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Tempo Ordinario A – 18. Domenica

Il cibo della salvezza

La liturgia di questa domenica affronta il tema del cibo come espressione simbolica della salvezza. Nella prima lettura il profeta, a nome di yhwh, invita gli israeliti, che si preparano a ritornare dall’esilio, a mangiare e a bere gratuitamente. Immaginiamo una grande tavolata in cui i commensali hanno cibo a sufficienza e fanno l’esperienza della condivisione in un clima di solidarietà e di fraternità. Mentre si condivide il pane del corpo si attinge così ai grandi valori della vita. È questa l’immagine simbolica della salvezza che Dio dona al suo popolo.

Nel vangelo è significativo il fatto che Gesù, prima di distribuire i cinque pani e i due pesci, fa alcuni gesti: eleva gli occhi al cielo, recita una preghiera di benedizione e di ringraziamento, spezza i pani e li dà ai discepoli perché li distribuiscano alla folla. Sono i gesti tipici del padre che riunisce la sua famiglia intorno alla mensa. La condivisione del cibo diventa così un gesto che non riguarda solo l’apparato digerente, ma tocca anche il cuore, i sentimenti, i rapporti tra persone. I gesti di Gesù sono gli stessi che egli farà nell’ultima Cena. I primi cristiani non potevano non fare questo accostamento. Ne deriva un’importante conseguenza: mediante la sua morte in croce, rappresentata simbolicamente nel pane spezzato e nel vino versato, Gesù non solo dà un nutrimento spirituale, ma mette a disposizione dei suoi discepoli anche il pane materiale. Non per nulla i primi cristiani celebravano l’eucaristia nel contesto di un banchetto in cui ricchi e poveri condividevano lo stesso cibo messo a disposizione da ciascuno secondo le proprie possibilità.

Nella seconda lettura Paolo si chiede: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?». E risponde che nessuna potenza di questo mondo può farci perdere il rapporto con lui. L’unione con Cristo che si attua nell’eucaristia rappresenta un rapporto indissolubile che si rifrange in tanti altri rapporti che si moltiplicano a macchia d’olio e creano sempre nuove iniziative di collaborazione e di solidarietà.

Oggi l’umanità si trova in una tremenda crisi economica. Andiamo tutti incontro a un impoverimento, al quale corrisponderà inevitabilmente l’arricchimento di pochi privilegiati. Se vogliamo evitare tragedie ancora più grandi,  qualche cosa deve cambiare nelle regole che riguardano l’economia. Ma ciò sarà possibile solo in chiave di solidarietà. È questo il segnale chi i cristiani devono dare a tutta la società. Ma perché ciò avvenga è necessario che i loro incontri settimanali cambino radicalmente, diventando un vero momento di condivisione a tutti i livelli. Se ciò non avviene, l’essere cristiani perderà ogni significato.

Tempo Ordinario A – 16. Domenica

Il giudizio finale

Le letture di questa domenica propongono di riflettere sul tema del giudizio. Nella prima lettura si dice che Dio, per guidare il mondo verso un fine di salvezza non si serve delle minacce e dei castighi. Pur essendo il padrone di tutto, egli giudica con mitezza e governa il mondo con molta indulgenza. In tal modo dà l’esempio di quella filantropia che deve regolare il rapporto fra gli umani.

Nel vangelo sono riportate tre parabole: il buon grano e la zizzania, il granello di senape e il lievito nella pasta. Tutte e tre hanno lo stesso messaggio: il regno di Dio viene annunziato in mezzo a ostacoli di ogni tipo e si manifesta come una realtà insignificante. Nonostante ciò esso è una potenza capace di trasformare il mondo. Il credente non deve dunque lasciarsi trarre in inganno dalla debolezza con cui il regno di Dio si manifesta nel momento attuale ma deve impegnarsi a fondo per collaborare alla sua realizzazione. La sua fedeltà a Cristo e al vangelo esige quindi una faticosa lotta quotidiana per convivere con il male senza lasciarsi coinvolgere da esso. La spiegazione della parabola del buon seme e della zizzania procede invece in senso contrario introducendo la paura del castigo come motivo di un comportamento onesto. In essa non si esprime il pensiero di Gesù ma la poca fiducia nella forza trainante del Vangelo che spesso ha condizionato la predicazione cristiana.

Nella seconda lettura Paolo mette in luce il ruolo della preghiera nella vita cristiana. È proprio nella preghiera che lo Spirito guida i credenti a capire la volontà di Dio, che consiste nella realizzazione del suo regno annunziato da Gesù. Dalla preghiera dunque il credente ottiene la forza di cui ha bisogno per collaborare alla sua venuta.

Il vangelo è un messaggio di salvezza che mette in primo piano l’amore misericordioso di Dio per tutte le sue creature. Solo la speranza in un mondo migliore può spingere i credenti a impegnarsi per una società più giusta e solidale. È stata la poca fiducia nella forza misteriosa del regno di Dio che spesso ha spinto i cristiani a riproporre la paura del giudizio divino come mezzo per allontanare gli uomini dal male. Ma la paura è la negazione del Vangelo e non è in grado di attuare la vittoria del bene sul male.

Tempo di Pasqua A – 2. Domenica

La comunità cristiana

La prima lettura ci invita in questa seconda domenica di Pasqua a riflettere sulla vita comunitaria così come è stata proposta da Gesù e vissuta dai primi cristiani. Per costoro la fede in Gesù significava veramente una scelta di vita alternativa. Ne parla Luca nel brano degli Atti degli apostoli: «Avevano ogni cosa in comune». In un mondo in cui ciascuno difende a oltranza il proprio orticello, saper condividere rappresenta una vera rivoluzione. E non si tratta solo della condivisione dei beni materiali. Sarebbe troppo poco. Anzitutto devono essere condivisi i pensieri, i progetti, i sogni, la ricerca di un mondo migliore. 

Nel brano del vangelo Gesù parla di pace e di perdono dei peccati. Solitamente si interpreta questo messaggio in chiave individualista, come qualcosa che riguarda noi cristiani e il nostro bisogno di essere perdonati, magari per superare i nostri sensi di colpa. Il vangelo invece considera il perdono come un grande progetto di riconciliazione, con Dio naturalmente ma al tempo stesso tra persone che si incontrano e formano insieme una comunità di fratelli. Questa necessità viene oggi avvertita in modo sempre più chiaro: le guerre devono cessare e l’umanità deve lottare in modo solidale contro sfruttamento, fame, malattie. Ma per fare questo bisogna credere che Gesù è vivo e condividere con lui la fede in un mondo migliore. È significativa la vicenda di Tommaso. Un discepolo che aveva creduto in Gesù e lo aveva amato con grande trasporto. Ma quando Gesù appare ai discepoli, Tommaso non è con loro e non è disposto a credere nella sua risurrezione se non ha la possibilità di vederlo e di toccarlo. Gesù lo accontenta, ma lo esorta a non essere incredulo ma credente. Sì, tocca pure, sembra dirgli, ma guarda che la fede è un’altra cosa. E Tommaso rinunzia a toccare le ferite di Gesù e reagisce con un vero atto di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Così è ritornato a far parte del gruppo dei primi testimoni. Ma Gesù soggiunge: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto». Per credere non c’è bisogno di vedere un morto risuscitato. Bisogna saper sognare… e fare esperienza di una comunità in cui quel sogno comincia ad avverarsi.

Su questa linea nella seconda lettura l’autore, che si presenta come Pietro, rivolgendosi ai destinatari della sua lettera, dice riguardo a Gesù: «Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui». Si tratta dunque di cristiani che non hanno conosciuto direttamente Gesù, né prima né dopo la sua morte e risurrezione. Ma credono in lui e formano una comunità in cui ciò che sperano è già anticipato.

La risurrezione di Gesù non è un fatto strepitoso che rivela la natura trascendente di Gesù ma un mistero nel quale si crede nella misura in cui si fa l’esperienza di rapporti nuovi fra le persone e ci si impegna insieme per un mondo migliore.