Autore: Alessandro Sacchi

nato ad Alessandria classe 1937 laureato in scienze bibliche

Tempo Ordinario A – 21. Domenica

L’autorità nella Chiesa

Il tema di questa liturgia è indicato nella prima lettura dove si parla di un avvicendamento nella carica di maggiordomo nel regno di Giuda. Il dignitario che la occupava viene rimosso e al suo posto viene insediato un altro che «sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda». Sulla sua spalla viene posta la «chiave della casa di Davide», cioè il potere di prendere, in nome del re, le decisioni più valide per il bene di tutta la popolazione. A un amministratore corrotto ne subentra un altro che ha veramente a cuore il bene di tutti.

Nel brano del vangelo si parla di un’analoga autorità conferita da Gesù a Simon Pietro. Nel vangelo di Marco, Pietro proclama che Gesù è il Cristo (Messia), ma Gesù non è del tutto d’accordo con lui e difatti subito dopo si presenterà non come il trionfatore atteso dai suoi connazionali ma come l’uomo dei dolori che va verso la croce. Invece l’evangelista Matteo (e lui soltanto) riporta subito dopo la proclamazione di Pietro un testo nel quale Gesù afferma che quanto egli ha detto gli è stato rivelato dal Padre. Al tempo stesso gli attribuisce la qualifica di Cefa, «roccia, pietra» e gli conferisce un ruolo speciale nella sua Chiesa. Questa saràfondata su di lui, cioè condividerà la sua fede in Gesù Messia. Illuminata e guidata da questa fede la Chiesa non potrà essere sconfitta dalle porte degli inferi, cioè dagli attacchi del male che domina in questo mondo. In essa a Pietro viene assegnato un compito speciale. Anzitutto a lui vengono conferite le chiavi del regno di Dio. Questa espressione significa che il ruolo di Pietro non si esaurisce nell’organizzazione della chiesa ma è in funzione del regno di Dio che la Chiesa deve annunziare e anticipare. Inoltre gli è assegnato il compito di legare e sciogliere: questa espressione significa cheegli dovrà confermare i suoi fratelli (cfr. Lc 22,31-32) e sarà il pastore del gregge (cfr. Gv 21,15-17). Si tratta in altre parole di un compito pastorale di illuminazione e di stimolo alla vita comunitaria.

Nella seconda lettura Paolo invita i cristiani di Roma a riconoscere in Dio l’unico sapiente che ha creato il mondo e guida l’umanità a un fine di salvezza. Qualsiasi autorità nella Chiesa non ha altra ragione di essere che la gloria di Dio.

È difficile precisare la portata reale della promessa che, secondo Matteo, Gesù ha fatto a Pietro. Originariamente si riferiva forse al ruolo di guida religiosa svolto da Pietro in una particolare comunità, come poteva essere quella di Antiochia (cfr. Gal 2,11-13). È solo nel contesto in cui Matteo l’ha inserita che essa assume una portata universale. D’altra parte non sono chiare le facoltà e i limiti assegnati a Pietro ed eventualmente ai suoi successori. Certo non si può supporre che Gesù avesse in mente tutte le prerogativa del papa ricavate dalle sue parole nel corso dei secoli. Per noi è importante sottolineare che il ruolo di Pietro nella Chiesa è in funzione del regno di Dio. E difatti il papa è oggi riconosciuto come un grande leader religioso e morale che indica le strade del regno a tutta l’umanità. Ma lo fa non da solo bensì in comunione con tutti i credenti, con i quali condivide questa responsabilità.

Tempo Ordinario A – 20. Domenica

Una salvezza per tutti

Il tema della liturgia di questa domenica è indicato nel brano della prima lettura. Molti dei giudei che erano ritornati dall’esilio, pensavano che la possibilità di avere un rapporto diretto con Dio spettasse soltanto a loro, in quanto membri del popolo eletto, e quindi escludevano dal tempio coloro che non erano di puro sangue ebraico. Ma non si accorgevano che, così facendo, negavano l’amore di Dio per tutta l’umanità e riducevano il loro Dio a una divinità locale, interessata soltanto a coloro che appartenevano al popolo che egli aveva scelto. Il profeta invece va contro corrente e annunzia che la casa di Dio, cioè la salvezza, è disponibile a tutti coloro che erano disposti ad accettare YHWH come loro Dio e a comportarsi secondo la sua volontà.

Per Gesù questo non era sufficiente. Nel suo annunzio del regno di Dio egli si è spinto sempre più in là manifestando la misericordia di Dio alle categorie più povere ed emarginate: le donne, i bambini, gli ammalati, gli indemoniati, i peccatori. Non si può escludere che in questo tragitto egli abbia raggiunto anche i gentili. E difatti il vangelo di oggi presenta Gesù che fa un miracolo, segno di salvezza, per una donna straniera, basandosi unicamente sulla sua fede, senza chiederle di entrare a far parte del popolo di Israele a cui erano state fatte le promesse di Dio. Questo gesto non è piaciuto ai primi cristiani di origine giudaica, per i quali Gesù era il Messia di Israele e ha annunziato la buona novella solo ai giudei. Perciò Matteo gli mette sulla bocca due frasi sconcertanti: egli afferma di essere stato mandato solo alle pecore perdute della casa di Israele e aggiunge che non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Al che la donna fa notare che anche i cagnolini si cibano delle briciole ddi pane che cadono dlla mensa dei loro padroni. La donna dunque riconosce che la salvezza spetta a Israele e non ai gentili e Gesù, in forza di questa fede e in via eccezionale, le concede il miracolo richiesto. 

Nella seconda lettura Paolo fa un’affermazione che ci lascia un po’ disorientati. Proprio lui, che si è dedicato interamente all’evangelizzazione dei gentili, afferma di essersi rivolto a essi per suscitare la gelosia dei suoi connazionali e convincerli ad accettare Gesù come il Messia da loro atteso; e aggiunge che anch’essi un giorno si salveranno. Il primo destinatario della salvezza è dunque Israele e i gentili possono ottenere la salvezza solo aggregandosi, mediante Cristo, all’Israele degli ultimi tempi, cioè alla Chiesa.

La posizione originaria di Gesù è diventata oggi più convincente delle interpretazioni che ne hanno dato i primi cristiani. Gesù ha aperto a tutti l’ingresso nel regno di Dio, senza esigere come condizione previa l’appartenenza a Israele o l’ingresso nella chiesa. Con ciò non è tolto valore alla missione. Se il suo vangelo è fonte di salvezza, i suoi discepoli devono farlo conoscere a tutti perché impregni qualunque cultura o religione. Ciò che è importante non è il passaggio da una religione all’altra, ma l’impegno comune di tutti coloro che credono in un mondo migliore.  

Tempo Ordinario A – 19. Domenica

Un percorso di liberazione

La prima lettura indica come tema della liturgia di questa domenica la liberazione che Dio conferisce al suo popolo. Elia ha appena dimostrato che yhwhè l’unico vero Dio e ha messo a morte i quattrocentocinquanta profeti di Baal. Questo gesto provoca la reazione della regina Gezabele che lo cerca per metterlo a morte. Elia, intimorito, fugge nel deserto e, al termine di quaranta giorni, giunge al monte Oreb, cioè il Sinai, dove Mosè aveva concluso l’alleanza con yhwh. Solo ripercorrendo il cammino fatto dal popolo nel deserto il profeta si incontra con il suo Dio, il quale si rivela non nei fenomeni atmosferici ma nel «sussurro di una brezza leggera», letteralmente «nel sussurro di un silenzio leggero». Dio si incontra non all’esterno ma rientrando in se stessi e ascoltando la voce silenziosa della propria coscienza. 

Nel vangelo viene descritta una strana scena simbolica: Gesù che cammina sulle acque del lago in tempesta. Questa scena deve essere interpretata in riferimento al passaggio del mar Rosso, da parte degli israeliti. Su questo sfondo essa significa la vittoria di Gesù sulle potenze del male che, secondo la mentalità biblica, si annidavano nelle profondità dei mari. Queste potenze erano spesso identificate con i grandi imperi dell’antichità, un tempo l’Egitto e ora l’impero romano. Gesù dimostra quindi di essere più potente di loro. In un primo momento i discepoli non lo riconoscono perché hanno paura. Pietro vorrebbe essere associato a Gesù, ma poi ha paura e comincia a sprofondare nell’acqua: come gli israeliti che nel deserto mormorano contro Dio, anche Pietro, di fronte alle difficoltà, ha paura e chiede aiuto. Ma Gesù, come un tempo Dio aveva fatto con gli israeliti, lo prende per mano e lo riporta sulla barca. Solo allora il mare si calma e i discepoli con Gesù giungono a riva.

Nella seconda lettura Paolo esprime un amore così grande per i suoi connazionali da voler diventare lui stesso «anatema», cioè separato da Cristo, perché essi possano essere salvati. Paolo non vuole salvarsi da solo perché sa che la salvezza riguarda anzitutto il popolo, è un valore comunitario. Anche ai suoi connazionali però, nonostante tutti i loro privilegi, è richiesto un passo personale, che consiste nella fede in quei valori fondamentali che sono parte essenziale del messaggio di Gesù.

La liberazione è lo scopo a cui tende tutto il discorso biblico. Essa non consiste in primo luogo nel non essere soggetti a potenze straniere o nel possesso di beni materiali o intellettuali, ma nel saper superare il proprio io e nel mettersi spontaneamente alla ricerca di un bene più grande che riguarda i propri simili e l’ambiente in cui si vive. Il benessere in tutte le sue manifestazioni viene di conseguenza. La liberazione così intesa si attua mediante un percorso lungo e impegnativo, irto di ostacoli e difficoltà. In questo cammino è di grande aiuto la fede in una Realtà superiore che dà senso alla propria ricerca e coraggio per superare la tentazione di ritirarsi nel proprio io. Per il cristiano questa Realtà misteriosa si manifesta nella persona di Gesù. Inoltre questo percorso deve essere condiviso con altri. Ciò fa sì che la meta a cui si tende sia già anticipata nella solidarietà che si crea fra di loro.