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Tempo Ordinario C – 04. Domenica

Un amore che parte da lontano

Il tema di questa liturgia è indicato nella seconda lettura in chi è riportato l’inno all’amore di Paolo. In questa angolatura possiamo leggere la prima lettura in cui si racconta la vocazione di Geremia. Se vogliamo caratterizzare questo personaggio dovremmo definirlo il classico «profeta di sventura». Il compito che riceve è drammatico, poiché dovrà denunziare i misfatti di tutto il popolo, cominciando dai re, dai capi, dai sacerdoti e soprattutto dovrà annunziare la prossima distruzione di Gerusalemme e la deportazione del suo popolo. E non dovrà neppure risparmiare le altre nazioni, in quanto il fatto di essere lo strumento di cui Dio si serve per punire Israele non giustifica la loro crudeltà. Possiamo dire che Geremia non amava il suo prossimo? No certo. Anzi lo amava alla massima potenza, perché ha messo a rischio la sua vita per riportarlo sulla retta strada e rendere possibile la sua rinascita dopo la terribile prova dell’esilio.

Anche gli abitanti di Nazaret hanno considerato Gesù come un guastafeste perché, dopo aver annunziato la liberazione del popolo, non aveva soddisfatto il loro desiderio di ottenere da lui favori e prodigi. Le loro attese sono chiaramente espresse nel proverbio «Medico cura te stesso» che vuol dire per loro: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria». Per loro era importante l’amore del prossimo, cioè pensare prima ai suoi e per gli altri riservare se mai le briciole, e magari neppure quelle. Per Gesù questo non è amore del prossimo ma qualcosa che rassomiglia molto alla mafia. E per dare un fondamento indiscutibile al suo messaggio ricorda due casi in cui un profeta ha favorito degli stranieri, una vedova libanese a cui Elia ha assicurato il cibo durante una carestia e poi addirittura ha risuscitato il figlio e un generale siriano che Eliseo ha guarito dalla lebbra. Gesù vuole dire che è troppo facile amare i propri cari, dai quali si aspetta sempre un ricambio. L’amore vero comincia invece da molto lontano, dai più poveri e bisognosi, ai quali bisogna unirsi per cercare il bene di tutti. Un messaggio molto semplice, al quale però i nazaretani reagiscono addirittura cercando di farlo fuori.

L’amore di cui parla Paolo nella seconda lettura non consiste semplicemente nel fare delle grandi opere. È chiaro che, se sono fatte per essere lodati ed esaltati dagli altri, non servono a nulla. Per Paolo l’amore vero appare soprattutto nel modo di rapportarsi agli altri: benevolenza, umiltà, rinunzia al proprio interesse, ricerca della giustizia. Vorrei sintetizzare dicendo che il vero amore consiste nell’abbattere le barriere, non fare o richiedere favori, coinvolgere tutti nella ricerca di una società più giusta e solidale.

Stranamente la discriminazione nei confronti dell’altro, del diverso, sta ritornando in auge proprio ora, in un periodo in cui invece la tecnologia avvicina le persone, le religioni e le culture, offrendo strumenti enormi per superare le differenze. È questo tipo di egoismo che si trasforma spesso in razzismo. E purtroppo a volte si confonde l’egoismo con l’amore del prossimo. Possiamo immaginare che cosa direbbe oggi Geremia. Perciò non dobbiamo abbassare la guardia. Ne va del nostro futuro e di quello di tutta l’umanità.

Tempo Ordinario B – 19. Domenica

Il Maestro interiore

La liturgia di questa domenica propone il tema dell’esperienza di Dio. Al profeta Elia, che fugge perché la regina Gezabele lo vuole far uccidere, Dio gli indica la strada verso la sacra montagna, l’Oreb, dove si manifesterà a lui. Al tempo stesso gli dà un cibo che lo sostiene nel lungo cammino che dovrà percorrere. L’Oreb è un altro nome per indicare il monte Sinai ai piedi del quale Dio ha fatto con il popolo di Israele un’alleanza. Elia deve dunque risalire alle origini dell’esperienza religiosa del suo popolo. E’ un cammino interiore che deve fare da solo. Ma Dio gli è accanto e lo sostiene nei momenti di sconforto e di paura.

Nel brano del vangelo Gesù dice: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre mio». E soggiunge: «Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio». Poi sottolinea nuovamente: «Chiunque ha ascoltato il Padre viene a me». Il piano di Dio è dunque quello di condurre a sé tutta l’umanità. Perciò ha affidato al suo Figlio il compito di dare a tutti un insegnamento interiore che consiste nel saper ascoltare la voce dello Spirito. In altre parole egli conduce a Cristo quelli che lo cercano perché possano ottenere per mezzo suo quella istruzione interiore che è simboleggiata nella metafora del pane di vita. Gesù è il pane di vita in quanto è lui stesso la Parola che si dona e scava nel cuore degli uomini.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, viene proposto un nuovo modo di vivere che è frutto dell’esperienza interiore dello Spirito. Per il credente esiste il rischio di rattristare lo Spirito, mettendo al suo postro dottrine e regole di vita imposte dall’esterno. Lo scopo della vita cristiana è invece quello di fare un’esperienza interiore di Dio in modo tale da diventare suoi imitatori. Ciò significa imparare da Cristo, prendendo come punto di riferimento i suoi pensieri e le sue scelte.

Per noi cristiani c’è sempre il rischio di imporre dottrine e regole di vita prestabilite, presentandole come rivelazione di Dio, raccolte magari in prontuari (catechismi) da memorizzare. Ciò che importa invece è aiutare la persona a rientrare in se stessa e a scoprire in sé i valori a cui ispirarsi. E’ questo il compito che si è assunto Gesù e che ha trasmesso alla sua comunità.

Tempo Ordinario B – 14 Domenica

Fede e miracoli

La liturgia di questa domenica contiene una forte denunzia nei confronti di una religiosità basata sulla ricerca di prodigi e miracoli. Nel testo di Ezechiele, riportato nella prima lettura, gli israeliti sono condannati come una genia di ribelli. Il motivo non è detto, ma si tratta soprattutto di quella sottile idolatria che consiste nel ritenersi in diritto di ottenere i favori di Dio a prescindere dal proprio comportamento in campo etico. 

Nel brano del vangelo si dice che i compaesani di Gesù non erano disposti ad accogliere il suo insegnamento perché trovavano un ostacolo («scandalo») nella sua origine, umile e nota a tutti. Di lui infatti sono ben noti la professione di falegname, il nome di sua madre e quello dei suoi fratelli; le sue sorelle poi vivono ancora nel villaggio. Ma il rifiuto dei nazaretani consisteva soprattutto nel fatto che essi, in quanto suoi compaesani, pensavano di avere un particolare diritto ai suoi miracoli. Gesù non accetta tale pretesa: le sue opere prodigiose infatti non solo compiute per soddisfare le attese egoistiche di qualcuno ma per mostrare la potenza guaritrice del regno di Dio accolto con fede. L’atteggiamento dei nazaretani s’inserisce così nel contesto della rottura verificatasi ad un certo punto tra Gesù e gli abitanti della Galilea: costoro, attratti in un primo momento dai suoi miracoli, si sono allontanati ben presto da lui, vedendo che non potevano usufruire a proprio piacimento del suo potere straordinario. Secondo Marco Gesù commenta l’atteggiamento dei suoi compaesani osservando che «un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4). Questo detto riguarda i rapporti del popolo di Israele con gli inviati di Dio (cfr. 2Cr 36,15-16). Nell’atteggiamento dei nazaretani Marco vede dunque adombrato il rifiuto che il giudaismo istituzionale ha opposto a Gesù e al movimento che nascerà da lui. 

Nella seconda lettura Paolo mette in luce come nella sua debolezza si manifesti la potenza di Cristo. Come Gesù anche Paolo, diversamente da quanto si aspettavano i nazaretani, è convinto che Dio si manifesta non mediante grandi realizzazioni umane ma nel dono di sé che si attua nelle situazioni umili e quotidiane della vita.  

Il rischio più grande di ogni persona religiosa è quello di volersi appropriare di Dio e di aspettarsi da lui segni miracolosi. Sia i profeti che Gesù hanno condannato la falsa convinzione di avere Dio dalla propria parte per una sorta di privilegio, a motivo del culto a lui prestato. Dio non si lascia comprare da nessuno, ma è vicino a ognuno di noi per sostenerci nel nostro impegno quoticiano per rendere un po’ migliore il nostro mondo.