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Tempo Ordinario C – 19. Domenica

Non abbassare la guardia

La liturgia indica come tema di questa domenica la vigilanza. Nella prima lettura si afferma che la liberazione degli israeliti dall’Egitto corrispondeva a un progetto di Dio, che era stato preannunziato ai loro padri. Essi hanno creduto e si sono preparati alla sua realizzazione. A tal fine si sono impegnati ad osservare una legge divina, in forza della quale tutti avrebbero partecipato in misura uguale agli stessi i beni ed agli stessi pericoli. Essi dunque si sono preparati non facendo ricorso alle armi ma praticando quella giustizia e quella solidarietà che erano il vero scopo della loro liberazione.

Nel brano del vangelo, Luca riporta le parole di Gesù sulla vigilanza interpretandole in funzione delle attese dei cristiani del suo tempo. Costoro pensavano che il Signore sarebbe presto ritornato per instaurare il regno di Dio ed erano profondamente delusi perché ciò non si era ancora verificato. A loro l’evangelista ricorda che Gesù si era rivolto ai suoi discepoli chiamandoli «piccolo gregge» e aveva annunziato che Dio avrebbe concesso loro il suo regno. Essi dunque, come gli ebrei dell’esodo, devono anticiparne la venuta mediante la loro comunione fraterna. Perciò li invita, con un’espressione iperbolica, a vendere i propri beni e a dare il ricavato ai poveri, cioè a condividere le loro risorse con i meno fortunati; solo così potranno farsi un tesoro nei cieli, cioè cominceranno a vivere fin d’ora secondo i valori del regno di Dio. Nella seconda parte del brano si insiste sulla vigilanza portando tre immagini: un padrone che tornando a casa tardi nella notte e trovando i suoi servi ancora svegli, li fa mettere a tavola e li serve lui stesso; un altro padrone che, aspettandosi una visita notturna dei ladri, non cessa di vigilare tutta la notte; infine un amministratore che è punito perché il suo padrone, tornando di sorpresa, lo trova a percuotere i servi, a mangiare e a ubriacarsi.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, si parla della fede che ha come oggetto le cose che non si vedono, cioè la venuta del regno di Dio promesso prima dai profeti e poi da Gesù. Chi crede è certo che il progetto di Dio si realizzerà, anche se ora ciò non appare. L’autore illustra il suo pensiero portando l’esempio di Abramo e di Sara i quali, pur essendo vecchi, hanno creduto che Dio avrebbe dato loro un figlio dal quale sarebbe nato un popolo numeroso. Quando poi è nato il figlio promesso e Dio ha chiesto loro di offrirlo in sacrificio, essi non hanno esitato a obbedire, sapendo che Dio è capace persino di far risorgere i morti.

La vigilanza non consiste tanto nel prepararsi alla morte che potrebbe venire da un momento all’altro, quanto piuttosto nel non scoraggiarsi se si è rimasti in pochi e sembra che il male abbia il sopravvento. Infatti il regno promesso da Gesù si sta già realizzando: bisogna aprire gli occhi e vedere i segni della sua venuta. Vigilare significa dunque non cedere alla tentazione di fare come fanno tutti, lasciandosi andare al sopruso, alla corruzione o magari solo all’inerzia e al menefreghismo.

Tempo di Pasqua C – 4. Domenica

Il pastore e la sua comunità

La liturgia di questa domenica suggerisce una riflessione sul tema di Gesù buon Pastore. Nella prima lettura è significativo il brano di Isaia che Paolo e Barnaba citano quando, di fronte alle ostilità dei giudei, si rivolgono ai gentili: «Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra» (Is 49,6). Secondo Luca, Paolo e Barnaba, si sentono portatori di un messaggio di salvezza che è stato promulgato da Dio stesso per mezzo di Gesù Cristo e che è valido per tutta l’umanità.

Secondo il brano del vangelo essere salvi significa riconoscere Gesù come pastore, ascoltare la sua voce, essere conosciuti da lui e seguirlo. Per il credente il rapporto con Cristo non è frutto di uno slancio mistico che lo separa dal mondo circostante, ma piuttosto implica l’inserimento in una realtà sociale composta da persone che, proprio perché si rapportano a un unico pastore, sono profondamente unite fra loro. Sullo sfondo si percepisce il concetto di comunità che stava alla base della vita dei primi cristiani. Il rapporto con Gesù all’interno di una forte esperienza comunitaria è salvifico perché libera dall’egoismo, in forza del quale ciascuno è portato a isolarsi e a mettere se stesso al centro di tutto. Riconoscere Gesù come pastore comporta quindi un rapporto vero e profondo fra persone. Questa è la salvezza che i credenti annunziano a una società in cui spesso prevale la violenza.

Nella seconda lettura il rapporto con Gesù viene espresso mediante l’immagine del lavare le proprie vesti nel sangue dell’Agnello, al quale viene attribuito il ruolo di pastore. Con essa si indica non tanto il martirio, quanto piuttosto quello che lo precede, e cioè l’entrare nella logica di Gesù e adottare come metodo di vita la non violenza, rappresentata nella metafora dell’agnello.

La salvezza consiste non nell’accumulare beni materiali o strumenti tecnologici, ma nell’incontrare l’altro, chiunque egli sia, come un amico e un fratello con il quale impegnarci nella ricerca di un mondo migliore. Gesù è salvatore in quanto è capace di rinnovare radicalmente i rapporti fra persone. Nella Bibbia questo tema ha una forte carica polemica in quanto, annunziando la venuta di Dio come pastore unico del popolo, mette in discussione il ruolo di una classe dirigente che non è all’altezza dei suoi compiti.

Tempo Ordinario B – 16. Domenica

Una leadership evangelica

Nella liturgia di questa domenica viene messo a fuoco il tema della leadership sia nella società civile che nella chiesa. Nella prima lettura è attribuita a Geremia la convinzione, molto diffusa nell’AT, secondo cui la rovina del popolo è causata dai cattivi governanti. Perciò il profeta dichiara che un giorno Dio stesso assumerà la guida del popolo per condurlo alla salvezza. Questa presenza di Dio alla testa del suo popolo si attua mediante un personaggio da lui inviato che svolge in suo nome il ruolo di pastore. 

I primi cristiani hanno creduto che questo intermediario fosse Gesù, il Messia inviato da Dio. Il fatto di essere inviato significa che Gesù è stato dotato di un carisma, cioè di un dono speciale che consiste nella capacità di aggregare le persone. Nel brano del vangelo ciò appare nel fatto che egli ha avuto compassione dei presenti vedendo che erano come un gregge senza pastore. È chiaro che, senza un vero leader, un gruppo umano si disgrega e facilmente diventa preda di interessi personali. Gesù ha manifestato la sua compassione mettendosi a insegnare: le persone si aggregano non dando loro comandi o leggi, ma insegnando a riflettere, a porsi domande, a scambiarsi esperienze e intuizioni. In questo Gesù dimostra di essere un vero leader. Solo dopo insegnato egli darà alla folla anche il pane, cioè provvederà a realizzare, unendo gli sforzi di tutti, un benessere condiviso. 

La seconda lettura attribuisce a Gesù un compito molto importante, che è tipico del pastore, quello di attuare la pace tra persone che hanno una diversità di tradizioni, di esperienze, di valori. Il vero leader non cerca l’uniformità del gregge ma l’interazione e la messa in comune dei valori di cui ciascuno è portatore.

Sull’esempio di Gesù, un vero capo deve sentirsi inviato, cioè deve riferirsi ai valori del vangelo su cui si edifica la comunità; al tempo stesso deve essere solidale con coloro che deve guidare: solo così può evitare l’autoritarismo che solo apparentemente unisce ma in realtà disgrega la comunità. Perciò non deve essere selezionato e preparato, come avviene oggi, all’interno di una struttura artificiale ma deve aver dimostrato “sul campo” di avere un vero carisma e di saperlo esercitare in funzione non del proprio interesse o prestigio ma del bene comune. La stessa cosa deve avvenire in qualsiasi aggregazione umana, che può reggere e governarsi solo se è governata da persone preparate e oneste.