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Scure medievale sul priore di Bose

“Secondo le bislacche teorie dell’esecutore del decreto, in ogni fondatore si cela un abusatore (sic!) ed Enzo Bianchi confermerebbe il suo teorema alla lettera. Ma l’esclusione forzata sarebbe anche quella degli eredi di Bose. Il padre si è svelato ai loro occhi come un malato inguaribile di narcisismo. Può accadere. Ma destinare il fondatore al confino… Papa Francesco è il solo ad avere l’autorità e il giusto sguardo per salvare Enzo Bianchi da una umiliazione che non merita.”
(da Scure medievale sul priore di Bose di Massimo Recalcati in La Stampa del 11 febbraio 2021).
Ma perché proprio il papa ha avvallato una decisione così astrusa? Perché si è lasciato coinvolgere personalmente in quella che poteva essere semplicemente una bega di convento? E per di più in modo tale da non potersi tirare indietro. E’ difficile evitare il dubbio che ci sia qualcosa d’altro che non si può dire. Oppure che si sia voluto affossare un’esperienza post-conciliare, approfittando di dissidi interni. Ma perché? Una cosa è certa: qualunque sia la spiegazione che si dà, resta valido il titolo dell’articolo di Recalcati.

La forza dell’utopia

Mi ha colpito la conclusione dell’articolo di Gad Lerner:i Pci, quel “tagliacuci” sulla rivoluzione  in il Fatto Quotidiano del 9 febbraio 2021:
“Scrive dunque di Schicchi la futura senatrice a vita Ravera: “Era uno di quegli anarchici con cui Gramsci amava conversare. ‘Anche l’utopia serve al cammino degli uomini – mi diceva poi Gramsci, sorridendo – fa la sua tenue luce, là dove ciò che realmente sarà non sappiamo’…”. Ecco, forse è proprio l’utopia a mancarci, cent’anni dopo”.
Aggiungerei: “diciamo pure duemila anni dopo”.

Discorsi inutili

Noi impariamo, dice Glasser, “il 10 per cento di ciò che leggiamo, il 20 per cento di ciò che ascoltiamo, il 30 per cento di ciò che vediamo, il 50 per cento di ciò che vediamo e ascoltiamo, il 70 per cento di ciò che discutiamo con altri, l’80 per cento di ciò che viviamo di persona, il 95 per cento di ciò che insegniamo a qualcun altro”.
(da Annamaria Testa, L’arte di ascoltare e le sue regole, in Internazionale del 2/2/2021)