Autore: Alessandro Sacchi

nato ad Alessandria classe 1937 laureato in scienze bibliche

Festa della Trasfigurazione

Seguire Gesù

La festa della trasfigurazione la prima lettura ci riporta a un tempo di gravi tensioni in cui il popolo giudaico si è trovato a causa della persecuzione del re Antioco IV Epifane /2015-164 a.C.). In questo contesto la visione di Daniele rappresenta una forte contestazione degli imperi di questo mondo, rappresentanti come potenze demoniache che al momento stabilito vengono distrutte. Al loro posto Dio stabilisce il suo regno mediante un suo rappresentante, al quale affida il compito di attuare quei principi di giustizia e di solidarietà che ispirano la sua azione nel mondo.

Il racconto della trasfigurazione fa seguito a un brano in cui Gesù chiede ai discepoli: «Chi dice la gente che io sia? Cosa ne dite voi? Essi rispondono che la gente lo considera un profeta, loro invece vedono in lui il messia. Ma Gesù non si pronunzia e preferisce preannunziare la sua passione e la sua morte, seguita dalla risurrezione (Mc 8,27-31). Nel racconto della trasfigurazione viene data una risposta più esplicita alla domanda sull’identità di Gesù, facendo riferimento alle immagini dell’Antico Testamento, ben note ai primi cristiani, tutti di origine ebraica. Le vesti di Gesù, diventate straordinariamente bianche, indicano che egli è un personaggio trascendente, in cui Dio si rivela. Elia e Mosè, apparsi accanto a lui, sono coloro che, nella Bibbia, rappresentano la corrente profetica e la legge di Dio. Gesù è presentato in dialogo con loro, per significare che egli non nega il loro messaggio, ma lo porta a compimento. L’apparizione della nube ricorda il figlio dell’uomo, di cui si parla nella prima lettura, il quale riceve da Dio il regno e la potenza. Infine Dio stesso interviene, nella nube, a indicare la vera identità di Gesù: egli è il suo figlio prediletto, cioè il Messia atteso dai suoi connazionali. Si saldano così l’Antico e il nuovo Testamento: il primo non è eliminato ma è portato a compimento.

Alla fine del racconto resta solo Gesù. La legge e i profeti sono scomparsi. In lui soltanto si concentra tutta la rivelazione di Dio. Ciò che interessa al narratore non è però l’esaltazione della persona di Gesù, ma l’invito ad ascoltarlo, che proviene da Dio stesso, rappresentato dalla nube: anche nell’Antico Testamento Dio aveva invitato gli israeliti ad ascoltare i profeti, suoi rappresentanti (cfr. Dt 18,15).

Nei confronti di Gesù, nonostante il suo rapporto con Dio che lo fa più grande di Mosè e dei profeti, non sono dunque richiesti atti di culto, ma l’adesione al suo messaggio e l’impegno quotidiano per seguirlo nel suo cammino verso la croce. Questo tema è ripreso nella seconda lettura, dove il messaggio dei profeti viene presentato non come un’anticipazione ma come la conferma di ciò che Gesù è stato e ha detto.

Rito o memoria?

Sì, è vero, un rito può esprimere un ricordo, una memoria. Ma se questo rito si ripete all’infinito, per solennizzare qualunque evento, senza una vissuta partecipazione a ciò che si ricorda, forse è legittima la domanda circa la sua efficacia commemorativa. Se ricordiamo la tragica fine di uno che si è impegnato fino in fondo per la giustizia e la solidarietà, bisognerà pur fare qualche gesto che lo ricordi e mostri in concreto gli effetti della sua scelta. Sarà sufficiente una partecipazione esteriore, l’ascolto di testi non conosciuti e non capiti o di una predica non condivisa, una fugace stretta di mano per esprimere il coinvolgimento in una vita donata per gli ultimi, per i rifiuti dell’umanità? Che cosa hanno ormai a che vedere con il gesto finale di Gesù le grandi celebrazioni, con tanti vescovi e preti e una massa anonima, con in prima linea tante teste coronate? E nel nostro piccolo, che senso hanno le nostre messe domenicali a cui partecipano persone che non si conoscono, non condividono, ma si limitano ad assistere alla “messa di precetto”, magari con tanta devozione oppure scalpitando per una predica troppo lunga? Forse dobbiamo cominciare a farci queste domande, quando constatiamo desolati che la gente diserta le nostre messe.

Tempo Ordinario C – 21. Domenica

C’è posto per tutti

Nella prima lettura viene indicato il tema di questa liturgia: nel regno di Dio c’è posto per tutti. Questo messaggio viene illustrato mediante una scena simbolica: un giorno tutti i popoli si metteranno in cammino, come in un grande pellegrinaggio, per recarsi ad adorare il Signore nel tempio di Gerusalemme. Stranamente saranno i gentili a riportare a casa i giudei sparsi nel mondo. Toccherà proprio agli estranei indicare ai professionisti della religione la strada per ritornare al loro Dio.

Nel vangelo si pone il problema: chi si salverà? Gesù anzitutto invita tutti a entrare per la porta stretta. Poi porta l’immagine di una grande sala in cui si tiene un banchetto: è il simbolo del regno di Dio. A un certo punto il padrone chiude la porta e fuori restano persone che cominciano a bussare. Il padrone allora dice loro: «Non so di dove siete». E quelli insistono dicendo: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». Ma il padrone non si lascia convincere e dice loro: «Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!». Chi saranno costoro? Senza dubbio si tratta di quei giudei che hanno ascoltato Gesù ma che non hanno accettato il suo insegnamento, come capita a tanti che frequentano le nostre chiese ma non sono interessati alla buona notizia di Gesù. Al posto di costoro Gesù annunzia che verranno altri da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Si tratta chiaramente di non israeliti. Tutti costoro non entrano a far parte del popolo giudaico e neppure della chiesa, ma hanno accesso al regno di Dio. È questa la meta che Dio propone a tutta l’umanità. Sia Israele che la chiesa, come anche tutte le religioni, non sono il regno di Dio ma hanno il compito di guidare ad esso, e devono rispondere se non lo fanno nel modo giusto.

Nella seconda lettura le sofferenze della vita cristiana sono presentate come una correzione che viene da Dio. Forse è meglio pensare alla porta stretta di cui parla Gesù. Chi sceglie sinceramente di seguirlo, facilmente si scontra con difficoltà e incomprensioni. Ma si tratta di un percorso obbligato. Senza la sofferenza non si arriva da nessuna parte.

Il regno di Dio non è riservato ai soliti raccomandati ma è aperto a tutti. Ciò significa che nessuno può accampare diritti. Ma la porta è stretta: per entrare bisogna dimagrire, perdere tante cose a cui siamo aggrappati alla ricerca di sicurezze e di soddisfazioni. L’adesione a una religione come il cristianesimo può esserci di aiuto, ma non basta. Forse un giorno saranno proprio gli «altri» che ci indicheranno la strada per abbandonare il dio Mammona e per ritornare al vero Dio.