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Rito o memoria?

Sì, è vero, un rito può esprimere un ricordo, una memoria. Ma se questo rito si ripete all’infinito, per solennizzare qualunque evento, senza una vissuta partecipazione a ciò che si ricorda, forse è legittima la domanda circa la sua efficacia commemorativa. Se ricordiamo la tragica fine di uno che si è impegnato fino in fondo per la giustizia e la solidarietà, bisognerà pur fare qualche gesto che lo ricordi e mostri in concreto gli effetti della sua scelta. Sarà sufficiente una partecipazione esteriore, l’ascolto di testi non conosciuti e non capiti o di una predica non condivisa, una fugace stretta di mano per esprimere il coinvolgimento in una vita donata per gli ultimi, per i rifiuti dell’umanità? Che cosa hanno ormai a che vedere con il gesto finale di Gesù le grandi celebrazioni, con tanti vescovi e preti e una massa anonima, con in prima linea tante teste coronate? E nel nostro piccolo, che senso hanno le nostre messe domenicali a cui partecipano persone che non si conoscono, non condividono, ma si limitano ad assistere alla “messa di precetto”, magari con tanta devozione oppure scalpitando per una predica troppo lunga? Forse dobbiamo cominciare a farci queste domande, quando constatiamo desolati che la gente diserta le nostre messe.

Guerra Russia-Ucraina

Le parole del Papa mettono a nudo la mancata iniziativa della troika Draghi-Macron-Scholz
di Marco Politi
in .. wwwilfattoquotidiano.it s s del2I giugno 2022


Le parole di papa Francesco sono ormai incancellabili. La sua frase che la guerra in U craina non va giudicata secondo lo schema che “Cappuccetto Rosso era buona e il Lupo era cattivo”, è destinata a pesare nell’opinione pubblica. Sarebbe sbagliato archiviare le sue parole come il tweet di un politico qualsiasi. Perché accompagneranno ormai – come l’ombra di Banquo nel Macbethogni ulteriore fase del dibattito sugli scopi del conflitto, sui suoi effetti e sui suoi costi.
Non è più possibile fare gli ingenui nascondendosi dietro slogan. Nell’affermare che “qui non ci sono buoni e cattivi in senso metafisico, in modo astratto”, ma si sta manifestando un avvenimento globale “con elementi che sono molto intrecciati tra di loro”, papa Bergoglio ha spezzato l’incantesimo del clima di marketing che circonda il conflitto fin dal primo momento.
Non c’è altra guerra, infatti, in cui 24 ore su 24 la grande stampa e i canali televisivi abbiano riversato sull’opinione pubblica una “verità ufficiale” da cui è vietato deflettere. Nessuna strage di innocenti, nessun bambino soffocato sotto le macerie, nessuna donna mitragliata, nessun vecchio ucciso nei bombardamenti in Iraq, Yemen, Afghanistan, Gaza o altrove, in quella che Francesco ha chiamato la “Terza guerra mondiale a pezzetti”, ha mai ricevuto una simile continua esposizione mediatica.
Di pari passo la macchina del marketing politico bolla come putiniani chiunque presenti un’analisi del conflitto disallineata rispetto alla verità ufficiale. Henry Kissinger è un putiniano? Si urla al “partito della resa” ogni qualvolta si profila ciò che avviene da quando sono state inventate le guerre fra stati: mettere sul tavolo i rispettivi interessi delle parti e cercare una composizione possibile.
Smontare la favola semplicistica del conflitto in Ucraina, come ha fatto il pontefice, significa mettere da parte la falsa narrativa che in Ucraina si trovino le Termopili d’Europa, dove infuria la battaglia perché le armate russe non arrivino sul lago di Como. Gli storici e gli analisti politici
sanno che negli ultimi trent’anni Mosca non ha mai pensato di aggredire gli Stati baltici o la Polonia e meno che mai ha minacciato la neutralità di Svezia e Finlandia.
I riferimenti del pontefice al contesto in cui è maturato il conflitto sono pertinenti. Come mai nel 1962 Stati Uniti e Unione sovietica hanno evitato lo scontro nella crisi di Cuba? Perché entrambe le potenze hanno riconosciuto come legittimi i rispettivi “interessi di sicurezza nazionale” (l’espressione è americana). L’Urss ha rinunciato a installare missili a Cuba, alle frontiere degli Stati Uniti, e gli Usa hanno ritirato i missili Jupiter dal confine turco-sovietico.
Quando Francesco parla dell’abbaiare della Nato tocca un punto preciso. La neutralità dell’Ucraina era ed è considerata da Mosca una faccenda di sicurezza nazionale e, come tutti sanno, dovrebbe far parte di un futuro accordo di pace.
Come mai allora, nei mesi precedenti il conflitto, la Nato e Washington si sono tenacemente opposti a garantire la neutralità di Kiev e il suo non ingresso nell’ Alleanza atlantica? Colpisce il fatto che la “verità ufficiale” si sforzi di irridere il concetto di zone sensibili alla sicurezza di Mosca, mentre scatta subito l’allarme statunitense se la Cina stringe un accordo con le Isole Salomone. Gli Usa accetterebbero il Messico membro di un’alleanza militare estranea, ha fatto notare Bemie Sanders?
Quando Francia e Germania nel 2008 si opposero all’allargamento della Nato all’Ucraina sapevano quello che facevano. Perché un blocco politico-militare non è un tennis club a cui si
aderisce pagando la quota. E’ uno strumento di potere geopolitico. Il suo estendersi o restringersi risponde a precisi interessi militari e di influenza politica
La Storia ha i suoi archivi. Quando dopo la caduta del franchismo i socialisti spagnoli posero l’obiettivo del non ingresso della Spagna nella Nato furono sottoposti a tali pressioni e ricatti diplomatici che dovettero cambiare linea. Egualmente, allorché i socialisti greci, passato il regime dei colonnelli, vollero uscire dalla Nato, fu loro pressantemente sconsigliato.
In Vaticano le dichiarazioni sulla situazione internazionale non si improvvisano. Il No di Giovanni Paolo II all’invasione dell’Iraq voluta da Bush fu inizialmente commentato con sufficienza dai capi politici e militari dell’operazione (“Le parole di Wojytla non hanno cambiato di una virgola gli eventi”, si usava dire nei primi tempi del 2003). Eppure nel corso degli eventi si rivelò un lucido avvertimento, che evidenziava la catastrofe dell’avventura militare.
Allo stesso modo il monito di Francesco getta luce sulla scelta improvvida di seguire per inerzia la logica dell’escalation. Papa Bergoglio in questo atteggiamento si trova in sintonia con l’opinione pubblica mondiale. Gli Stati che rappresentano più della metà della popolazione del pianeta non condividono l’aggressione russa all’Ucraina ma non sono d’accordo con la guerra santa, che anima i falchi dello schieramento occidentale.
L’idea che sia venuto il momento di mettere in ginocchio la Russia e ridurla a potenza di secondo rango semplicemente non è condivisa dalla maggioranza del pianeta. L’idea di nuove regole per governare la coesistenza e la collaborazione internazionale – il nuovo Patto di Helsinki propugnato da Bergoglio – incontra invece il favore della parte maggioritaria del mondo. Il pontefice nulla toglie alle responsabilità russe. La sua denuncia della “brutalità e ferocia con cui questa guerra viene portata avanti dalle truppe, generalmente mercenarie, utilizzate dai russi”, è chiarissima. Altrettanto chiara è la sua convinzione che prolungare il conflitto porti soltanto ulteriori rovine e perciò vada promossa una seria iniziativa per arrivare a trattative di tregua e di pace.
L’intervento di Francesco mette a nudo la mancanza di una reale iniziativa del governo italiano e della troika Draghi-Macron-Scholz. Chi, dove, quando ha autorizzato la presidente dell’Unione Ursula von der Leyen a parlare di “vittoria” come obiettivo dell’alleanza Nato-Ue-Ucraina? Quale vittoria, con quali elementi? Sarebbe sbagliato sottovalutare che Francesco si trova anche in sintonia con la compatta maggioranza della popolazione italiana, che non vuole altri invii di armi a Kiev.
Il popolo non è stupido, i sondaggi sono strumenti imperfetti, ma il fiuto popolare ha capito perfettamente che il governo italiano non sta definendo con chiarezza gli obiettivi dell’aiuto militare, economico e politico fornito a Kiev.
Ci sono tre opzioni. Riportare la situazione al 24 febbraio 2022. Riportare la situazione al 1991. Combattere per scardinare lo status della Russia. Mentre incombe l’inflazione e la recessione, mentre si fa strada a livello mondiale la crisi economica, energetica e alimentare, la popolazione vuole sapere qual è l’obiettivo scelto dal governo italiano e dall’Unione Europea.
Intanto sta toccando con mano che l’inerzia non giova né alla pace né ai condizionatori.

Una politica migratoria razzista

“Non c’è una umanità di serie A e un’umanità di serie B. Fa bene Colombo a ricordare i lager libici,
dove da anni vengono perpetrati orrendi crimini. Denunciamo ovunque le violenze e non restiamo
indifferenti. Perciò plaudiamo all’accoglienza dei profughi ucraini, ma restiamo esterrefatti di fronte
a una politica migratoria evidentemente razzista che discrimina chi ha la pelle più scura: gli studenti
stranieri o i lavoratori temporanei di altre nazionalità, che erano in territorio ucraino, non sono
compresi nella protezione accordata dall’Europa. Bambini afghani, siriani, curdi restano a morire
fuori dalle nostre frontiere. Il problema è lo Stato nazionale, una forma politica discriminatoria che
ora mostra il suo volto decrepito e violento. Perciò auspichiamo una Unione europea dei popoli in
grado di superare il criterio della nazione. Chi è di sinistra, anziché prendere le parti di una nazione
contro l’altra, dovrebbe assumere il punto di vista che un tempo si diceva inter-nazionalista e che
oggi potremmo dire al di là delle nazioni”.

(da Donatella Di Cesare, Caro Colombo, pure io sto coi bimbi (tutti). Infatti dico “No armi”, in “Il fatto quotidiano” del 4/4/2022)