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Ascensione del Signore B

L’eredità di Gesù

Le letture proposte dalla liturgia per questa domenica ci pongono un problema molto impegnativo: che cosa ci ha lasciato Gesù con la sua morte? Nella prima lettura Luca racconta che Gesù, dopo la sua risurrezione, ha trascorso quaranta giorni con i suoi discepoli parlando del regno di Dio. Forse Luca pensava a una specie di tirocinio a cui ha sottoposto i discepoli. Al termine di questo periodo Gesù è asceso al cielo: il Risorto non può stare se non nel luogo dove, secondo la cultura dell’epoca, risiede Dio con le creature «celesti». Ma prima di andarsene ha promesso di inviare loro lo Spirito Santo e li ha incaricati di essere suoi testimoni nella Giudea, in Samaria e fino ai confini del mondo.

Questo tema è ripreso nel brano del vangelo. Secondo Marco Gesù ha dato ai suoi discepoli la consegna di predicare il vangelo a tutte le creature e per fare ciò ha dato loro alcuni poteri, i più importanti dei quali sono quello di scacciare i demoni e di guarire i malati. Se li leggiamo nel loro contesto, essi assumono un grande significato. I demoni indicano simbolicamente ogni tipo di violenza e di ingiustizia istituzionalizzata. Annunziare il vangelo significa dunque anzitutto lottare per una vera giustizia sociale. Ma questo impegno i discepoli devono cominciare ad assumerlo nei confronti di ogni persona che ha bisogno di essere guarita dai suoi mali. Si tratta infatti prima di tutto della guarigione del cuore, indicando il vero senso della vita: la guarigione del corpo, cioè di tutta la persona, viene di conseguenza.

Nella seconda lettura si sottolinea che i discepoli possono compiere la missione loro affidata solo mediante una vera vita comunitaria. Come prima cosa essi dovranno volersi bene fra di loro attuando quell’unità che viene dall’avere la stessa fede e lo stesso battesimo. E perché ciò si realizzi l’autore ricorda che Gesù, dopo essere salito al cielo, è ritornato per conferire dei doni ai suoi discepoli. Si tratta anzitutto di servizi che alcuni ricevono a favore della comunità. L’autore nomina gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i pastori e i maestri. Costoro però non hanno l’esclusiva del ministero. Il loro compito anzi è quello di far sì che ogni membro della comunità abbia un servizio da svolgere a favore degli altri. Senza una pluralità di ministeri la comunità non può rappresentare Gesù e testimoniarlo nel mondo.

Con l’immagine della salita al cielo l’evangelista vuole dire che Gesù ha finito il suo compito. Durante la sua vita terrena egli ha annunziato la venuta del regno di Dio. Ora affida ai discepoli, non solo agli apostoli ma a tutti i cristiani, il compito di continuare la sua opera. Questo però esige che noi per primi ci comportiamo veramente secondo le esigenze del Vangelo. A tale scopo il nostro primo impegno deve essere quello di attuare un’autentica vita comunitaria, nella quale il servizio vicendevole fa sì che cessi la violenza e si instauri un clima di vera fraternità. In questo modo, anche senza fare nulla di particolare, diventiamo spontaneamente i testimoni di Gesù e il lievito che trasforma la società.

Tempo di Pasqua B – 5. Domenica

Per una vera comunità

Le letture di questa domenica richiamano ancora una volta l’attenzione su un tema oggi diventato cruciale, quello della comunità. Nella prima lettura Luca racconta l’incontro di Paolo (allora ancora Saulo), reduce dall’esperienza di Damasco, con la comunità di Gerusalemme. Egli vuol sottolineare come l’incontro con Gesù porta necessariamente a inserirsi in una comunità. Per Saulo non è stato facile perché i membri di quella comunità avevano tutte le ragioni per dubitare di lui. Uno di loro, però, di nome Barnaba, vede le cose in modo diverso, coglie le potenzialità del neo convertito, lo accoglie e lo introduce nella comunità. È così che Paolo diventa l’apostolo che conosciamo. 

Il vangelo parla di comunità a partire dall’immagine della vite e dei tralci. Nell’AT la vite simboleggiava il popolo di Israele, spesso infedele al suo Dio. Nel contesto giovanneo la vite invece rappresenta Cristo, il Figlio prediletto, nel suo rapporto unico con il Padre. I tralci sono i suoi discepoli che da lui ricevono la linfa vitale. Ma in una vite i tralci hanno anche un profondo rapporto fra loro. L’immagine si comprende correttamente solo a partire dall’esperienza di una comunità riunita nel ricordo di Cristo. È proprio condividendo i suoi valori, il suo orientamento di vita, la sua mentalità che persone diverse si trovano unite. Chiunque può essere un credente in Cristo o comunque una brava persona anche se non fa parte di una comunità. Ma normalmente è in una comunità che si viene a contatto con la persona di Gesù. Questo incontro non è qualcosa di astratto, ma viene mediato dagli esempi dei suoi membri, vivi e defunti, dalle loro riflessioni, esperienze e preghiere. È nella comunità che la linfa vitale scaturita da Gesù raggiunge tutti i suoi membri. Questa linfa può essere identificata con lo Spirito santo, che è lo spirito stesso di Gesù che si comunica ai suoi discepoli. Il rapporto comunitario si attua in vari modi e con intensità diversa. Esso non è quindi superficiale, ma viene dal profondo del cuore. Non elimina le diversità di cultura e di talenti ma aiuta a superare tutti gli ostacoli che possono dividere e impedire una vera solidarietà. 

Alla luce dell’immagine della vite e dei tralci si comprende il tema dell’amore di cui si parla nella seconda lettura. In essa si dice che il comandamento di Dio è che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri…». L’amore non è un semplice sentimento ma l’espressione di una scelta di vita che si basa sulla fede e si esprime nell’impegno comune per realizzare un mondo migliore, più giusto e fraterno.

Nella nostra società si rendono necessarie nuove forme di aggregazione fondate sulla solidarietà e sull’impegno per il bene comune. Ne va della qualità della vita e del funzionamento stesso della democrazia. Per essere comunità in senso proprio non basta trovarsi nello stesso luogo, fare gesti comuni, ascoltare l’esperto di turno. Ciò che è più importante è lo scambio verbale, in cui ciascuno esprime la sua visione della vita e del mondo. Il cristianesimo fornisce a questo scopo uno strumento particolarmente efficace che consiste nella fede in un progetto comune che riguarda il bene dell’individuo e di tutta la società. Questa esperienza dovrebbe esprimersi nell’assemblea domenicale; se essa non avviene, anzi se viene esclusa di proposito, vuol dire che strutturalmente qualcosa non funziona. Per recuperar questa dimsnsione è necessario creare nuovi tipi di aggregazione nei quali sia centrale il rapporto interpersonale. Solo così i cristiani potranno diventare quel lievito nella massa di cui parlava Gesù con i suoi discepoli.

Tempo di Pasqua B – 4. Domenica

Gesù pastore e guida

Il tema di questa liturgia è quello del ruolo che Gesù svolge all’interno della sua comunità, la Chiesa. Nella prima lettura è Pietro che annunzia ai giudei la morte e la risurrezione di Gesù, affermando chelui è la pietra scartata dai costruttori che è diventata testata d’angolo.La comunità dei credenti si fonda dunque su Gesù e forma con lui un edificio spirituale, il nuovo tempio, cioè il luogo in cui Dio si rende presente.Pietro aggiunge che Gesù soltanto è la salvezza per tutti. Senz’altro Dio ha diverse vie di salvezza. Ma è pur vero che tutte convergono in quella indicata da Cristo e attuata dai suoi discepoli. 

L’immagine del buon pastore, a cui si richiama il brano del vangelo, riprende e approfondisce il tema del rapporto di Gesù con coloro che lo seguono. Nella nostra cultura l’immagine del pastore non è più familiare. Tuttavia essa resta significativa perché fa comprendere molto bene le modalità con cui Gesù attua la salvezza.Gesù è il pastore del gregge perché, diversamente dai falsi pastori, dà la vita per le sue pecore. Con il suo esempio egli esercita dunque nei confronti dei credenti un influsso profondo che li scuote e li trascina. Egli si presenta come un leader spirituale che, proprio perché è profondamente unito a Dio, è capace di stabilire con i suoi seguaci un rapporto profondo, coinvolgendoli in un’esperienza vissuta che trasforma la loro vita. L’immagine del gregge ha anche il vantaggio di mostrare come il percorso verso Dio non può essere compiuto da soli, ma deve avvenire all’interno di una comunità, i cui membri interagiscono tra di loro e con il loro Maestro. 

Infine la seconda lettura ricorda ai credenti che sono personalmente figli di Dio. Tutti gli esseri umani sono metaforicamente figli di Dio, ma Gesù ha portato qualcosa di nuovo: la consapevolezza di esserlo e quindi la possibilità di vivere fino in fondo secondo questa dignità.

Mentre l’immagine del sacrificio offerto da Gesù morendo in croce mette in luce soprattutto il suo rapporto con il Padre, quella del pastore e del gregge mostra più direttamente il ruolo che Gesù, in forza del suo rapporto con il Padre, svolge nei confronti di coloro che credono in lui. Gesù appare così come la guida che influisce su di loro non insegnando dottrine o imponendo precetti ma comunicando loro la sua esperienza di Dio, in forza della quale ha affrontato con coraggio la morte, seguita dalla risurrezione. È proprio attraverso il rapporto con lui che i credenti imparano a comunicare fra loro, abbattendo le barriere che li dividono e aprendosi al servizio verso tutta la società.