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Tempo Ordinario B – 17. Domenica

Il banchetto della fraternità

La liturgia di questa domenica propone il tema della solidarietà. Nella prima lettura si racconta che il profeta Eliseo ha ricevuto in dono venti pani d’orzo da un ricco benefattore che aveva voluto onorarlo in quanto uomo di Dio. Il profeta non li tiene per sé. Nelle sue mani il pane si moltiplica e serve a sfamare un gruppo notevole di persone. Il poco pane di cui un ricco si priva senza troppo sacrificio diventa nutrimento per i più poveri.

Anche nel brano del vangelo si narra che Gesù dà da mangiare a una moltitudine. L’evangelista sottolinea però che, diversamente da Eliseo, è stato Gesù a prendere l’iniziativa; inoltre si serve di molto meno per sfamare una quantità ben più grande di persone. Ma è significativo soprattutto che i cinque pani e due pesci vengano messi a disposizione di Gesù non da un ricco benefattore e neppure, come si dice nei sinottici, dai suoi discepoli, ma da un ragazzo che si trovava fra la folla. Non è certamente un ricco che fa un po’ di beneficienza, ma un povero che condivide con gli altri le poche risorse che ha a disposizione. Diventa così più chiaro il riferimento non solo alla manna, un cibo donato da Dio a cui tutti prendevano parte in modo uguale, ma anche al banchetto pasquale in cui tutti condividono quanto hanno a disposizione: solo così il ricordo della liberazione dall’Egitto si concretizza nella vita di un popolo.

Nella seconda lettura si mette in luce la dinamica di una comunità in cui tutti interagiscono tra di loro sulla base di una fede comune, superando gli interessi personali e mettendosi al servizio gli uni degli altri.

Spesso sono i ricchi che giustificano con la beneficenza l’appropriazione di beni che appartengono a tutti, altre volte sono i poveri che si uniscono per far valere i loro diritti. Gesù vuol far capire che non solo i ricchi ma anche i poveri devono saper collaborare al bene di tutti, mettendo in comune le loro risorse, che non sono solo beni materiali, ma anche ideali, lavoro e abilità professionali. Se c’è il vero spirito di collaborazione si possono fare miracoli. Ciò vale non soltanto per una comunità cristiana ma anche per la società intera. Solo un cambiamento di mentalità può garantire un progresso economico veramente condiviso. E i credenti dovrebbero fornire un esempio convincente e suggerire un metodo efficace per raggiungere questa meta. 

Tempo Ordinario B – 16. Domenica

Una leadership evangelica

Nella liturgia di questa domenica viene messo a fuoco il tema della leadership sia nella società civile che nella chiesa. Nella prima lettura è attribuita a Geremia la convinzione, molto diffusa nell’AT, secondo cui la rovina del popolo è causata dai cattivi governanti. Perciò il profeta dichiara che un giorno Dio stesso assumerà la guida del popolo per condurlo alla salvezza. Questa presenza di Dio alla testa del suo popolo si attua mediante un personaggio da lui inviato che svolge in suo nome il ruolo di pastore. 

I primi cristiani hanno creduto che questo intermediario fosse Gesù, il Messia inviato da Dio. Il fatto di essere inviato significa che Gesù è stato dotato di un carisma, cioè di un dono speciale che consiste nella capacità di aggregare le persone. Nel brano del vangelo ciò appare nel fatto che egli ha avuto compassione dei presenti vedendo che erano come un gregge senza pastore. È chiaro che, senza un vero leader, un gruppo umano si disgrega e facilmente diventa preda di interessi personali. Gesù ha manifestato la sua compassione mettendosi a insegnare: le persone si aggregano non dando loro comandi o leggi, ma insegnando a riflettere, a porsi domande, a scambiarsi esperienze e intuizioni. In questo Gesù dimostra di essere un vero leader. Solo dopo insegnato egli darà alla folla anche il pane, cioè provvederà a realizzare, unendo gli sforzi di tutti, un benessere condiviso. 

La seconda lettura attribuisce a Gesù un compito molto importante, che è tipico del pastore, quello di attuare la pace tra persone che hanno una diversità di tradizioni, di esperienze, di valori. Il vero leader non cerca l’uniformità del gregge ma l’interazione e la messa in comune dei valori di cui ciascuno è portatore.

Sull’esempio di Gesù, un vero capo deve sentirsi inviato, cioè deve riferirsi ai valori del vangelo su cui si edifica la comunità; al tempo stesso deve essere solidale con coloro che deve guidare: solo così può evitare l’autoritarismo che solo apparentemente unisce ma in realtà disgrega la comunità. Perciò non deve essere selezionato e preparato, come avviene oggi, all’interno di una struttura artificiale ma deve aver dimostrato “sul campo” di avere un vero carisma e di saperlo esercitare in funzione non del proprio interesse o prestigio ma del bene comune. La stessa cosa deve avvenire in qualsiasi aggregazione umana, che può reggere e governarsi solo se è governata da persone preparate e oneste.

Corpo e sangue del Signore B

Un Dio alleato dell’umanità

In questa festa la liturgia ci invita a riflettere sul tema dell’alleanza. Nella prima lettura si parla di un rito che doveva servire a ratificare l’alleanza tra Dio e Israele. In questo rito sono presenti tutti gli elementi fondamentali dei sacrifici che venivano offerti alla divinità: l’altare, il sacerdote (Mosè), la vittima immolata, il sangue versato. Ma mentre nelle altre religioni il sacrificio era un dono fatto alla divinità per renderla “propizia” e ottenerne i favori, qui il sangue ha un valore simbolico: versato sull’altare e sul popolo esprime la “consanguineità” cioè la comunione di vita tra Dio e il suo popolo. Una comunione che, per poter sussistere, deve avere come presupposto l’osservanza dei comandamenti. Il rapporto con Dio si basa dunque non su uno scambio di favori tra Dio e l’uomo ma sulla fedeltà a Dio che si attua sulla pratica di quei valori fondamentali che sono la giustizia sociale e solidarietà. Alla luce del gesto simbolico attribuito a Mosè il narratore vuole affermare che gli analoghi sacrifici che venivano offerti nel tempio avevano lo scopo di fare memoria dell’alleanza e di orientare il popolo verso un comportamento giusto e santo.

Nell’ultima cena Gesù, prevedendo la sua morte imminente, la presenta come l’espressione del dono di sé che corona una vita vissuta per gli altri. Gesù non cerca la morte, ma è disposto a rischiare la vita perché si attui quel mondo migliore che egli aveva definito come regno di Dio. Il pane e il vino hanno chiaramente un significato simbolico. Il pane rappresenta la sua persona in quanto spesa per i fratelli mentre il sangue rappresenta la morte a cui va incontro con coraggio per vincere in se stesso e negli altri la forza del peccato, che consiste nel mettere il proprio interesse al di sopra del bene comune. La morte del giusto non è un fallimento ma una vittoria: per questo spesso i potenti di questo mondo non vogliono fare dei martiri, sono troppo pericolosi, perché hanno il potere di smuovere gli animi paralizzati dalla paura. Mediante il suo dono portato all’estremo, Gesù rinnova l’alleanza, mostrando che Dio l’ha stabilita fin dall’inizio, non con un popolo privilegiato ma con tutta l’umanità.

Nella seconda lettura viene elaborata per la prima volta esplicitamente l’interpretazione sacrificale della morte di Gesù. Alla luce dei riti sacrificali degli ebrei, la morte di Gesù viene spiegata come un sacrificio che elimina i peccati e rinnova l’alleanza tra Dio e l’umanità. Ma, attenzione! Gesù non ha compiuto nessun rito. Il suo sacrificio si svolge non in un tempio ma nel santuario celeste, cioè nella vita vissuta per Dio e con Dio. L’effetto di questo sacrificio è la vittoria sul potere del male e la proposta di una vita nuova, donata a Dio e ai fratelli.

Noi oggi possiamo ancora parlare del “sacrificio” di Cristo, ma dobbiamo abbandonare l’idea che Gesù sia morto al nostro posto per espiare i nostri peccati, cioè per essere punito al nostro posto e così ottenerci il perdono di Dio. Non è così: il suo sacrificio indica la pienezza del dono che ha fatto di sé in tutta la sua vita. È con questo dono che si rinnova l’alleanza che Dio ha stabilito fin dagli inizi con tutta l’umanità. Nella messa i cristiani ricordano ciò che ha fatto Gesù non per sentirsi dei privilegiati ma per imparare dal Maestro a donare se stessi per il bene di tutti, a partire da coloro che sono considerati come gli scarti dell’umanità.