Tempo Ordinario A – 15. Domenica
Il tema di questa domenica è quello della fede nella parola di Dio da cui deriva la speranza in un mondo nuovo. Il brano del Deutero-Isaia riportato nella prima lettura richiama l’esigenza di questa fede. Il profeta fa dire a Dio che la sua parola si attuerà con la stessa sicurezza con cui si ripetono i fenomeni della natura. Nel contesto dell’esilio ciò significa che gli israeliti devono attendere senza tentennamenti il momento della liberazione che Dio aveva promesso loro per mezzo dei profeti.
Nel brano del vangelo, pronunziando la parabola del seminatore, Gesù invita i suoi discepoli ad accogliere con fiducia la sua parola con cui annunzia la venuta del regno di Dio. Nonostante gli ostacoli che sembrano impedirne la riuscita, l’attuazione di questo regno è già iniziata e nulla potrà fermarla. Non bisogna dunque accettare lo scetticismo di coloro che non sanno guardare in avanti ma sono arroccati nella difesa dei loro schemi e dei loro privilegi. Solo chi accoglie questa parola di speranza è capace di vedere i segni che attestano il costante operare di Dio nelle vicende di questo mondo. La spiegazione della parabola, frutto della riflessione di una comunità credente, ci riporta a noi stessi. Ciò che ostacola la realizzazione del piano di Dio non è tanto l’opposizione dei non credenti quanto piuttosto il disimpegno dei credenti. Essi devono superare la loro mancanza di comprensione, l’incostanza, lo scoraggiamento di fronte alle difficoltà della vita, la preoccupazione del mondo e la seduzione delle ricchezze. Dio farà certamente la sua parte, ma anche i credenti devono fare la loro. E quello che si richiede da loro è soprattutto un impegno costante per capire il piano di Dio che si attua nella storia e per porsi in sintonia con esso nonostante tutte le difficoltà e i fallimenti a cui vanno incontro.
Anche la seconda lettura contiene un messaggio di speranza. Paolo afferma che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. E aggiunge che tutta la creazione geme in attesa della rivelazione dei figli di Dio. Ciò significa che, quando i credenti saranno giunti alla piena comunione con Dio, anche il cosmo sarà trasformato. Ma già fin d’ora i figli di Dio devono prendersi cura anche di tutto il cosmo del quale sono partecipi.
La nostra speranza in un mondo migliore non si basa sulla nostra capacità di trasformare il mondo in cui viviamo ma nella fede in un Dio che in modo invisibile guida l’evoluzione dell’umanità e di tutto il creato. Questa certezza non comporta disimpegno e fatalismo ma al contrario provoca un impegno per la giustizia e la solidarietà che stanno alla base di un mondo rinnovato. In questa prospettiva si impone una nuova concezione dell’ambiente che deve essere rispettato perché serva non agli interessi di qualcuno ma al benessere di tutti.
Fa un certo effetto sentire proclamare, alla fine di una lettura della messa, la formula «Parola di Dio/Parola del Signore» a cui si risponde automaticamente: «Rendiamo grazie a Dio». Ma che cosa ha detto di speciale questo Dio? Sì, il brano del vangelo contiene spesso degli utili orientamenti di vita, ma espressi il più delle volte in un linguaggio così arcaico da lasciarci perplessi. Non parliamo poi della prima lettura, in cui appare spesso in azione un Dio troppo umano, a volte arbitrario e vendicativo. Anche la seconda lettura contiene dei messaggi che facciamo fatica a capire perché non sappiamo chi erano e che cosa pensavano coloro a cui erano indirizzati.
E allora perché non riconoscere che le letture della Bibbia non sono la parola di Dio, ma soltanto la parola di uomini che in nome di Dio hanno comunicato ad altri uomini un messaggio che ritenevano importante per loro, ma con tutti i limiti di qualsiasi parola umana. Che questa parola venga da Dio e non torni a lui senza aver prodotto il suo effetto sembra veramente un po’ azzardato. Aveva ragione Gesù: tante di queste parole sono per noi oggi come semi caduti in un terreno sterile e improduttivo, non sempre per colpa nostra ma spesso per l’enorme divario culturale che ci separa dai veri destinatari: difficile immaginare che malgrado ciò il seme produca un raccolto insperato.
Ma forse le cose non stanno del tutto così. Se Dio veramente esiste, certamente non è e non si comporta come uno di noi. Ci mancherebbe! Affermarlo sarebbe un’enorme ingenuità. Noi ci troviamo spesso di fronte a realtà che ci superano e che non sappiamo esprimere se non con metafore. La parola di Dio è una di queste: con essa indichiamo quella voce interiore che si fa sentire quando entriamo in noi stessi, una voce che ci ispira, ci rimprovera, ci consola. Una voce che si decifra solo quando è comunicata, confrontata con quanto altri hanno percepito nell’oggi o in un passato vicino o remoto, come è quello registrato nelle Scritture. L’unico modo per essere umani consiste nell’ascoltare questa voce, nel verificarla e nel lasciarci guidare da essa… spesso contro corrente. Una scelta difficile! Ma ne vale la spesa.
Non riesco a cogliere quei segni che attesterebbero l’operare di Dio in questo mondo, tra violenze di cui la natura è maestra, sofferenze, malattie, guerre, che da sempre si ripetono, mutando solo gli approcci scientifici e tecnologici. Non so che cosa Dio abbia a che fare con tutto questo e forse solo per non eliminarlo del tutto, o per non ridurlo ad una distante e quasi superflua presenza, mi dico che si tratta di un mistero insondabile, del quale nulla sappiamo e nulla possiamo dire. Certo questo non dev’essere preludio e giustificazione al disimpegno, ma semplicemente, penso, perchè impegnarsi per un mondo migliore dà uno scopo al nostro vivere su questa terra e ci salva, in un certo senso, dalla disperazione.
premetto che quando si ragiona sul mistero niente è sicuro
abbiamo sempre detto che non si può parlare di un dio interventista
sarebbe un Dio ingiusto
io credo che ci sia un Ente, Dio … che ha dato origine a tutto
poi nell’universo, il creato e l’uomo, sono emersi, come ha chiarito la scienza, attraverso l’evoluzione
e l’evoluzione segue una legge naturale
non può essere condotta da un dio anche invisibile
l’uomo arrivato attraverso le vari fasi evolutive all’autocoscienza ha acquisito una spiritualità
ed è questa che dobbiamo curare e far crescere in noi per migliorare il mondo e tutto il creato.
La spiritualità del creato non è un sentiero di recente invenzione, è una tradizione antica e l’uomo occidentale, dopo la lunga separazione tra scienza e religione, la sta riscoprendo
si parla infatti di “nuova cosmologia”
la sua legge dell’interconnessione mi sta aprendo nuovi spazi di pensiero.