Tempo Ordinario A – 16. Domenica
Le letture di questa domenica propongono di riflettere sul tema del giudizio. Nella prima lettura si dice che Dio, per guidare il mondo verso un fine di salvezza non si serve delle minacce e dei castighi. Pur essendo il padrone di tutto, egli giudica con mitezza e governa il mondo con molta indulgenza. In tal modo dà l’esempio di quella filantropia che deve regolare il rapporto fra gli umani.
Nel vangelo sono riportate tre parabole: il buon grano e la zizzania, il granello di senape e il lievito nella pasta. Tutte e tre hanno lo stesso messaggio: il regno di Dio viene annunziato in mezzo a ostacoli di ogni tipo e si manifesta come una realtà insignificante. Nonostante ciò esso è una potenza capace di trasformare il mondo. Il credente non deve dunque lasciarsi trarre in inganno dalla debolezza con cui il regno di Dio si manifesta nel momento attuale ma deve impegnarsi a fondo per collaborare alla sua realizzazione. La sua fedeltà a Cristo e al vangelo esige quindi una faticosa lotta quotidiana per convivere con il male senza lasciarsi coinvolgere da esso. La spiegazione della parabola del buon seme e della zizzania procede invece in senso contrario introducendo la paura del castigo come motivo di un comportamento onesto. In essa non si esprime il pensiero di Gesù ma la poca fiducia nella forza trainante del Vangelo che spesso ha condizionato la predicazione cristiana.
Nella seconda lettura Paolo mette in luce il ruolo della preghiera nella vita cristiana. È proprio nella preghiera che lo Spirito guida i credenti a capire la volontà di Dio, che consiste nella realizzazione del suo regno annunziato da Gesù. Dalla preghiera dunque il credente ottiene la forza di cui ha bisogno per collaborare alla sua venuta.
Il vangelo è un messaggio di salvezza che mette in primo piano l’amore misericordioso di Dio per tutte le sue creature. Solo la speranza in un mondo migliore può spingere i credenti a impegnarsi per una società più giusta e solidale. È stata la poca fiducia nella forza misteriosa del regno di Dio che spesso ha spinto i cristiani a riproporre la paura del giudizio divino come mezzo per allontanare gli uomini dal male. Ma la paura è la negazione del Vangelo e non è in grado di attuare la vittoria del bene sul male.
Forse ci sono anche quelli a cui questo mondo va bene così com’è: sono quelli che detengono la gran parte dei beni di questo mondo. Per il resto dell’umanità resta il sogno di un mondo migliore, in cui a tutti siano resi disponibili quei beni essenziali che sono lavoro, salute, cultura, in un contesto di giustizia e di solidarietà. Anche Gesù sognava un mondo così, e lo ha chiamato regno di Dio. Lui forse pensava che molto presto Dio lo avrebbe realizzato e si è impegnato fino alla morte perché ciò avvenisse.
I primi cristiani invece hanno capito che lui stesso avrebbe attuato questo mondo nuovo in tempi brevi, ritornando quaggiù dopo la sua morte e risurrezione. Questa attesa però è andata delusa. E allora hanno pensato che il regno di Dio non fosse altro che il paradiso, un luogo di eterna felicità, al quale sono ammessi già alla fine di questa vita coloro che quaggiù hanno obbedito alla volontà di Dio, accettando le sofferenze e le tribolazioni da lui mandate o permese. E soprattutto stando alla larga da tutti i corrotti, violenti e perversi, per i quali il destino sarebbe stato il fuoco dell’inferno.
Non credo che Gesù la pensasse veramente così. Per lui il regno di Dio era un ideale verso il quale Dio stesso conduce tutta l’umanità, nella quale il bene è mescolato al male e i buoni devono convivere con i cattivi. A quelli che si ritengono buoni non è dunque consentito separarsi o mettersi all’opposizione, contrastando tutto quello che fanno gli altri, i cattivi, magari con il sogno nascosto di prenderne il posto. Chi desidera veramente un mondo migliore deve dialogare, discernere, lottare, cercando di ottenere tutto il bene possibile e coinvolgendo più persone possibile in questa ricerca.
Si tratta di un compito difficile, al quale sono chiamati non solo i politici, ma i comuni cittadini: ognuno deve mettere il suo piccolo mattone per la costruzione di una società più giusta e solidale, con una grande ambizione: che anche la zizzania non sia gettata nel fuoco ma possa trasformarsi in buon grano.