Categoria: Tempo di Pasqua C

Pentecoste C

La globalizzazione dello spirito

La festa di Pentecoste mette in luce il carattere universalistico della salvezza portata da Gesù. Negli Atti degli apostoli Luca descrive in modo narrativo la venuta dello Spirito sui discepoli durante la festa delle Settimane, chiamata in greco Pentecoste perché aveva luogo cinquanta giorni dopo la Pasqua. In essa si celebra l’evento del Sinai, in cui Dio per mezzo di Mosè aveva donato la sua Legge a Israele.Per comporre il suo racconto Luca si serve delle metafore che nell’ambiente giudaico erano tradizionalmente collegate a questa festa. Anche lui immagina il terremoto, il fragore del tuono, il fuoco, ma dà a tutta la scena un nuovo significato: ciò che è comunicato non è più una legge che impone un certo comportamento, ma lo Spirito, che agisce nei cuori e fa comprendere sempre più in profondità il messaggio di Gesù. Il fatto che lo Spirito prende la forma di lingue di fuoco significa che Dio non si limita a illuminare i discepoli ma li guida e li sostiene nell’annunzio del vangelo in tutto il mondo. Per questo Luca afferma che i rappresentanti di diverse nazioni erano presenti al momento della discesa dello Spirito. Lo strano fenomeno del parlare in «altre» lingue, capite da tutti i presenti sebbene provenissero da nazioni diverse, ha un forte significato simbolico, in quanto serve a dimostrare che il messaggio cristiano non soltanto deve essere rivolto a tutti, ma anche deve diventare comprensibile a tutti. Sarà questo il compito della Chiesa, che non dovrà limitarsi a raccontare le opere di Gesù e a ripetere le sue parole ma dovrà «tradurle», facendo uso non solo della lingua dei nuovi ascoltatori ma anche dei simboli, delle metafore, delle immagini propri della loro cultura. Se ciò non avviene, ben difficilmente il messaggio di Gesù potrà toccare il cuore degli ascoltatori.

Nel brano del Vangelo di Giovanni scelto per questa festa si dice che Gesù, durante l’ultima cena, ha detto ai suoi discepoli di non poter dire loro tutto quanto vorrebbe perché essi non erano ancora in grado di capire; ma lo Spirito avrebbe fatto loro comprendere tutta la verità. Questa verità non consiste in concetti astratti, ma nella scoperta di sempre nuovi risvolti e implicazioni del vangelo. Perciò allo Spirito è attribuito l’appellativo di Paraclito, avvocato difensore, perché è lui, presente nel cuore dei credenti, che difende, cioè rendere attuale, il vangelo di Gesù in loro e per mezzo loro lo comunica a tutta l’umanità.

Nella seconda lettura Paolo si rivolge ai cristiani di Roma esortandoli a vivere secondo lo Spirito e non secondo la carne. Non è la ricerca egoistica dei beni materiali che produce il vero progresso dell’umanità una fraternità effettiva e vissuta che è dono dello Spirito.

La festa di Pentecoste richiama il tema molto attuale della globalizzazione di cui conosciamo vantaggi e svantaggi. Questa celebrazione mette in luce come prima della globalizzazione economica venga quella dello Spirito. Solo se tra tutti i popoli si attuerà una vera solidarietà e condivisione, la globalizzazione comporterà un vero progresso dell’umanità. Se invece avrà la prevalenza l’ingordigia umana, allora la globalizzazione comporterà immense tragedie e sofferenze. La Chiesa, proprio per la sua vocazione «cattolica», ha il compito di richiamare i valori dello Spirito come garanzia di progresso nella pace e nella collaborazione fra i popoli.

Pentecoste – Vigilia

La spiritualità cristiana

La discesa dello Spirito Santo è un racconto di fantasia elaborato da Luca alla luce del racconto biblico (ugualmente di fantasia) della manifestazione di Dio al Sinai. Solo che, secondo Luca, Dio non conferisce agli apostoli una legge, ma il dono interiore dello Spirito. In realtà lo Spirito è una dotazione che appartiene a ogni essere umano e si manifesta nel pensiero, nell’autocoscienza, nel discernimento, nelle decisioni fondamentali della vita. Purtroppo lo spirito che è in noi può essere offuscato da quelli che Paolo chiama i desideri della carne, cioè le inclinazioni istintive a ripiegarci su noi stessi nella ricerca di possesso, potere, consumi. Questi istinti, secondo la cultura greca, fanno parte del corpo, inteso come la prigione dell’anima: ora per noi non è più così perché abbiamo riscoperto la sacralità del nostro corpo, che è la nostra interfaccia con il mondo esterno. Allo spirito risale invece tutto ciò che va sotto il nome di amore, pace, rapporto con l’altro. La scoperta dello spirito non è automatica, ha bisogno di uno stimolo che proviene dai maestri di vita. Gesù è stato un maestro eccezionale che, con il suo insegnamento e il suo esempio, ci ha indicato una via di spiritualità molto efficace. Nel vangelo di Giovanni il Paraclito (avvocato difensore), che Gesù promette ai discepoli, è proprio questa energia vitale che promana da lui e ci spinge a rientrare in noi stessi, a capire chi siamo, che cosa vogliamo e qual è il senso che vogliamo dare alla nostra vita. Gli apostoli, dopo aver ricevuto lo Spirito, parlano un linguaggio comprensibile a tutti. Ciò significa che la ricerca spirituale è trasversale a tutte le culture e religioni, è l’unico vero terreno di incontro anche con persone che si riferiscono ad altri maestri di spiritualità. La ricerca di spiritualità non è qualcosa che si fa solo in certi momenti, ma pervade tutta la vita. Ma a questo scopo sono importanti i momenti di silenzio, la contemplazione della natura, lo scambio con altri ricercatori dello spirito, la lettura e lo studio. Le religioni sono anche importanti in quanto contengono messaggi spirituali molto significativi. Questi però devono essere decodificati, perché provengo da altre culture. Anche i riti possono essere di aiuto, purché non diventino meccanici e scontati. L’errore in cui cadono spesso le religioni è quello di imporre un bagaglio di idee e di norme che forse provengono da una ricerca di persone del passato. Ciò che queste ci hanno tramandato è importante solo come stimolo alla ricerca, ma è dannoso se viene imposto come uno schema precostituito.

Tempo di Pasqua C – 7. Domenica

La gloria di Dio

Prima di morire Stefano vede la gloria di Dio e Gesù che sta alla sua destra. Forse è questo un modo figurato per dire che alla fine della sua vita egli ha avuto un’esperienza personale profonda di Dio come scopo a cui tende tutta la vita umana. Per questo ha accettato con fiducia e speranza la sua morte violenta. Nell’ultima cena Gesù prega per i suoi discepoli, perché possano contemplare la sua gloria. Anche qui si tratta di un’esperienza personale che essi faranno nella misura in cui il loro rapporto con Gesù si trasforma in una comunione d’amore fra loro. Secondo l’apocalisse è questa la strada radiosa che indica loro Gesù in quanto stella radiosa del mattino. La gloria di Dio si manifesta dunque non mediante fenomeni esteriori ma mediante la luce interiore che riempie il cuore quando lo apriamo a Dio e ai fratelli. La presenza di Dio non deve essere solo creduta ma anche sperimentata.