Tempo Ordinario A – 21. Domenica
Il tema di questa liturgia è indicato nella prima lettura dove si parla di un avvicendamento nella carica di maggiordomo nel regno di Giuda. Il dignitario che la occupava viene rimosso e al suo posto viene insediato un altro che «sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda». Sulla sua spalla viene posta la «chiave della casa di Davide», cioè il potere di prendere, in nome del re, le decisioni più valide per il bene di tutta la popolazione. A un amministratore corrotto ne subentra un altro che ha veramente a cuore il bene di tutti.
Nel brano del vangelo si parla di un’analoga autorità conferita da Gesù a Simon Pietro. Nel vangelo di Marco, Pietro proclama che Gesù è il Cristo (Messia), ma Gesù non è del tutto d’accordo con lui e difatti subito dopo si presenterà non come il trionfatore atteso dai suoi connazionali ma come l’uomo dei dolori che va verso la croce. Invece l’evangelista Matteo (e lui soltanto) riporta subito dopo la proclamazione di Pietro un testo nel quale Gesù afferma che quanto egli ha detto gli è stato rivelato dal Padre. Al tempo stesso gli attribuisce la qualifica di Cefa, «roccia, pietra» e gli conferisce un ruolo speciale nella sua Chiesa. Questa saràfondata su di lui, cioè condividerà la sua fede in Gesù Messia. Illuminata e guidata da questa fede la Chiesa non potrà essere sconfitta dalle porte degli inferi, cioè dagli attacchi del male che domina in questo mondo. In essa a Pietro viene assegnato un compito speciale. Anzitutto a lui vengono conferite le chiavi del regno di Dio. Questa espressione significa che il ruolo di Pietro non si esaurisce nell’organizzazione della chiesa ma è in funzione del regno di Dio che la Chiesa deve annunziare e anticipare. Inoltre gli è assegnato il compito di legare e sciogliere: questa espressione significa cheegli dovrà confermare i suoi fratelli (cfr. Lc 22,31-32) e sarà il pastore del gregge (cfr. Gv 21,15-17). Si tratta in altre parole di un compito pastorale di illuminazione e di stimolo alla vita comunitaria.
Nella seconda lettura Paolo invita i cristiani di Roma a riconoscere in Dio l’unico sapiente che ha creato il mondo e guida l’umanità a un fine di salvezza. Qualsiasi autorità nella Chiesa non ha altra ragione di essere che la gloria di Dio.
È difficile precisare la portata reale della promessa che, secondo Matteo, Gesù ha fatto a Pietro. Originariamente si riferiva forse al ruolo di guida religiosa svolto da Pietro in una particolare comunità, come poteva essere quella di Antiochia (cfr. Gal 2,11-13). È solo nel contesto in cui Matteo l’ha inserita che essa assume una portata universale. D’altra parte non sono chiare le facoltà e i limiti assegnati a Pietro ed eventualmente ai suoi successori. Certo non si può supporre che Gesù avesse in mente tutte le prerogativa del papa ricavate dalle sue parole nel corso dei secoli. Per noi è importante sottolineare che il ruolo di Pietro nella Chiesa è in funzione del regno di Dio. E difatti il papa è oggi riconosciuto come un grande leader religioso e morale che indica le strade del regno a tutta l’umanità. Ma lo fa non da solo bensì in comunione con tutti i credenti, con i quali condivide questa responsabilità.
Non so da dove Matteo abbia preso il brano in cui Gesù loda Pietro per averlo riconosciuto come Messia. Strano che l’evangelista Marco, che pure racconta lo stesso episodio, non ne sapesse nulla. Inoltre, se Pietro aveva detto il vero, perché impedire a lui e ai suoi colleghi di parlarne anche con gli altri? E poi da dove salta fuori l’espressione «fonderò la mia chiesa», dal momento che Gesù non parla mai di una chiesa che sta per fondare. Forse Matteo non pensava alla chiesa universale ma solo a una delle tante comunità fondate dagli apostoli nel mondo greco-romano, che faceva risalire la sua origine nientemeno che al Principe degli apostoli.
Qualunque sia stata l’origine di questo testo, la sua fortuna è stata davvero travolgente. Lungo i secoli le parole attribuite a Gesù da Matteo sono state usate dai papi per avanzare pretese di carattere non del tutto evangelico, sia in campo religioso che politico. Mi diceva un giorno un mio amico che, se avessimo tratto dal detto di Gesù «amerai il prossimo tuo come te stesso» tutto quello che abbiamo ricavato dalle parole che in questo testo Gesù rivlge a Pietro avremmo trasformato il mondo. Purtroppo non è stato così. Questa è la storia, e non tocca a noi emettere giudizi.
Oggi per fortuna tante cose sono cambiate. I papi hanno deposto il famigerato «triregno» e hanno cercato di spiegare alla gente, credenti o no, proprio quell’esigenza fondamentalmente umana di amare il proprio prossimo. I grandi principi della giustizia, dei diritti della persona, della fraternità, del dialogo, della democrazia, della pace, sono diventati il pane quotidiano dell’insegnamento papale. E soprattutto il tema dell’ambiente ha ricevuto la dovuta attenzione. Liberato dalle pastoie del passato, il papato ha riscoperto il suo vero ruolo come autorità morale al servizio dell’umanità. Saranno capaci il papa di oggi e quelli del futuro di riconoscere anche all’interno della chiesa quei valori a cui tanto giustamente richiamano la società civile?