La confessione
Ho letto con interesse questo articolo sulla confessione. Mi restano però alcune domande. Perché chiamare “confessione dei peccati” e demandare al sacredote quella che può e deve essere una salutare consulenza religiosa. Ormai è noto che il più delle volte non si tratta di peccati veri e propri (materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso) ma di sofferenze, debolezze, ferite. Perché imporre l’umiliazione di battersi il petto per quella che è la conseguenza del proprio essere creature e spesso della violenza altrui? Certo negli atti umani c’è sempre una responsabilità personale, ma spesso non la sa valutare neppure la persona interessata. Figurarsi il sacerdote! Solo Dio può giudicare. E poi mi chiedo: il confessore che ascolta il “penitente” in Duomo, e anche il più delle volte in qualsiasi chiesa, che aiuto può offrirgli per iniziare o riprendere un cammino di fede? Al di là delle buone parole e della grazia di Dio che non manca mai, è necessari avere degli ambiti di comunità per andare avanti. Se mancano questi, la confessione diventa un inganno, in cui confessore e penitente sono conniventi.
L’interpretazione e il superamento della dottrina tradizionale inizia oggi, molto lentamente, a evidenziare alcuni spazi ( non si parla quasi più di “sacrificio”!). Però spesso nell’attuazione della nostra ricerca restiamo a metà strada e viviamo sentimenti di contraddizione perché accettare il cambiamento è faticoso, è rinunciare a certezze che vorremmo acquisite.
Se abbiamo fatta nostra la teoria dell’evoluzione – e anche parte della Chiesa l’ha accettata – non possiamo considerare il peccato come un gesto definitivo che interrompe il nostro cammino e che dobbiamo confessare (come? a chi? per raggiungere che cosa?). In un’ottica evolutiva i nostri sbagli sono segno di un cammino che ha dei limiti, che ci rivela come creature “incomplete”, ma non “cadute”. Abbiamo certamente bisogno di aiuto e soprattutto di “aiutarci”, ma nulla da confessare, ogni cosa si svolge secondo il suo progredire e noi, ad ogni battuta d’arresto, dobbiamo ritrovare la forza nello spirito che è in noi perché ci aiuti a orientare nuovamente la nostra volontà verso il bene.
Ho ricevuto lo stesso articolo da miei amici a cui ho scritto:
“Padre Sandro Sacchi (che Don Angelo conosce) ha riportato l’articolo sul suo sito
dove ha anche riportato un suo commento che potete leggere.
L’articolo a me ha fatto venire in mente i Valdesi che, se non ho capito male, non hanno il rito della confessione in quanto sostengono che l’animo umano è perscrutabile solo da Dio e di conseguenza riconduce la problematica nell’ambito esclusivo della responsabilità della persona. Prospettiva che mi trova d’accordo anche perché le persone che hanno bisogno di “confidarsi”, se cercano, trovano sempre persone, religiose o laiche, in grado di “ascoltare”.
Don Angelo mi ha risposto e partecipo il suo pensiero:
“Caro Bruno,
che l’articolo apra domande è bello. Il giornalista non è un teologo, cerca di registrare un po’, se c riesce, che cosa resta o non resta di questo sacramento.
E’ vero che non basta ascoltare, ed è anche vero che tutti possono ascoltare, è bellissimo che sia così e dobbiamo andare verso giorni in cui questo avvenga. Se poi uno sceglie un confessionale, pensando di essre ascoltato, al di là di tutto io penso che sarebbe già bello che trovasse l’evangelo, buonanotizia e non la criminalizzazione, ma nel nome di Gesù l’accoglieba della nostra fragiltà congenita, un’occasone per restiuire a Dio il volto di Dio. Per un annuncio del vangelo, il confessionale non è l’unico posto e molti laici lo possono fare come giustamente tu e Padre Sacchi fate notare. Ma se qualcuno arriva lì?
Poi seguiranno percorsi comunitari da suggerire? Ce lo auguriamo. Ma nel frattempo? E poi penso: tutti quelli che Gesù ha incontrato sono poi finiti in una comunità?
Bello il tuo suggerimento di dare occasio di crescita di limpidezza per la coscienza.
Sono tante le domande dentro di me, più delle risposte. Una cosa sola mi sembra di capire che mentre si tenta scrostare l’affresco, non posso dimenticare la biografia di chi incontro e di lasciare, se mi riesce, un piccolo seme del vangelo, senza prtendere di sapere come o quando nascerà.
Con affetto.
angelo “
Vorrei aggiungere un’altra idea che mi sta molto a cuore. In una comunità vera, in cui tutti interagiscono, ciascuno si espone, manifestandosi per quallo che è e aiuta gli altri e al tempo stesso accetta di essere aiutato nel suo cammino spirituale e umano. Questa secondo me è la vera confessione. Un altro discorso è quello di essere accompagnati in un cammino di ritorno a Dio e alla comunità. Per questo ci vuole una guida, non necessariamento il sacerdote, che rappresenti la comunità cristiana.