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Santissima Trinità C

L’immanenza del Dio trascendente

La festa della Trinità ci offre l’occasione per riflettere sul mistero di Dio. Le letture ci riportano a 2000 anni fa e ai problemi con cui i primi cristiani, come pure i loro fratelli e connazionali ebrei, dovevano confrontarsi nel mondo greco. Sia gli uni che gli altri si trovavano tra due fuochi: da una parte l’immagine biblica di un Dio trascendente, che entra da padrone nelle vicende umane, e, dall’altra, la concezione filosofica greca di un Dio immanente, che si identifica con la natura. Che risposte hanno elaborato?

Una prima risposta si trova nella prima lettura di questa festa. Dio è lassù nei cieli ma ha creato il mondo mediante la Sapienza che promana da lui, è da lui generata, anzi è Dio stesso in quanto è presente in questo mondo per dare ordine e armonia a tutte le cose. Una sapienza che la scienza moderna ci insegna a cogliere e a capire sempre meglio scoprendo le leggi che regolano l’universo.

Ma dove si rende visibile questa Sapienza? Dove si incontra? Sia gli ebrei che i cristiani di 2000 anni fa erano d’accordo nell’affermare che questa Sapienza opera come un soffio divino, lo Spirito santo, che è l’energia vitale che muove tutte le cose e quindi, diremmo noi, ne provoca la continua evoluzione verso forme sempre più sofisticate di vita animale e umana. A questo punto però il punto di vista dei cristiani e quello degli ebrei del loro tempo si divaricano. Per gli ebrei questa Sapienza e lo Spirito che l’accompagna si rendono visibili nella Legge mosaica, che regola la vita delle loro comunità. Per i cristiani invece, come appare nel brano del vangelo, la Sapienza si è resa visibile nel Figlio, Gesù, il quale è stato riempito dallo Spirito di Dio e lo ha conferito a coloro che credono in lui.

Paolo esplicita questo pensiero nella seconda lettura quando afferma che Gesù ci ha aperto l’accesso a Dio; egli infatti è stato apportatore di pace e di riconciliazione in quanto ha insegnato che neppure le più grandi tribolazioni possono cancellare la speranza in un mondo migliore. È lui che ci ha conferito lo Spirito Santo mediante il quale l’amore di Dio è stato infuso nei nostri cuori.

Dio è un mistero che non potremo mai comprendere finché viviamo su questa terra. Quando parliamo di Trinità non dobbiamo immaginare di descrivere questo mistero. Al contrario con questa formula vogliamo esprimere il modo in cui noi lo comprendiamo e ci rapportiamo a esso. Per noi Dio è come un padre che ama tutte le sue creature, le sostiene e dà loro vita. In Gesù noi vediamo il Figlio, l’uomo che ha un rapporto speciale con Dio e il fratello di tutti gli esseri umani, specialmente i più poveri ed emarginati: in loro noi lo possiamo sempre vedere e amare. E infine noi cogliamo lo Spirito in quella forza che ci spinge a impegnarci per il bene comune, senza perdere mai la speranza di rendere un po’ migliore questo mondo, nonostante tutti i nostri limiti e i nostri fallimenti.

Tempo Ordinario A – 32. Domenica

La ricerca della sapienza

Il tema di questa liturgia domenicale è quello della sapienza di cui si parla nella prima lettura. La sapienza rappresenta Dio stesso in quanto è presente nelle sue creature come energia vitale che ne garantisce l’ordine e l’armonia. In questo senso la sapienza precede l’iniziativa di ogni essere umano che però deve ricercarla mediante l’esercizio della ragione e la riflessione su se stesso e sulle realtà di questo mondo: solo così ciascuno impara a rapportarsi in modo corretto con l’ambiente e con le persone che lo abitano. È una ricerca che non è mai finita, perché il mondo è estremamente complesso e mutevole.

Nel vangelo viene riportata la parabola delle vergini sagge e di quelle stolte. Non dobbiamo fermarci in superficie, chiedendoci perché si parla di vergini e non di semplici ragazze o perché le stolte non hanno portato l’olio e le sagge hanno rifiutato di condividere con loro quello che avevano. Bisogna andare al centro della parabola che pone l’accento sulla sapienza di vita che coincide con la vigilanza. Gesù indica il regno di Dio, cioè un mondo migliore, verso il quale dobbiamo tendere in tutte le nostre scelte. Per fare ciò non bastano i sacramenti, la messa domenicale o la fede nei dogmi della Chiesa. Quello che si richiede è aderire alla persona di Gesù, trovando nel suo insegnamento non verità preconfezionate ma lo stimolo a ricercare, con la nostra ragione, quella sapienza che deve animare tutte le nostre scelte. L’incontro con lui non deve essere rimandato alla fine dei tempi o al momento della nostra morte, ma deve essere un’esperienza quotidiana che trasforma la nostra vita. Se si abbassa la guardia le conseguenze saranno negative non solo per chi sbaglia ma anche per tutta la società e per le generazioni future.

Nella seconda lettura Paolo parla della risurrezione finale e dell’incontro con il Signore risorto. È chiaro che egli usa le immagini del suo tempo. Noi non sappiamo che cosa avverrà quando finirà il corso della nostra vita personale o quello dell’umanità e del cosmo intero. L’importante è credere che nulla andrà perduto di quanto noi siamo e facciamo non solo per il bene nostro e degli altri, ma anche per l’ambiente in cui viviamo.

Il mondo è la casa che Dio ha disposto non solo per noi e per le generazioni che ci hanno preceduto, ma anche per quelle che verranno. Per questo dobbiamo comportarci con saggezza nei confronti di tutte le realtà che lo abitano. Per fare ciò noi credenti non riceviamo un supplemento di rivelazione ma uno stimolo a ricercare, alla luce del Vangelo, il bene in tutti i suoi aspetti, in sintonia con la ricerca di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. 

Tempo Ordinario A – 17. Domenica

Il desiderio del regno di Dio

Le letture di questa domenica mettono in luce la profonda attrattiva che il messaggio di Gesù esercita sull’animo umano. Nella prima lettura si mette in luce la ricerca della sapienza che la Bibbia attribuisce al re Salomone. La sapienza di cui si parla qui non è semplicemente cultura, memoria, abilità nel parlare o nel convincere. Essa indica la sensibilità al bene comune, la ricerca della giustizia, lo sforzo costante per realizzare la pace all’interno e all’esterno di qualsiasi aggregazione umana. Senza questa sapienza la convivenza di persone diverse non è fonte di gioia e di pace ma di tensioni che amareggiano la vita di tutti. Il suo esercizio invecegarantisce il conseguimento di quei valori che sono causa di benessere e prosperità per tutti.

Nel testo del vangelo il regno di Dio è presentato come un tesoro nascosto o una perla preziosa per ottenere i quali si è disposti a perdere tutto. Con queste due similitudiniGesù sottolinea la necessità per i suoi discepoli di considerare il suo messaggio non come una serie di precetti o di regole da eseguire ma come un bene desiderabile a cui tendere con tutte le proprie forze. Il Vangelo non è un insieme di regole da praticare o un complesso di verità da credere. Esso non consiste neppure in un modello di società da attuare mediante opportune riforme strutturali. Il regno consiste invece in un nuovo modo di vivere e di rapportarsi gli uni con gli altri in un contesto di giustizia e di vera fraternità. Esso rappresenta un’utopia, un ideale verso il quale tendere, impegnando in esso tutte le proprie energie e i propri talenti. Mancando questa tensione verso un mondo migliore, il cristianesimo decade a livello di ritualismo o moralismo e diventa incapace di muovere la società. La parabola della rete che raccoglie pesci di ogni tipo mostra come la ricerca del regno di Dio comporti un confronto quotidiano con altri modi di concepire la convivenza umana: questa esigenza non ostacola il regno di Dio ma è un passaggio obbligato per scoprire nell’oggi la sua realtà gioiosa e feconda. La spiegazione della parabola, ponendo l’accento sul giudizio, rischia di travisarne il senso, trasormando il Vangelo in un annunzio di giudizio e di condanna.

Nella seconda lettura Paolo afferma che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. A chi cerca con onestà il suo regno Dio non può far mancare il suo aiuto. Tutto infatti, anche la sofferenza più grande, può diventare un mezzo per anticipare nell’oggi la realizzazione del progetto di Dio. La predestinazione dei credenti in Cristo non indica un particolare privilegio da cui gli altri sono esclusi ma piuttosto la chiamata a un servizio nei confronti di tutta la società. 

Ai suoi Dio non promette grandi realizzazioni in questo mondo ma la gioia di poter anticipare nell’oggi la felicità del mondo nuovo che Gesù annunzia. È questo un ideale per il quale vale la pena di impegnarsi sapendo che non si tratta di una costruzione ideologica da realizzare una volta per tutte ma di un valore da tener vivo perché l’umanità non torni indietro alla legge della giungla.