Tag: battesimo

Tempo di Quaresima C – 3. Domenica

L’appello alla conversione

In questa terza domenica di quaresima la liturgia propone alla nostra riflessione il tema della conversione. Nella prima lettura si parla di un’esperienza che sta a monte di un cammino di conversione, quella cioè di sentirsi coinvolti in un progetto di liberazione che fa parte, per così dire, della stessa natura di Dio, che è definito dal suo stesso nome: Io sono (con voi). Dio infatti rivela a Mosè il suo nome in concomitanza con la sua decisione di intervenire per liberare il suo popolo dalla schiavitù. Il suo scopo non è semplicemente quello di porre fine alle sofferenze degli israeliti, ma di prenderli con sé e di accompagnarli verso la terra che aveva promesso ai loro padri. Nel salmo si dice: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità». Solo l’esperienza di questa infinita misericordia di Dio può causare una conversione sincera.

Nel brano del vangelo Gesù affronta due casi di attualità, la repressione nel sangue da parte di Pilato di una rivolta organizzata da parte di un gruppo di galilei e la morte di diciotto persone causata dal crollo della torre di Siloe. Riguardo a ciascuno di questi casi Gesù osserva che le vittime non erano peggiori dei suoi ascoltatori e preannunzia che costoro saranno anch’essi vittime di tragedie analoghe se non si convertiranno. E, subito dopo, l’evangelista riporta la parabola dell’albero di fico, al quale viene dato ancora un anno di tempo ma poi se non porta frutto sarà tagliato. Dio ha pazienza con noi, non ci mette alle strette. Ciò non toglie però che noi non possiamo aspettare all’infinito, dobbiamo fare una scelta. Altrimenti le conseguenze possono essere drammatiche per noi stessi e per tutta la società.

Nella seconda lettura Paolo ricorda ai cristiani di Corinto che gli ebrei dell’esodo non sono stati fedeli al loro Dio e perciò hanno ricevuto un severo castigo. E questo nonostante i doni ricevuti, che in qualche modo preannunziavano i due grandi sacramenti ricevuti dai cristiani stessi: il battesimo e l’eucaristia. Secondo Paolo la loro vicenda doveva servire da ammonizione a quei cristiani che non sapevano mantenersi all’altezza delle grandi scelte fatte nel battesimo e rinnovate nella celebrazione eucaristica.

La conversione è un’esigenza che ci accompagna per tutta la vita perché la fedeltà al Vangelo non può mai essere data per scontata. Ma la conversione non è facile e non si può ottenerla facendo ricorso all’arma della paura. Purtroppo la paura del castigo è stata spesso usata anche dai predicatori cristiani come mezzo per richiamare i peccatori alla conversione. Ma Dio non ha bisogno di ricorrere alla paura per attirarci al bene. Dio fa onore al suo nome: la sua misericordia è più convincente della paura. Ma noi dobbiamo aprire gli occhi. E a volte le grandi tragedie personali e dell’umanità sono un’occasione preziosa per rientrare in noi stessi e chiederci qual è il vero senso della nostra vita. Non lasciamocele scappare.

Battesimo del Signore C

Una vocazione maturata nella preghiera

Il tema di questa prima domenica dopo l’Epifania è quello del battesimo di Gesù, presentato come modello del nostro battesimo. Nella prima lettura è riportato l’inizio del libro della Consolazione, nel quale il profeta annunzia agli israeliti esuli in Mesopotamia che il loro peccato è perdonato ed ora si apre per loro una nuova prospettiva, che ha come oggetto il ritorno nella loro terra. È una svolta esaltante e impegnativa perché implica una vocazione, quella di formare un popolo giusto e solidale, segno e strumento di un mondo migliore.



I primi cristiani, ricordando che Giovanni era il precursore di Gesù, non potevano ignorare che Gesù aveva ricevuto da lui il battesimo. Ma questo ricordo, più che esaltare la persona di Gesù, rischiava di metterla in cattiva luce: come era possibile associare il Messia a una folla di peccatori che chiedevano perdono? Per evitare ogni equivoco il vangelo di Giovanni omette un episodio tanto imbarazzante. I tre vangeli sinottici invece lo raccontano ma cercano di prevenire lo scandalo del pio cristiano ponendo l’accento soprattutto sulla visione che solo Gesù, secondo Marco, oppure tutta la folla, secondo gli altri due, ha avuto. Per loro ciò che conta è il fatto che Dio, in quella occasione, ha dichiarato solennemente che Gesù è il suo figlio prediletto e ha infuso in lui il suo Spirito che lo guiderà nella sua missione di annunziare l’imminente venuta del regno di Dio. Nella versione di Luca, riportata quest’anno nella liturgia, è importante non solo la voce dal cielo che proclama il ruolo messianico di Gesù ma anche il fatto che essa si è fatta sentire non mentre veniva battezzato ma mentre era immerso in preghiera. Per questo evangelista è nella preghiera che l’uomo scopre la sua vocazione e l’accoglie senza cedere alla tentazione del potere insita in ogni ruolo al servizio della società.

Nella seconda lettura, ripresa dalla lettera a Tito, si presenta il nostro battesimo non come risultato di una scelta umana ma come la risposta a una chiamata ad accogliere il dono gratuito dello Spirito, che rende possibile una vita santa, ricca di opere buone. Queste non sono quindi una condizione ma una conseguenza del dono di Dio.

Gesù coglie il senso della sua vocazione mentre, dopo essersi immerso nel mondo di un’umanità misera e peccatrice, si rivolge al Padre per comprendere che cosa si attende da lui. È in questo contesto di preghiera che egli comprende che Dio non fa discriminazioni ma ama tutti gli uomini, a cominciare da coloro che sono i più miseri ed emarginati. Questa esperienza di fede lo spingerà ad annunziare la venuta del regno di Dio e a mostrare, con le sue parole e coi suoi gesti, che questo mondo nuovo, più giusto e solidale, è già presente e disponibile a quanti lo accolgono con fede. Se questo è il significato del battesimo di Gesù, non diversamente dovrà essere quello del nostro battesimo.

Tempo di Quaresima B – 1. Domenica

L’esperienza del deserto

Nella prima domenica di Quaresima la liturgia propone una riflessione sul tema del deserto. Nella prima lettura però non si parla di deserto ma dell’alleanza che dopo il diluvio Dio stabilisce non solo con Noè ma anche con tutti gli animali, le piante e il cosmo intero, con la promessa che la terra non sarà più devastata da un cataclisma del genere. Questa visione idilliaca di un mondo rinnovato fa da sfondo a quella del deserto, simbolo di aridità e di maledizione.

Nel vangelo si racconta che Gesù, prima di iniziare la sua predicazione, si ritira nel deserto dove è sottoposto alla tentazione di satana. Diversamente da Matteo e da Luca, Marco non dice in che cosa sia consistita questa tentazione. Si limita a dire che questa prova è durata quaranta giorni. Questo numero richiama quello dei quarant’anni trascorsi dagli israeliti nel deserto prima di giungere alla terra promessa. In questo periodo spesso si sono scoraggiati, si sono lamentati, hanno rimpianto l’Egitto e i vantaggi di stare in una terra coltivata, che dava i suoi frutti, mentre nel deserto c’erano solo siccità e bestie selvatiche.Possiamo immaginare che la tentazione di Gesù sia stata la stessa, quella cioè di tornare indietro, di non accettare la sfida dei poteri forti della società. In realtà con questa sfida Gesù si è confrontato durante tutto il tempo della sua predicazione. Nel deserto Gesù non fa nulla di speciale, ma abita con le fiere selvatiche: è questo un simbolo della pace universale che lui è venuto a portare. La presenza degli angeli indica che Dio non abbandona il suo eletto. Solo dopo essere stato nel deserto Gesù inizia la sua missione, che consiste nell’annunziare la venuta del regno di Dio. 

Nella seconda lettura, tratta da una lettera attribuita a Pietro, si parla di un viaggio simbolico fatto da Gesù nel regno dei defunti per annunziare la salvezza anche a coloro che erano morti nel diluvio. Nelle acque del diluvio l’autore vede, con un po’ di fantasia, una prefigurazione del battesimo in quanto purificazione dei cuori in vista della salvezza. Forse con l’idea di un incontro con l’umanità che lo aveva preceduto, l’evangelista vuole sottolineare come il messaggio di Gesù non abbia limiti di spazio e di tempo ma sia stato messo a disposizione di tutti, fin dall’inizio della storia umana.

Anche noi, pur vivendo in una città in mezzo alla gente, facciamo spesso l’esperienza del deserto. È il deserto della solitudine, dell’insuccesso, della depressione. È un’esperienza che a volte sembra tagliarci le gambe perché mette a nudo la nostra incapacità di vivere in un altro modo, di trasformare questo mondo, di contrastare tutti gli interessi che muovono le persone, noi compresi. Sono momenti dolorosi, che però ci fanno comprendere che non tocca a noi realizzare il regno di Dio; a noi spetta unicamente il compito di scoprire i segni che ne indicano l’approssimarsi e orientare verso di esso i nostri pensieri e le nostre scelte.