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Rito o memoria?

Sì, è vero, un rito può esprimere un ricordo, una memoria. Ma se questo rito si ripete all’infinito, per solennizzare qualunque evento, senza una vissuta partecipazione a ciò che si ricorda, forse è legittima la domanda circa la sua efficacia commemorativa. Se ricordiamo la tragica fine di uno che si è impegnato fino in fondo per la giustizia e la solidarietà, bisognerà pur fare qualche gesto che lo ricordi e mostri in concreto gli effetti della sua scelta. Sarà sufficiente una partecipazione esteriore, l’ascolto di testi non conosciuti e non capiti o di una predica non condivisa, una fugace stretta di mano per esprimere il coinvolgimento in una vita donata per gli ultimi, per i rifiuti dell’umanità? Che cosa hanno ormai a che vedere con il gesto finale di Gesù le grandi celebrazioni, con tanti vescovi e preti e una massa anonima, con in prima linea tante teste coronate? E nel nostro piccolo, che senso hanno le nostre messe domenicali a cui partecipano persone che non si conoscono, non condividono, ma si limitano ad assistere alla “messa di precetto”, magari con tanta devozione oppure scalpitando per una predica troppo lunga? Forse dobbiamo cominciare a farci queste domande, quando constatiamo desolati che la gente diserta le nostre messe.

Corpo e Sangue del Signore C

Una memoria sovversiva

Per milioni di persone il pane, inteso come cibo necessario per la sopravvivenza, è un problema quotidiano di difficile soluzione. Questo tema è segnalato dalla prima lettura dove si racconta un fatto di cui è protagonista Abramo. Egli aveva saputo che suo nipote Lot era stato sequestrato da alcuni re che avevano invaso il territorio in cui abitava; egli allora, con l’aiuto di altri uomini, era corso a liberarlo. Di ritorno da questa spedizione gli va incontro Melkisedek, re di una piccola città-stato, quella che sarà in seguito Gerusalemme, il quale offre pane e vino a lui e ai suoi uomini. È un gesto di grande umanità. Non per nulla il suo nome significa: «il mio re è giustizia». Siccome era anche sacerdote di una divinità chiamata «dio altissimo», egli benedice Abramo in nome della sua divinità. Fede e solidarietà vanno di pari passo.

Nel brano del vangelo si riporta il racconto della moltiplicazione dei pani, così come lo ha trasmesso l’evangelista Luca. Anche in esso si fondono due temi, quello umanitario e quello spirituale. Infatti da una parte Gesù è preoccupato per il bene fisico di una folla affamata, dall’altra fa un gesto che richiama l’ultima Cena, nel corso della quale ha istituito l’eucaristia. Ciò che unisce questi due momenti è l’annunzio della venuta imminente del regno di Dio. Sfamando la folla, Gesù ha voluto dimostrare che il regno di Dio è un mondo ispirato all’amore e alla giustizia, nel quale non ci sarà più chi dispone di miliardi e chi muore di fame. Nell’ultima Cena, donando il suo corpo come cibo ai suoi discepoli, Gesù ha dimostrato che la giustizia del regno di Dio non si attua semplicemente aumentando la produttività ma soprattutto creando rapporti nuovi di solidarietà e di fraternità.

Nella seconda lettura viene ripreso il tema del rapporto che intercorre tra esigenza umanitaria e rapporto personale con Gesù. In essa infatti Paolo si riferisce a quanto capitava a Corinto in occasione del pasto comune che accompagnava la celebrazione eucaristica: i cristiani più benestanti, che avevano portato gran parte del cibo, banchettavano allegramente mentre i poveri facevano la fame. A loro Paolo racconta quello che Gesù ha fatto nell’ultima cena non perché i cristiani di Corinto non ne fossero al corrente, ma per ricordare che non si può fare la memoria di Gesù e poi discriminare i più poveri.

Quando celebriamo l’eucaristia dobbiamo essere consapevoli che stiamo facendo un gesto di grande portata non solo spirituale ma anche sociale e politico. Non tanto perché magari, in certi casi, facciamo delle collette per scopi umanitari, ma perché la memoria di Gesù ci insegna a impegnarci in tutti i campi per trasformare la società in cui viviamo in una famiglia in cui regna una vera giustizia ispirata dall’amore.

Tempo Ordinario B – 20. Domenica

Una vita piena di significato

La liturgia di questa domenica invita a riflettere sul significato della vita. Nella prima lettura entra in scena la Sapienza che prepara un banchetto al quale invita gli inesperti con queste parole: «Abbandonate l’inesperienza e vivrete…». La sapienza è una metafora per indicare Dio stesso in quanto entra nelle vicende umane. E l’insegnamento che, attraverso il simbolo del pane e del vino, la sapienza elargisce agli inesperti è la capacità di vivere in modo saggio, mettendo al primo posto i valori fondamentali: la giustizia, gli affetti, il rapporto con gli altri.

Secondo l’evangelista Giovanni, Gesù si presenta come il pane disceso dal cielo e promette di donare pienamente, a chi mangerà il suo corpo e berrà il suo sangue, la vita promessa da Dio al suo popolo. Questa affermazione è stata intesa normalmente in riferimento a un’altra vita, che si ottiene dopo la morte mediante i meriti accumulati in questa vita; quindi solo la vita dopo la morte avrebbe la prerogativa di essere «eterna». Gesù invece promette questa vita eterna già in questo mondo. Egli quindi fa propria l’idea di vita espressa in tanti testi della Bibbia e si limita a sottolineare che è lui a donare questa vita a chi «mangia» il suo corpo e «beve» il suo sangue. Questa immagine significa simbolicamente l’adesione piena a lui e al suo insegnamento. Questo rapporto pervade tutta la vita del credente, ma trova un punto di riferimento nella celebrazione eucaristica, in cui il credente mangia il pane e beve il vino che sono il segno della sua presenza reale nella comunità. Questo incontro comunitario è all’origine di rapporti nuovi tra persone diverse che imparano a conoscersi e a rispettarsi, entrando così in un’ottica di solidarietà e di amore.

Anche nel brano della lettera agli Efesini c’è in primo piano l’esigenza di una vita che non sia da stolti ma da saggi. L’autore spiega che noi, per vivere, non abbiamo bisogno di droghe, come il vino, ma del dono dello Spirito santo, che rappresenta la presenza intima di Dio e di Gesù Cristo nei credenti, presupposto di un’autentica vita comunitaria.

Nel nostro mondo occidentale l’abbondanza dei beni materiali crea l’illusione che siano essi lo scopo della vita. Da ciò deriva lo sforzo per avere sempre più in soldi e generi di consumo, sacrificando per questo affetti, sentimenti e valori come la giustizia e la solidarietà. Ma così facendo non si dà un senso alla vita. Lo dimostra il senso di vuoto che sperimenta tanta gente e il ricorso a droghe di ogni tipo. Il vangelo ci invita a rientrare in noi stessi e a riscoprire la realtà suprema di un Dio che è mistero ma che ci invita, per mezzo di Gesù, a trovare il senso della vita nel rapporto con l’altro, chiunque egli sia.