dio agisce di sua iniziativa e gratuitamente per trasformare il mondo. Il suo regno consiste in un mondo nuovo, dove tutti sono fratelli e sorelle e condividono in pace i doni che Dio ha fatto a tutti i suoi figli. Per lui la conversione consiste non in una confessione dei peccati o in riti penitenziali come quelli praticati dai niniviti o il battesimo amministrato da Giovanni il Battista, ma semplicemente nel credere a questa buona notizia, lasciandosi coinvolgere nella nuova realtà a cui Gesù dava inizio. Tutto il resto sarebbe scaturito spontaneamente da questa scelta. Come esempio dell’efficacia di questa buona notizia l’evangelista riferisce la chiamata dei primi discepoli, i quali sono così fortemente attratti da Gesù da lasciare tutto per mettersi al suo seguito. Il costituirsi del gruppetto dei discepoli è il segno più evidente che Dio sta già realizzando il suo regno.

Ma allora che cosa implica la chiamata di Gesù? Lo spiega Paolo nella seconda lettura quando invita i corinzi a vivere «come se…». Questa espressione potrebbe essere interpretata come un invito all’ipocrisia. Invece con essa Paolo li esorta a non dare un valore assoluto ad alcuna realtà terren:, i soldi, il matrimonio e la famiglia, le gioie e i dolori della vita. In altre parole, Paolo invita ad adottare nei rapporti con gli altri una logica nuova, che è quella dell’amore e della solidarietà. Infatti questo mondo è destinato a finire mentre i valori del regno di Dio rimangono in eterno. 

La chiamata a seguire Gesù esige anche da noi la disponibilità ad aprire gli occhi, a vedere l’opera di Dio che si realizza già ora mediante tanti uomini e donne di buona volontà, che si lasciano affascinare dai valori del Regno da lui annunziato. Ciò implica un cambiamento radicale di mentalità che comporta un diverso modo di vivere. Seguire Gesù non significa essere muti consumatori di servizi religiosi ma impegnarsi per un mondo nuovo, conforme ai valori del vangelo.

Tempo Ordinario B – 02. Domenica

La vocazione

Nella prima lettura si racconta la chiamata di un personaggio che ha assunto un ruolo molto importante nella storia di Israele. L’episodio è sintomatico. Samuele era stato offerto a Dio dalla madre per ringraziarlo di averle dato un figlio. Egli era ancora un ragazzino quando ha ricevuto l’incarico di custodire l’arca dell’alleanza. Quando nella notte sente qualcuno che lo chiama, per due volte pensa che sia il sommo sacerdote Eli. Alla terza, dietro suggerimento di Eli stesso, si rende conto che è Dio a chiamarlo e risponde con queste parole: «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta». Ciò che colpisce è la prontezza con cui Samuele accetta l’invito del Signore il quale gli affiderà un compito molto importante a favore di tutto il popolo.

Anche nel vangelo si parla di una chiamata. Questa volta non è un sacerdote che fa da intermediario ma Giovanni Battista. Egli designa Gesù come «Agnello di Dio». Questo appellativo ha radici profonde nell’ebraismo e rappresenta, secondo l’evangelista, la designazione più adatta per esprimere la missione di Gesù. È un invito implicito che Giovanni il Battista fa a due suoi discepoli perché lo accolgano come il loro nuovo Maestro. Essi si mettono allora a seguire Gesù e gli chiedono dove abita. Ma quello che provoca la loro decisione di seguirlo sono le parole con cui Gesù li invita ad andare con lui e a vedere. L’evangelista non riferisce che cosa si siano detti in tutto il tempo che sono rimasti insieme, ma vuol far capire che è stata l’esperienza personale a convincerli che Gesù è veramente il Messia. Uno dei due, Andrea, incontra poi suo fratello Simone e gli dice: «Abbiamo trovato il Messia» e lo conduce da Gesù. Questi si limita a guardarlo intensamente gli assegna un nuovo nome: Pietro. È questo il segno della missione che gli è conferita. 

Nella seconda lettura si mette in luce il rapporto strettissimo che intercorre tra il discepolo e Gesù: il suo corpo è membro di Cristo e perciò anche tempio dello Spirito Santo. Formare un solo corpo con Gesù significa lasciarsi coinvolgere nella sua persona e nei suoi valori, nel suo modo di essere e di pensare. Ogni cristiano ha una vocazione che lo unisce intimamente a Gesù e al tempo stesso lo mette al servizio del suo corpo che è la chiesa, cioè la comunità dei credenti.  

Ogni essere umano, anche se non ne è cosciente, porta con se una chiamata alla vita e all’amore. L’incontro con Gesù, se è autentico, rivela e approfondisce questa chiamata in forza della quale il discepolo si mette al suo seguito e al servizio dei fratelli. La chiamata può assumere diverse forme, ma in ogni caso porta ad assumere responsabilità specifiche al servizio della comunità. La scoperta della propria vocazione è un passo decisivo nella crescita di una persona, in quanto comporta la possibilità di dare un senso alla propria vita

Battesimo del Signore B

La sfida del battesimo

La liturgia ricorda il battesimo di Gesù come una seconda epifania, cioè un momento speciale in cui egli si è manifestato al mondo. Con questa festa terminano le celebrazioni natalizie e inizia il tempo ordinario, in cui la liturgia propone la lettura del vangelo di Marco (anno B). È questa un’occasione preziosa in cui siamo invitati a riflettere sul nostro battesimo in quanto modellato sul battesimo di Gesù.

La prima lettura è rivolta ai giudei esuli a Babilonia che ormai intravedevano la liberazione e il ritorno nella terra promessa. Il profeta, i cui oracoli sono riportati nella seconda parte del libro di Isaia, intende dare loro un’ulteriore garanzia circa la realizzazione del progetto di Dio. Egli sta per fare con il popolo rinnovato un’alleanza eterna perché sia il testimone di una salvezza che dovrà estendersi a tutti i popoli. Ma il profeta sottolinea anche che essi devono collaborare con l’azione divina. Ciò significa nutrirsi metaforicamente del cibo che egli dà loro: in altre parole, essi devono cercare il Signore, fidarsi di lui e abbandonare i propri interessi personali per adottare i pensieri del Signore.

Nel brano del vangelo si narra il battesimo di Gesù ad opera di Giovanni il Battista. Questi invitava i peccatori alla conversione e amministrava loro il battesimo come segno del perdono di Dio. È comprensibile perciò che i primi cristiani sentissero un certo imbarazzo per il fatto che Gesù aveva ricevuto il battesimo di Giovanni insieme a una folla di persone che confessavano i loro peccati. Secondo Marco, il vangelo più antico, che è la fonte principale degli altri due, il significato del battesimo di Gesù si capisce a partire da ciò che è avvenuto subito dopo. Appena ha ricevuto il battesimo, Gesù ha visto i cieli aperti e lo Spirito di Dio, in forma di colomba, discendere su di lui mentre una voce dal cielo diceva: Tu sei il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Questa visione non deve essere letta come un evento accaduto oggettivamente ma come un racconto composto dall’evangelista per esprimere il significato del battesimo di Gesù. La visione da lui ricevuta mostra chiaramente che la presenza di Gesù tra i peccatori non è stata la risposta a un suo bisogno di purificazione, ma l’occasione in cui ha iniziato a compiere la missione che il Padre gli aveva assegnato. In quel momento Gesù si è impegnato a raccogliere un popolo rinnovato e purificato, disposto ad accettare su di sé la regalità di Dio. Immergendosi nell’acqua con i peccatori, Gesù non ha compiuto qualcosa di disdicevole per il figlio di Dio, ma piuttosto ha mostrato come il vero «figlio di Dio», il Messia, si riveli non in un tempio o una reggia ma condividendo le sofferenze e i limiti propri di ogni essere umano. Si spiega così la scandalosa amicizia con i peccatori che ha contrassegnato il ministero pubblico di Gesù (cfr. Mc 2,15). 

Nella seconda lettura si dice che chi è stato generato da Dio non può non amarlo. Ma se veramente ama Dio come suo Padre, egli deve amare anche tutti coloro che Dio ha generato. Infatti l’amore per Dio si manifesta nell’osservanza dei suoi comandamenti che hanno come oggetto fondamentale l’amore del prossimo. È proprio amando Dio e il prossimo che il credente vince il mondo, cioè sconfigge il peccato che si annida nelle strutture ingiuste che corrompono i rapporti tra le persone.

L’uso di amministrare il battesimo ai bambini ha fatto perdere lungo i secoli il significato del battesimo cristiano. In un periodo come il nostro, nel quale molti genitori rinunziano a far battezzare i loro figli, è importante riscoprire il significato del battesimo, che implica, come dice la prima lettura, un vero cambiamento di mentalità. Esso significa diventare discepoli di Gesù ed entrare così nell’ottica di Dio, impegnandosi con lui in una lotta senza quartiere contro il male che pervade la società. Ciò si attua entrando a far parte di una comunità in cui si anticipa nell’oggi, come richiede la seconda lettura, quel regno di giustizia e di pace che Gesù è venuto ad annunziare