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Tempo Ordinario B – 7. Domenica

Perdono e guarigione

La liturgia di questa domenica suggerisce il tema del rapporto tra peccato, perdono e guarigione. Nella prima lettura, ricavata dalla seconda parte del libro di Isaia (Deutero-Isaia) si parla della rinascita di Israele dopo l’esilio babilonese. Il popolo aveva peccato ed era stato punito da Dio. Adesso però Dio lo ha perdonato e lo rinnova profondamente. Altrove, sempre nel contesto del ritorno dall’esilio, si fa ricorso all’immagine di malati che, sulla strada verso la terra promessa, sono guariti dai loro malanni. Secondo la mentalità biblica, il peccato è la causa di sofferenze e sventure e spesso anche malattie sono viste metaforicamente come un castigo divino. Perciò la guarigione fisica presuppone un cambiamento interiore, una conversione.

Nel brano del vangelo viene presentato a Gesù un paralitico, con la domanda implicita di guarirlo. Ma stranamente Gesù, proprio vedendo la fede di chi lo aveva condotto da lui, invece di guarirlo gli dice che i suoi peccati sono perdonati. È chiaro che anche per Gesù c’è un rapporto tra peccato e malattia. E su questo punto non è difficile essere d’accordo con lui: senza voler generalizzare, bisogna riconoscere che spesso le malattie sono conseguenza di rapporti sbagliati con se stessi e con gli altri. Perciò la guarigione del corpo presuppone sempre una terapia dell’anima, una «psicoterapia». Il malato non è una macchina da riparare, ma una persona da risanare nel suo intimo prima che nel corpo. Per questo Gesù antepone il perdono alla guarigione fisica. Egli lo fa di sua iniziativa, perché ha visto la fede degli amici del paralitico, e non in seguito a una richiesta del malato. Il perdono infatti, come disposizione d’animo, precede la richiesta del colpevole, il quale può pentirsi solo se sa di poter contare sulla misericordia di chi ha offeso, sia questi un uomo o Dio stesso. Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, ha il potere di rimettere i peccati sulla terra perché manifesta il Dio che è amore. Ma lo fa unicamente mediante l’impegno personale di coloro, cristiani o no, che credono in una giustizia vera.

È proprio sulla comunità dei credenti che la seconda lettura richiama la nostra attenzione. Paolo ricorda che in Cristo Dio ha attuato le sue promesse e ne rende partecipi coloro che credono in lui: infatti ha conferito loro l’unzione, ha impresso il sigillo, ha infuso nei loro cuori lo Spirito che è un anticipo della pienezza futura. Con queste parole egli vuole dire che la comunità cristiana, se è fedele a Cristo è dotata di una funzione terapeutica nei confronti dei suoi membri.

La malattia e la morte non sono semplicemente l’effetto di agenti patogeni, ma derivano in gran parte da tutto quello che definiamo come peccato, cioè dalla mancanza di giustizia e di amore. Esistono tante cause di carattere sociale e politico, quali la corruzione, la malsanità, la disgregazione politica, le violenze e i crimini, che attentano alla salute delle persone. La guarigione del corpo esige anche una terapia dell’anima. Ai medici spetta il compito di curare il corpo, tenendo conto che hanno di fronte a sé non una cosa ma una persona. A noi spetta il compito enorme di risanare lo spirito attuando rapporti nuovi tra le persone. Se questo non lo facciamo noi credenti, mi chiedo onestamente chi potrebbe farlo e con quali mezzi.

Tempo di Pasqua C – 2. Domenica

La liberazione dal peccato

La liturgia di questa domenica mette in luce il tema della liberazione dal peccato che Gesù risorto continua ad attuare per mezzo dei suoi discepoli. Nella prima lettura si dice che, dopo la sua risurrezione, i suoi discepoli gli hanno reso testimonianza, e lo hanno fatto non con discorsi altisonanti ma attuando un profondo rapporto comunitario e seguendo il suo esempio, cioè guarendo le malattie e lottando contro ogni genere di male che colpisce la gente comune, soprattutto i più poveri ed emarginati.

Nel brano del vangelo è Giovanni che, raccontando l’apparizione di Gesù risorto ai discepoli, indica il compito che egli ha affidato loro. Ciò che essi dovranno fare si sintetizza in due parole: perdonare i peccati. Questo compito si attua mediante una guarigione che parte dalla persona e si espande a tutta la società. Il perdono dei peccati significa infatti aiutare le persone a superare i sentimenti di violenza che si annidano nel cuore umano. Per fare ciò i discepoli dovranno suscitare la fede in un progetto d’amore che parte dall’Alto e creare rapporti nuovi improntati all’amore. Ciò è possibile solo dando origine a un movimento di liberazione da tutte le strutture ingiuste che si esprime mediante la formazione di comunità basate sulla fede. Si tratta di un compito difficile da attuare: perciò Gesù conferisce ai discepoli il suo Spirito, che consiste in una convinzione profonda che fa superare ogni difficoltà. E come risultato Gesù promette la pace che dal cuore dei credenti si espande a tutta la società. In questo contesto è importante la figura simbolica dell’apostolo Tommaso, il quale giunge alla fede solo dopo aver visto Gesù risorto. Chiaramente si trattava non semplicemente di riconoscere che Gesù è vivo ma di credere che il suo progetto di liberazione da ogni forma di male non era stato accantonato, ma sarebbe stato portato avanti da lui per mezzo dei suoi discepoli.

Nella seconda lettura è significativo il modo in cui Gesù si presenta a Giovanni: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi». Questa frase mostra come sia possibile impegnarsi per la vita, in tutte le sue manifestazioni, perché Gesù, il Vivente, è con noi.

Dalle letture di questa domenica risulta che il cristianesimo porta nel suo DNA la lotta contro il potere del male in questo mondo, dovunque si annidi, sulla linea di quanto ha fatto e ha detto Gesù e sotto la sua guida. Il perdono dei peccati non avviene mediante un gesto rituale ma consiste nell’impegno per la guarigione delle anime e dei corpi in funzione della liberazione di tutta la società dalle strutture ingiuste che pervadono i rapporti tra persone. È un compito difficile, che richiede di saper coordinare i propri sforzi con quelli di tutti gli uomini e donne di buona volontà, sotto la guida di un Maestro come Gesù e con la forza che viene dal suo Spirito.

Tempo di Quaresima C – 4. Domenica

La riconciliazione

Il tema della liturgia di questa domenica è indicato con chiarezza nella seconda lettura, dove si parla della riconciliazione tra Dio e l’umanità. In questa prospettiva si può leggere la prima lettura nella quale si parla degli israeliti che, dopo essere entrati nella terra promessa, praticano la circoncisione per la prima volta, dopo il periodo del deserto, e cominciano a godere i frutti della terra in cui sono entrati. Questo evento viene commentato come un intervento di Dio che ha allontanato da loro l’infamia dell’Egitto. Questa infamia consiste nella mentalità dello schiavo che gli israeliti hanno portato con sé nelle loro peregrinazioni nel deserto: infatti era stato quello il periodo in cui, davanti alle difficoltà del cammino intrapreso, invece di riporre la loro fiducia nel Dio che li aveva liberti, avevano rimpianto le cipolle d’Egitto.

Nel brano evangelico è riportata la parabola del padre misericordioso. In essa non si dice perché il figlio minore se ne sia andato, ma possiamo immaginare che egli fosse spinto da un desiderio di libertà che riteneva gli fosse negata dal padre. Per lui il ritorno, determinato non dall’amore ma da uno stato di necessità, comporta la scoperta di un’altra immagine di padre che precedentemente gli era sfuggita. Un padre che non si sente offeso dal comportamento del figlio, lo lascia andare e, quando torna, lo accoglie senza rimproveri, gli impedisce persino di concludere la sua confessione e fa festa per lui. Al contrario il figlio maggiore continua a sentirsi come uno schiavo nella casa del padre e di conseguenza non sa accogliere il fratello minore che è ritornato dopo una dolorosa esperienza di miseria e di solitudine. La parabola mette dunque in luce come solo l’esperienza della infinita misericordia di Dio apre la strada alla riconciliazione tra gli uomini.

Nella seconda lettura emerge espressamente il tema della riconciliazione. Paolo parla direttamente della riconciliazione degli uomini con Dio, il quale non aspetta che essi gli chiedano perdono, ma interviene gratuitamente in loro favore e li accoglie in Cristo. Questa riconciliazione presuppone il superamento dell’idea di un Dio potente che impone la sua volontà, in favore di quella di un Dio che, dietro le quinte, guida l’umanità verso una meta di giustizia e di pace.

La riconciliazione tra Dio e l’umanità diventa visibile quando si impara a considerare Dio non come un sovrano potente, che regge le vicende umane con le sue leggi e con severe punizioni in questa e nell’altra vita, ma come un padre amorevole che accoglie tutti i suoi figli. Apparentemente questo cambio di prospettiva può apparire come una pericolosa deriva. E invece è la condizione per ritrovarsi insieme come fratelli e sorelle, dotati di una stessa dignità e quindi chiamati ad abbattere i muri che ci separano e a creare una diversa convivenza, basata non sul potere ma sull’amore.