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Tempo Ordinario C – 13. Domenica

Una scelta di libertà

La liturgia di questa domenica è incentrata sul tema della libertà che Gesù sceglie per sé e propone a coloro che lo seguono. Nella lettura dell’Antico Testamento è riportato il racconto della chiamata di Elisea da parte del profeta Elia. Questi, pur esigendo da lui di abbandonare tutto per seguirlo, gli consente, prima di partire, di andare a salutare i suoi. Ma si tratta di un gesto di non ritorno: servendosi per il pasto della carne dei buoi e cucinandola con il legno dei suoi strumenti di lavoro, Eliseo dimostra di aver fatto una scelta radicale di autentica libertà.

Gesù ha espresso questa esigenza di libertà quando lui stesso si è messo in cammino verso Gerusalemme. Egli ha preso questa decisione pur sapendo che andava incontro a contrasti e sofferenze e infine alla morte. In questa prospettiva egli si oppone a due discepoli, Giacomo e Giovanni, che vorrebbero far scendere il fuoco dal cielo su un villaggio di samaritani che non gli hanno dato ospitalità. Mentre si avvia ad essere oggetto di una violenza inaudita, Gesù rifiuta ogni violenza nei confronti degli altri. A questa scelta si ispira quando indica le condizioni per essere suo discepolo. Anzitutto egli propone la rinuncia ai beni materiali: il discepolo deve imitare il maestro che non ha neppure una pietra su cui posare il suo capo. Come seconda e la terza condizione egli esige il distacco dalla famiglia, o meglio da una concezione borghese della famiglia, tutta chiusa in se stessa, preoccupata unicamente del proprio tornaconto e delle proprie sicurezze. In sintesi, Gesù esige che anche chi accetta di diventare suo discepolo faccia una scelta di libertà, mettendo il regno di Dio al di sopra dei propri interessi personali e famigliari.

Nel brano della lettera ai Galati scelto come seconda lettura, Paolo mette l’accento sulla libertà interiore a cui il credente è chiamato. Secondo lui si diventa schiavi quando si cede ai propri desideri egoistici, magari sentendosi a posto con Dio perché si praticano i comandamenti o si osservano le leggi dello stato. La vera libertà non consiste nel fare o nel non fare certe cose ma nel mettere al primo posto le esigenze dell’amore per il prossimo.

A volte si confonde la libertà con la facoltà di scegliere quello che piace, quello che fa comodo, senza alcuna costrizione. Oppure si pensa che la libertà si identifichi con la democrazia. Magari si è anche d’accordo che la propria libertà cessa là dove inizia la libertà dell’altro. Per Gesù non è così. La vera libertà consiste nel mettersi al servizio del prossimo, con la disponibilità a pagare di persona per il suo bene, evitando qualsiasi ricorso alla violenza. Ciò può avvenire in vari modi, nella chiesa e nella società, tenendo conto però che si tratta di un lungo cammino, analogo a quello che ha portato Gesù a Gerusalemme.

Tempo Ordinario B – 8. Domenica

Digiuno e simbolismo sponsale

Il tema di questa liturgia è indicato nella prima lettura, nella quale il profeta Osea per la prima volta esprime il rapporto di Israele con il suo Dio con l’immagine del matrimonio. Per questo profeta Dio è come uno sposo tradito che va in cerca della sposa infedele, l’accoglie e «parla al suo cuore». Egli rinnova con lei il suo rapporto sponsale e le dà i doni di nozze: giustizia e diritto, benevolenza e amore, fedeltà e conoscenza di Dio. Sono questi i valori che fondano non solo il rapporto di un popolo con Dio ma anche i rapporti tra i suoi membri.

 Nel brano del vangelo viene riportata una controversia di Gesù con i farisei. Il tema è quello del digiuno. Ai farisei che rimproverano i suoi discepoli perché non praticano il digiuno, egli risponde che gli invitati a nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro. Gesù presenta la venuta del regno di Dio mediante il simbolismo delle nozze tra Dio e il suo popolo. D’ora in poi il rapporto con Dio non si baserà più sulla pratica di una legge, con le sue innumerevoli prescrizioni, ma sull’adesione al Regno annunziato da Gesù. Per questo i discepoli non devono più digiunare, ma partecipare con gioia a questo evento. Secondo l’evangelista, Gesù aggiunge che un giorno lo sposo sarà loro tolto, e allora anch’essi dovranno digiunare. Secondo questo detto lo sposo non è più Dio ma lo stesso Gesù che si unisce alla sua Chiesa. Secondo i primi cristiani il regno è stato solo inaugurato, egli è tornato al Padre ma un giorno verrà nella gloria per radunare tutta l’umanità. Nel frattempo il Regno dovrà radicarsi in questo mondo. Ciò implica una svolta decisiva che non ammette compromessi: il vino nuovo del vangelo non deve essere messo nei vecchi otri delle pratiche rituali dei farisei.

A coloro che contestano il suo titolo di apostolo, Paolo risponde che la prova più evidente del suo ruolo è la comunità stessa, da lui fondata, che tutti possono vedere. Essa è come una lettera che Dio ha scritto nei cuori dei corinzi per mezzo di Cristo, del quale Paolo è un semplice ministro. Anche per Paolo, come per Osea, il rapporto tra Dio e la comunità deve radicarsi nel cuore dei suoi membri.

Il regno di Dio è un modello di società basata non su leggi che impongono comportamenti socialmente corretti, ma su rapporti nuovi di solidarietà e di fraternità che scaturiscono dal cuore delle persone. Umanamente parlando, questo modello di società è irrealizzabile perché nell’uomo emerge continuamente la tendenza a prevaricare e a sopraffare l’altro. Per questo il il regno di Dio è una meta a cui si può tendere solo in forza di un dono ricevuto dall’Alto, mediante lo Spirito che Gesù ha effuso sui credenti. Se è vero che il regno di Dio non si potrà realizzare pienamente nella storia umana, resta aperta la possibilità di anticiparne i frutti all’interno di una comunità fondata sulla fede.

Santissima Trinità C

L’immanenza del Dio trascendente

La festa della Trinità ci offre l’occasione per riflettere sul mistero di Dio. Le letture ci riportano a 2000 anni fa e ai problemi con cui i primi cristiani, come pure i loro fratelli e connazionali ebrei, dovevano confrontarsi nel mondo greco. Sia gli uni che gli altri si trovavano tra due fuochi: da una parte l’immagine biblica di un Dio trascendente, che entra da padrone nelle vicende umane, e, dall’altra, la concezione filosofica greca di un Dio immanente, che si identifica con la natura. Che risposte hanno elaborato?

Una prima risposta si trova nella prima lettura di questa festa. Dio è lassù nei cieli ma ha creato il mondo mediante la Sapienza che promana da lui, è da lui generata, anzi è Dio stesso in quanto è presente in questo mondo per dare ordine e armonia a tutte le cose. Una sapienza che la scienza moderna ci insegna a cogliere e a capire sempre meglio scoprendo le leggi che regolano l’universo.

Ma dove si rende visibile questa Sapienza? Dove si incontra? Sia gli ebrei che i cristiani di 2000 anni fa erano d’accordo nell’affermare che questa Sapienza opera come un soffio divino, lo Spirito santo, che è l’energia vitale che muove tutte le cose e quindi, diremmo noi, ne provoca la continua evoluzione verso forme sempre più sofisticate di vita animale e umana. A questo punto però il punto di vista dei cristiani e quello degli ebrei del loro tempo si divaricano. Per gli ebrei questa Sapienza e lo Spirito che l’accompagna si rendono visibili nella Legge mosaica, che regola la vita delle loro comunità. Per i cristiani invece, come appare nel brano del vangelo, la Sapienza si è resa visibile nel Figlio, Gesù, il quale è stato riempito dallo Spirito di Dio e lo ha conferito a coloro che credono in lui.

Paolo esplicita questo pensiero nella seconda lettura quando afferma che Gesù ci ha aperto l’accesso a Dio; egli infatti è stato apportatore di pace e di riconciliazione in quanto ha insegnato che neppure le più grandi tribolazioni possono cancellare la speranza in un mondo migliore. È lui che ci ha conferito lo Spirito Santo mediante il quale l’amore di Dio è stato infuso nei nostri cuori.

Dio è un mistero che non potremo mai comprendere finché viviamo su questa terra. Quando parliamo di Trinità non dobbiamo immaginare di descrivere questo mistero. Al contrario con questa formula vogliamo esprimere il modo in cui noi lo comprendiamo e ci rapportiamo a esso. Per noi Dio è come un padre che ama tutte le sue creature, le sostiene e dà loro vita. In Gesù noi vediamo il Figlio, l’uomo che ha un rapporto speciale con Dio e il fratello di tutti gli esseri umani, specialmente i più poveri ed emarginati: in loro noi lo possiamo sempre vedere e amare. E infine noi cogliamo lo Spirito in quella forza che ci spinge a impegnarci per il bene comune, senza perdere mai la speranza di rendere un po’ migliore questo mondo, nonostante tutti i nostri limiti e i nostri fallimenti.