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Tempo Ordinario A – 08. Domenica

Il regno di Dio e la sua giustizia

In questa liturgia si propone il tema della giustizia su cui si basa il regno di Dio. Nella prima lettura abbiamo uno dei vertici della predicazione di quel profeta dell’esilio chiamato Deutero-Isaia. Agli esuli ancora dispersi in Babilonia egli presenta Dio non più come un giudice severo che punisce il popolo ribelle, ma come una madre che si preoccupa dei suoi figli, provvede ai loro bisogni e li assiste anche quando sbagliano. Solo accogliendo questa immagine di Dio gli esuli potevano trovare il coraggio di mettersi in cammino verso la loro terra.

Nel vangelo Gesù elabora l’idea di Dio proposta nella prima lettura. Ma anzitutto l’evangelista riporta un detto che ci mette nella giusta prospettiva: non si può servire Dio e la ricchezza. I beni materiali sono un mezzo e non devono essere mai considerati come un fine. Gesù aggiunge poi che non dobbiamo preoccuparci per il cibo e per il vestito. Dio nutre gli uccelli del cielo e riveste i fiori dei campi. Come potrà lasciare senza cibo o senza vestito i suoi figli? Prese così, le parole di Gesù potrebbero sembrare azzardate. Purtroppo c’è ancora tanta gente che è spogliata di tutto e muore di fame. Ma Gesù alla fine ci dà una chiave interpretativa: «Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Dunque Gesù non fa promesse a costo zero ma coinvolge i suoi ascoltatori nella ricerca di un mondo migliore, improntato a una giustizia che trasforma radicalmente i rapporti umani. Solo chi crede in questo mondo nuovo e dedica a esso tutta la sua vita può sperimentare l’infinita misericordia di Dio.

Nella seconda lettura Paolo spiega come ciò può avvenire. Egli si presenta come un amministratore dei misteri di Dio. È uno di coloro che cercano il regno di Dio e la sua giustizia e svolge questo compito come fondatore e animatore di comunità. Paolo si comporta con grande coerenza e impegno, e non ha paura di essere giudicato, cioè di essere messo in crisi in quello che rappresenta il cuore del suo messaggio. Per lui è importante che la comunità sia fondata sul vangelo di Gesù.

Il regno di Dio non è un mondo ideale che si realizzerà come per miracolo in un momento della storia o che noi stessi possiamo attuare imponendo alla società nuove strutture di convivenza. Ciò che Gesù annunzia è un mondo più giusto e solidale che ha come riferimento l’amore infinito di Dio per tutta l’umanità. Perché questo ideale si realizzi è importante l’esperienza della comunità cristiana. Essa però ha senso solo se diventa un ambito di vita che anticipa il regno di Dio e conferisce ai suoi membri la possibilità di lottare perché la giustizia pervada tutta società.

Tempo di Quaresima C – 1. Domenica

Le nostre grandi tentazioni

All’inizio della quaresima la liturgia propone una riflessione sul tema della tentazione. Nella prima lettura è riportata una preghiera che gli israeliti dovevano fare quando, durante la festa di Pentecoste, presentavano a Dio le primizie del raccolto. In essa riconoscevano che la terra promessa, nella quale ora si trovavano, era un dono di Dio e quindi tutti i beni che essa produceva appartenevano a tutto il popolo. Questo rito diventava così un importante richiamo alla giustizia sociale e al superamento della grande tentazione di ogni società, quella cioè di concentrare nelle mani di pochi le risorse che dovrebbero servire al bene di tutti.

Nel brano del vangelo si racconta che anche Gesù ha avuto a che fare con la tentazione. In questa grande scena iniziale l’evangelista ha voluto indicare il senso di una prova dolorosa che egli ha dovuto affrontare durante tutto il suo ministero per esprimere fino in fondo il vero senso della sua missione. In questo racconto la tentazione è attribuita a satana. In realtà anche Gesù, come ciascuno di noi, ha dovuto confrontarsi non tanto con un agente esterno quanto piuttosto con il suo essere uomo, sottoposto a condizionamenti apparentemente insuperabili: il bisogno del pane, con tutto ciò che esso comporta in campo economico, il bisogno di riconoscimento, il bisogno di potere. In altre parole, la tentazione di Gesù era quella di una leadership populista, basata sul favore delle folle, orientata a una rivoluzione cruenta contro il potere dominante. Con il ricorso alla parola di Dio, contenuta nella Bibbia, Gesù vince la tentazione accettando di essere il Messia dei poveri e degli ultimi. Diversamente da Matteo, Luca mette all’ultimo posto la tentazione che ha avuto luogo sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme: per lui la vera grande tentazione che Gesù, come qualsiasi essere umano, dovrà affrontare è quella della sofferenza e dalla morte che lo attendono nella città santa. Ma è proprio da questa prova, accettata e superata con fede e coraggio, che scaturisce la salvezza.

E’ di questa salvezza che parla Paolo nella seconda lettura, affermando che essa si attua solo mediante la fede in Gesù. Una fede che è possibile anche a chi non lo ha mai conosciuto perché consiste appunto nel superamento delle tre grandi tentazioni a cui egli, come ogni essere umano, è stato sottoposto.

La storia umana è percorsa da grandi tentazioni: ingordigia, soldi, potere, successo. Anche Gesù ha dovuto affrontare queste tentazioni e le ha superate, fino ad accettare con coraggio una morte dolorosa e umiliante. Con lui anche noi possiamo superare le tentazioni che incontriamo nel nostro cammino. Ma spesso soccombiamo, con conseguenze a volte disastrose. Ma le sofferenze che ne derivano possono essere preziose opportunità per fare un passo in avanti nella ricerca di una società più giusta e solidale. Tutto dipende da come le affrontiamo.

Tempo Ordinario A – 24. Domenica

Un perdono creativo

Il tema di questa liturgia è indicato dalla prima lettura. In essa si richiama il fatto che Dio vuole il perdono e non esaudisce coloro che invece mantengono il rancore e praticano l’odio. L’obbedienza a Dio si manifesta soprattutto nel perdono. È questa l’esigenza fondamentale dell’alleanza tra Dio e Israele e quindi di qualsiasi religione. Sembra però che il perdono di Dio sia subordinato a quello dell’uomo: Dio perdona a condizione che l’uomo per primo sia disposto a perdonare. Il salmo responsoriale mette in luce invece la misericordia di Dio che non ammette condizioni.

Il tema del perdono viene ripreso nel brano del vangelo in cui è riportata la parabola del servo spietato. Questa parabola era forse originariamente autonoma e Matteo ne ha fatto un’illustrazione del principio secondo cui bisogna perdonare settantasette volte al giorno, cioè sempre. Presa in sé, la parabola non riguarda però direttamente il perdono ma il regno di Dio e i rapporti che si instaurano al suo interno. Lo sfondo è quello di una società profondamente ingiusta nella quale esiste un divario enorme tra pochi ricchissimi e una massa di poveri e diseredati. In questa società i ricchi si appropriano di enormi capitali, sottraendoli alle classi più povere, le quali sono sottoposte a vessazioni crudeli e devastanti. In questa prospettiva la parabola vuole dire che Dio non accetta questa situazione, che essa non è compatibile con il suo regno così come è annunziato da Gesù. Perciò il regno di Dio esige che i credenti si impegnino fin d’ora per una società più giusta e solidale. Nel contesto attuale in cui è inserita, la parabola assume però un significato più profondo: se vogliamo anticipare nell’oggi il regno di Dio dobbiamo perdonare chi ci offende come Dio perdona ognuno di noi. Dio non aspetta che noi perdoniamo chi ci offende per donarci il suo perdono, ma è il suo perdono che ci dà la forza di perdonare. Perdonando chi ci offende entriamo nella logica di Dio e così facendo anticipiamo la venuta del suo regno. Non è sufficiente perdonare chi ce lo chiede e a determinate condizioni. Infatti, senza un perdono incodizionato è impossibile creare quel tessuto di rapporti nuovi che caratterizzano un mondo giusto e solidale. Per chi si pone in questa lunghezza d’onda, cadono gli interessi personali ed emerge in primo piano la ricerca di un bene che riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini. Di conseguenza ciò che conta non è più l’offesa ricevuta ma la possibilità di coinvolgere anche colui che sbaglia in un processo globale di riconciliazione e di fraternità. È questo il vero significato e la radice del perdono.

Nella seconda lettura ci è data la chiave per capire la fonte del perdono cristiano: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore». Ciò che conta non è la nostra vita fisica, con tutto quello che comporta, ma l’essere con il Signore e condividere con lui una nuova vita, che è quella dell’amore. Questa partecipazione alla vita di Gesù non deve però essere intesa in modo individualistico e intimistico, ma come un impegno a lottare con lui e con tutti gli uomini e donne di buona volontà perché venga un mondo migliore.

Il perdono non è facile, specialmente quando si è oggetto di gravi ingiustizie, come per un genitore l’uccisione del proprio figlio. Siamo ancora molto lontani dal regno di Dio annunziato da Gesù. Ma è lì che dobbiamo tendere. La miglior difesa di noi stessi, dei nostri diritti, della nostra sicurezza non sono l’intervento della giustizia degli uomini o di Dio, ma l’impegno costante per realizzare un mondo migliore, sulla linea di quanto indicato dalle Scritture. Solo così il perdono diventa creativo, segna l’inizio di una vita nuova.