Che cosa ne pensi?

Tempo Ordinario B – 16. Domenica

Una leadership evangelica

Nella liturgia di questa domenica viene messo a fuoco il tema della leadership sia nella società civile che nella chiesa. Nella prima lettura è attribuita a Geremia la convinzione, molto diffusa nell’AT, secondo cui la rovina del popolo è causata dai cattivi governanti. Perciò il profeta dichiara che un giorno Dio stesso assumerà la guida del popolo per condurlo alla salvezza. Questa presenza di Dio alla testa del suo popolo si attua mediante un personaggio da lui inviato che svolge in suo nome il ruolo di pastore. 

I primi cristiani hanno creduto che questo intermediario fosse Gesù, il Messia inviato da Dio. Il fatto di essere inviato significa che Gesù è stato dotato di un carisma, cioè di un dono speciale che consiste nella capacità di aggregare le persone. Nel brano del vangelo ciò appare nel fatto che egli ha avuto compassione dei presenti vedendo che erano come un gregge senza pastore. È chiaro che, senza un vero leader, un gruppo umano si disgrega e facilmente diventa preda di interessi personali. Gesù ha manifestato la sua compassione mettendosi a insegnare: le persone si aggregano non dando loro comandi o leggi, ma insegnando a riflettere, a porsi domande, a scambiarsi esperienze e intuizioni. In questo Gesù dimostra di essere un vero leader. Solo dopo aver insegnato egli darà alla folla anche il pane, cioè provvederà a realizzare, unendo gli sforzi di tutti, un benessere condiviso. 

La seconda lettura attribuisce a Gesù un compito molto importante, che è tipico del pastore, quello di attuare la pace tra persone che hanno una diversità di tradizioni, di esperienze, di valori. Il vero leader non cerca l’uniformità del gregge ma l’interazione e la messa in comune dei valori di cui ciascuno è portatore.

Sull’esempio di Gesù, un vero capo deve sentirsi inviato, cioè deve riferirsi ai valori del vangelo su cui si edifica la comunità; al tempo stesso deve essere solidale con coloro che deve guidare: solo così può evitare l’autoritarismo che solo apparentemente unisce ma in realtà disgrega la comunità. Perciò non deve essere selezionato e preparato, come avviene oggi, all’interno di una struttura artificiale ma deve aver dimostrato “sul campo” di avere un vero carisma e di saperlo esercitare in funzione non del proprio interesse o prestigio ma del bene comune. La stessa cosa deve avvenire in qualsiasi aggregazione umana, che può reggere e governarsi solo se è governata da persone preparate e oneste.

Tempo Ordinario B – 15. Domenica

Vangelo e missione

Il tema della liturgia di questa domenica è quello della missione. Nella Bibbia compaiono molte persone, uomini e donne, che si ritengono inviati da Dio e sono riconosciuti come tali dal popolo e dalle autorità religiose, ma spesso solo dopo la loro morte. Questi personaggi a volte fanno segni straordinari, ma normalmente non hanno a disposizione che la forza della loro parola con cui richiamano i loro ascoltatori, semplici fedeli o re e sacerdoti, ai loro doveri verso Dio e verso il popolo da lui scelto. Amos, di cui si parla nella prima lettura, è uno di questi. Il suo messaggio di sventura non è certo tale da essere gradito nelle alte sfere. Non fa segni miracolosi ma si appella unicamente a colui che lo ha mandato e alla realizzazione futura degli eventi terribili da lui annunziati. 

Anche Gesù si presenta come depositario di una missione che consiste nell’annunziare la venuta imminente del regno di Dio. Egli fa dei miracoli con cui illustra le caratteristiche di questo regno. Con essi però non intende dimostrare l’autenticità della sua parola, che ha in se stessa la forza di convincere e di trasformare i cuori. In questo suo annunzio egli coinvolge i suoi discepoli e conferisce loro la sua stessa autorità. La loro opera consisterà non tanto nel parlare quanto piuttosto nello scacciare i demoni, simbolo del male che è insito nell’uomo e nelle strutture di questo mondo e così anticipare la venuta del regno di Dio. Essi dimostreranno la loro autorevolezza soprattutto con il distacco da tutti i mezzi materiali. Inoltre correranno il rischio, come il loro Maestro, di non essere accolti: in questo caso non dovranno minacciare o insultare ma semplicemente andarsene scuotendo la polvere dai loro piedi. I discepoli obbediscono al mandato ricevuto e si mettono in cammino: come Gesù essi saranno medici delle anime e dei corpi. 

Nella seconda lettura appare che i credenti devono collaborare al progetto di Dio che è quello di ricapitolare in Cristo tutte le cose: in altre parole essi devono far sì che i valori del vangelo trasformino tutta la società e la mettano in armonia con tutte le altre creature di Dio. 

La missione cristiana ha assunto spesso lo scopo di offrire a individui o popoli interi una salvezza che si attua in un’altra vita e si ottiene entrando a far parte della chiesa. Oggi si è compreso più chiaramente che il significato della missione cristiana è un altro: quello cioè di annunziare, con le parole e con i gesti concreti, una salvezza che si realizza nel mondo e consiste nella pratica della giustizia e della solidarietà; l’ingresso nella chiesa non è escluso, a patto però che abbia lo scopo non di ottenere una salvezza per sé ma di collaborare con gli altri, credenti o non credenti, alla salvezza di tutti.

Tempo Ordinario B – 14 Domenica

Fede e miracoli

La liturgia di questa domenica contiene una forte denunzia nei confronti di una religiosità basata sulla ricerca di prodigi e miracoli. Nel testo di Ezechiele, riportato nella prima lettura, gli israeliti sono condannati come una genia di ribelli. Il motivo non è detto, ma si tratta soprattutto di quella sottile idolatria che consiste nel ritenersi in diritto di ottenere i favori di Dio a prescindere dal proprio comportamento in campo etico. 

Nel brano del vangelo si dice che i compaesani di Gesù non erano disposti ad accogliere il suo insegnamento perché trovavano un ostacolo («scandalo») nella sua origine, umile e nota a tutti. Di lui infatti sono ben noti la professione di falegname, il nome di sua madre e quello dei suoi fratelli; le sue sorelle poi vivono ancora nel villaggio. Ma il rifiuto dei nazaretani consisteva soprattutto nel fatto che essi, in quanto suoi compaesani, pensavano di avere un particolare diritto ai suoi miracoli. Gesù non accetta tale pretesa: le sue opere prodigiose infatti non solo compiute per soddisfare le attese egoistiche di qualcuno ma per mostrare la potenza guaritrice del regno di Dio accolto con fede. L’atteggiamento dei nazaretani s’inserisce così nel contesto della rottura verificatasi ad un certo punto tra Gesù e gli abitanti della Galilea: costoro, attratti in un primo momento dai suoi miracoli, si sono allontanati ben presto da lui, vedendo che non potevano usufruire a proprio piacimento del suo potere straordinario. Secondo Marco Gesù commenta l’atteggiamento dei suoi compaesani osservando che «un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4). Questo detto riguarda i rapporti del popolo di Israele con gli inviati di Dio (cfr. 2Cr 36,15-16). Nell’atteggiamento dei nazaretani Marco vede dunque adombrato il rifiuto che il giudaismo istituzionale ha opposto a Gesù e al movimento che nascerà da lui. 

Nella seconda lettura Paolo mette in luce come nella sua debolezza si manifesti la potenza di Cristo. Come Gesù anche Paolo, diversamente da quanto si aspettavano i nazaretani, è convinto che Dio si manifesta non mediante grandi realizzazioni umane ma nel dono di sé che si attua nelle situazioni umili e quotidiane della vita.  

Il rischio più grande di ogni persona religiosa è quello di volersi appropriare di Dio e di aspettarsi da lui segni miracolosi. Sia i profeti che Gesù hanno condannato la falsa convinzione di avere Dio dalla propria parte per una sorta di privilegio, a motivo del culto a lui prestato. Dio non si lascia comprare da nessuno, ma è vicino a ognuno di noi per sostenerci nel nostro impegno quoticiano per rendere un po’ migliore il nostro mondo.