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Domenica delle Palme – C

La misericordia di Dio nella passione del Figlio

Nella domenica delle Palme la liturgia ricorda l’ingresso di Gesù in Gerusalemme (vedi le letture proposte per la processione) e al tempo stesso propone una riflessione sulla passione di Gesù. Come sfondo biblico viene riportato nella prima lettura il terzo carme del Servo del Signore. In esso si sottolinea il coraggio e la determinazione con cui questo personaggio affronta le sofferenze a cui va incontro per attuare il progetto di rinascita del popolo di Israele al termine dell’esilio. Egli si sente chiamato da Dio per questa missione e intende portarla a termine unicamente con un metodo non violento.

Nel racconto degli ultimi momenti della vita terrena di Gesù, Luca cerca di dare una risposta allo scandalo della morte violenta del Messia. Egli lo fa in modo narrativo, mostrando che essa è stata provocata dall’intervento di forze diaboliche che si sono scatenate contro di lui. All’origine di tutto c’è Satana che ha portato a termine la sua tentazione prendendo possesso di Giuda e tentando Simone e gli altri discepoli. Vi sono poi i membri del sinedrio, che vogliono a tutti i costi la sua morte e lo deridono quando si trova sulla croce, Ponzio Pilato che vorrebbe liberarlo ma poi cede alla pressione dei membri del sinedrio, Erode che si prende gioco di lui, i soldati che lo deridono e lo crocifiggono, uno dei due malfattori crocifissi accanto a lui che lo insulta. Sembra che tutte le forze del male, sia politiche che religiose, si siano coalizzate contro di lui per eliminare lo scomodo profeta che aveva rivelato l’infinita misericordia di Dio per tutta l’umanità.

Ma proprio il momento della sua apparente sconfitta segna l’inizio di un perdono che riguarda in primo luogo proprio coloro che si muovono intorno a lui: coloro che l’hanno crocifisso, uno dei malfattori crocifissi accanto a lui, le donne che si battono il petto e tutto il popolo giudaico che assiste alla sua morte senza far propri gli insulti rivolti a lui dai loro capi. Tutti questi dettagli mettono in risalto come il popolo giudaico non ha abbandonato Gesù, ma gli è stato vicino dissociandosi così dai suoi capi. Pur non escludendo la colpa dei giudei, Luca fa dunque un’importante distinzione, che mette in luce il suo sentimento di apertura e di com­prensione verso il popolo giudaico, che si è trovato coinvolto suo malgrado in una tragedia la cui portata effettiva gli sfuggiva. Anche Pilato, pur avendo condannato Gesù, non era ostile a lui e ha riconosciuto la sua innocenza, come d’altronde ha fatto il centurione al momento della sua morte.

Sullo sfondo di questa profonda interpretazione della morte di Gesù emerge molto vivido, come nel contesto dei tre grandi annunzi della passione fatti da Gesù durante la sua vita terre­na, il tema della sequela. Luca non ricorda l’abbandono dei discepoli, anche se nelle ammonizioni rivolte loro da Gesù al termine della cena è prevista la loro defezione a cui fa seguito la conversione. È lo sguardo di Gesù che provoca il pianto di Pietro, il quale potrà così confermare i suoi fratelli. Luca inoltre presenta, come simbolo e modello di sequela, nuove figure di attori nel dramma della passione: il Cireneo che porta la croce dietro Gesù, la folla che lo segue battendosi il petto, il buon ladrone, che entra con Gesù in paradiso, il centurione che riconosce in Gesù un uomo giusto, i suoi conoscenti e le donne che lo avevano seguito dalla Galilea e infine Giuseppe di Arimatea, un discepolo oc­culto che si prende cura del corpo di Gesù. Il racconto della morte di Gesù si salda così con quello della cena, al termine della quale Luca ha raccolto le ammoni­zioni di Gesù riguardanti la sequela, mostrando che essa è l’unica strada aperta al discepolo, anche dopo il trauma del tradimento, per entrare nel regno di Dio da lui annunziato.

Nella seconda lettura Paolo mette in luce come Gesù abbia rifiutato qualsiasi privilegio e si sia fatto solidale con l’umanità accettando la morte più brutale e crudele. Ma proprio in questa umiliazione ha manifestato la grandezza più sublime che gli è stata riconosciuta non solo da Dio ma anche da tutte le creature.

Tempo di Quaresima C – 3. Domenica

L’appello alla conversione

In questa terza domenica di quaresima la liturgia propone alla nostra riflessione il tema della conversione. Nella prima lettura si parla di un’esperienza che sta a monte di un cammino di conversione, quella cioè di sentirsi coinvolti in un progetto di liberazione che fa parte, per così dire, della stessa natura di Dio, che è definito dal suo stesso nome: Io sono (con voi). Dio infatti rivela a Mosè il suo nome in concomitanza con la sua decisione di intervenire per liberare il suo popolo dalla schiavitù. Il suo scopo non è semplicemente quello di porre fine alle sofferenze degli israeliti, ma di prenderli con sé e di accompagnarli verso la terra che aveva promesso ai loro padri. Nel salmo si dice: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità». Solo l’esperienza di questa infinita misericordia di Dio può causare una conversione sincera.

Nel brano del vangelo Gesù affronta due casi di attualità, la repressione nel sangue da parte di Pilato di una rivolta organizzata da parte di un gruppo di galilei e la morte di diciotto persone causata dal crollo della torre di Siloe. Riguardo a ciascuno di questi casi Gesù osserva che le vittime non erano peggiori dei suoi ascoltatori e preannunzia che costoro saranno anch’essi vittime di tragedie analoghe se non si convertiranno. E, subito dopo, l’evangelista riporta la parabola dell’albero di fico, al quale viene dato ancora un anno di tempo ma poi se non porta frutto sarà tagliato. Dio ha pazienza con noi, non ci mette alle strette. Ciò non toglie però che noi non possiamo aspettare all’infinito, dobbiamo fare una scelta. Altrimenti le conseguenze possono essere drammatiche per noi stessi e per tutta la società.

Nella seconda lettura Paolo ricorda ai cristiani di Corinto che gli ebrei dell’esodo non sono stati fedeli al loro Dio e perciò hanno ricevuto un severo castigo. E questo nonostante i doni ricevuti, che in qualche modo preannunziavano i due grandi sacramenti ricevuti dai cristiani stessi: il battesimo e l’eucaristia. Secondo Paolo la loro vicenda doveva servire da ammonizione a quei cristiani che non sapevano mantenersi all’altezza delle grandi scelte fatte nel battesimo e rinnovate nella celebrazione eucaristica.

La conversione è un’esigenza che ci accompagna per tutta la vita perché la fedeltà al Vangelo non può mai essere data per scontata. Ma la conversione non è facile e non si può ottenerla facendo ricorso all’arma della paura. Purtroppo la paura del castigo è stata spesso usata anche dai predicatori cristiani come mezzo per richiamare i peccatori alla conversione. Ma Dio non ha bisogno di ricorrere alla paura per attirarci al bene. Dio fa onore al suo nome: la sua misericordia è più convincente della paura. Ma noi dobbiamo aprire gli occhi. E a volte le grandi tragedie personali e dell’umanità sono un’occasione preziosa per rientrare in noi stessi e chiederci qual è il vero senso della nostra vita. Non lasciamocele scappare.

Tempo Ordinario B – 03. Domenica

Chiamati per il regno di Dio

Il tema del vangelo di questa domenica è la venuta ormai prossima del regno di Dio annunziato da Gesù. La prima lettura è stata scelta per introdurre questo tema. Giona però non porta a Ninive un lieto annunzio, ma un annunzio di sventura: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». L’autore di questo libretto non dice quale fosse il peccato di questa grande città, ma lo possiamo dedurre dalle accuse dei profeti, in modo speciale di Naum, che descrive la distruzione della città: idolatria, ingiustizia, sfruttamento e oppressione nei confronti dei più deboli. Nella predicazione di Giona però era implicita una buona notizia: la possibilità per i niniviti di essere preservati da tale castigo a patto che si convertissero. È quanto essi fanno e Dio cambia idea ed evita di fare il male che aveva minacciato.

Secondo il vangelo di Marco invece Gesù non pone nessuna condizione. Il suo vangelo è una buona notizia perché annunzia che Dio agisce di sua iniziativa e gratuitamente per trasformare il mondo. Il suo regno consiste in un mondo nuovo, dove tutti sono fratelli e sorelle e condividono in pace i doni che Dio ha fatto a tutti i suoi figli. Per lui la conversione consiste non in una confessione dei peccati o in riti penitenziali come quelli praticati dai niniviti o il battesimo amministrato da Giovanni il Battista, ma semplicemente nel credere a questa buona notizia, lasciandosi coinvolgere nella nuova realtà a cui Gesù dava inizio. Tutto il resto sarebbe scaturito spontaneamente da questa scelta. Come esempio dell’efficacia di questa buona notizia l’evangelista riferisce la chiamata dei primi discepoli, i quali sono così fortemente attratti da Gesù da lasciare tutto per mettersi al suo seguito. Il costituirsi del gruppetto dei discepoli è il segno più evidente che Dio sta già realizzando il suo regno.

Ma allora che cosa implica la chiamata di Gesù? Lo spiega Paolo nella seconda lettura quando invita i corinzi a vivere «come se…». Questa espressione potrebbe essere interpretata come un invito all’ipocrisia. Invece con essa Paolo li esorta a non dare un valore assoluto ad alcuna realtà terren:, i soldi, il matrimonio e la famiglia, le gioie e i dolori della vita. In altre parole, Paolo invita ad adottare nei rapporti con gli altri una logica nuova, che è quella dell’amore e della solidarietà. Infatti questo mondo è destinato a finire mentre i valori del regno di Dio rimangono in eterno. 

La chiamata a seguire Gesù esige anche da noi la disponibilità ad aprire gli occhi, a vedere l’opera di Dio che si realizza già ora mediante tanti uomini e donne di buona volontà, che si lasciano affascinare dai valori del Regno da lui annunziato. Ciò implica un cambiamento radicale di mentalità che comporta un diverso modo di vivere. Seguire Gesù non significa essere muti consumatori di servizi religiosi ma impegnarsi per un mondo nuovo, conforme ai valori del vangelo.