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Tempo Ordinario C – 20. Domenica

Un tempo di scelte

Le letture di questa domenica illustrano, come tema, la necessità di fare nella vita delle scelte spesso difficili e costose. Nella prima lettura i babilonesi stanno per conquistare Gerusalemme e spazzare via i suoi abitanti. Il profeta Geremia, mettendo al primo posto il bene del popolo, prende posizione per una resa dignitosa. Ma questo va contro gli interessi della classe dirigente, che ha paura di perdere potere e privilegi. Perciò i capi decidono di eliminare lo scomodo profeta. Il re non prende posizione. Geremia è gettato in una cisterna e sta per morire. È allora che interviene un personaggio secondario della corte, Ebed-Melec (schiavo del re), il quale rischia la vita per salvare il profeta.

Anche Gesù si trova in un momento cruciale della sua esistenza. Le opposizioni aumentano, si fanno minacciose. Potrebbe ritirarsi in buon ordine. Invece decide di andare avanti, pur sapendo di mettere a rischio la sua vita. Le due immagini del fuoco e del battesimo indicano in modo metaforico la tragedia a cui sta andando incontro. In questo frangente mette in guardia i suoi discepoli. Gesù non è, come forse alcuni possono pensare, un uomo quieto e innocuo, un pacifista che non si espone. Egli è invece un personaggio sovversivo, che porta divisione e contrasto nella società e persino nelle famiglie. Infatti Gesù contesta l’ordine costituito che si basa su strutture gerarchiche, in forza delle quali i padri esercitano il loro potere sui figli, proprio come le classi dirigenti dominano sulla popolazione. Gesù non incita però alla rivoluzione sociale ma propone rapporti nuovi, basati sulla solidarietà e sull’uguale dignità di tutti gli esseri umani.

Nella seconda lettura la necessità di fare delle scelte impegnative viene espressa mediante la metafora di un gruppo di persone, i testimoni, che si mettono a correre tenendo fisso lo sguardo su colui che apre la strada. Sono i discepoli di Gesù che seguono il loro Maestro nella lotta contro il male che si annida nella società; è lui infatti che dà origine alla nostra fede e la porta a compimento.

Nella vita c’è il rischio di lasciarsi portare dagli eventi senza mai prendere decisioni. Decidere è faticoso e spesso si preferisce lasciare ad altri il compito di farlo. Per Gesù non è così. Ognuno deve avere il coraggio di fare le sue scelte alla luce della fede e tenendo conto della realtà in cui si è immersi. Naturalmente ciò richiede di essere disposti ad assumere le conseguenze delle scelte fatte anche quando comportano contrasti e rifiuti. Con la sua vita vissuta nella fedeltà alla volontà del Padre fino alla morte egli diventa per noi colui che ci indica la strada e ci dà la forza di percorrerla fino alla fine.

Tempo Ordinario C – 19. Domenica

Non abbassare la guardia

La liturgia indica come tema di questa domenica la vigilanza. Nella prima lettura si afferma che la liberazione degli israeliti dall’Egitto corrispondeva a un progetto di Dio, che era stato preannunziato ai loro padri. Essi hanno creduto e si sono preparati alla sua realizzazione. A tal fine si sono impegnati ad osservare una legge divina, in forza della quale tutti avrebbero partecipato in misura uguale agli stessi i beni ed agli stessi pericoli. Essi dunque si sono preparati non facendo ricorso alle armi ma praticando quella giustizia e quella solidarietà che erano il vero scopo della loro liberazione.

Nel brano del vangelo, Luca riporta le parole di Gesù sulla vigilanza interpretandole in funzione delle attese dei cristiani del suo tempo. Costoro pensavano che il Signore sarebbe presto ritornato per instaurare il regno di Dio ed erano profondamente delusi perché ciò non si era ancora verificato. A loro l’evangelista ricorda che Gesù si era rivolto ai suoi discepoli chiamandoli «piccolo gregge» e aveva annunziato che Dio avrebbe concesso loro il suo regno. Essi dunque, come gli ebrei dell’esodo, devono anticiparne la venuta mediante la loro comunione fraterna. Perciò li invita, con un’espressione iperbolica, a vendere i propri beni e a dare il ricavato ai poveri, cioè a condividere le loro risorse con i meno fortunati; solo così potranno farsi un tesoro nei cieli, cioè cominceranno a vivere fin d’ora secondo i valori del regno di Dio. Nella seconda parte del brano si insiste sulla vigilanza portando tre immagini: un padrone che tornando a casa tardi nella notte e trovando i suoi servi ancora svegli, li fa mettere a tavola e li serve lui stesso; un altro padrone che, aspettandosi una visita notturna dei ladri, non cessa di vigilare tutta la notte; infine un amministratore che è punito perché il suo padrone, tornando di sorpresa, lo trova a percuotere i servi, a mangiare e a ubriacarsi.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, si parla della fede che ha come oggetto le cose che non si vedono, cioè la venuta del regno di Dio promesso prima dai profeti e poi da Gesù. Chi crede è certo che il progetto di Dio si realizzerà, anche se ora ciò non appare. L’autore illustra il suo pensiero portando l’esempio di Abramo e di Sara i quali, pur essendo vecchi, hanno creduto che Dio avrebbe dato loro un figlio dal quale sarebbe nato un popolo numeroso. Quando poi è nato il figlio promesso e Dio ha chiesto loro di offrirlo in sacrificio, essi non hanno esitato a obbedire, sapendo che Dio è capace persino di far risorgere i morti.

La vigilanza non consiste tanto nel prepararsi alla morte che potrebbe venire da un momento all’altro, quanto piuttosto nel non scoraggiarsi se si è rimasti in pochi e sembra che il male abbia il sopravvento. Infatti il regno promesso da Gesù si sta già realizzando: bisogna aprire gli occhi e vedere i segni della sua venuta. Vigilare significa dunque non cedere alla tentazione di fare come fanno tutti, lasciandosi andare al sopruso, alla corruzione o magari solo all’inerzia e al menefreghismo.

Tempo Ordinario C – 18. Domenica

La tragedia dell’ingordigia

La liturgia di questa domenica propone alla nostra riflessine il tema dell’ingordigia e dei danni che provoca nella società. Nella prima lettura un autore poco conosciuto, il Qoelet, afferma che tutte le cose di questo mondo sono vanità, cioè un soffio che si dissolve nel nulla. In questo testo si mette in discussione non l’onesto impegno per guadagnarsi la propria esistenza, ma l’affannarsi per avere sempre di più, senza rendersi conto che un giorno si dovrà lasciare tutto.

Nel brano del vangelo, Gesù indica nell’ingordigia il male più grande che colpisce la persona e la società. Egli sottolinea la stoltezza del voler accumulare sempre più beni materiali, soldi o cose. A che cosa servono? Molte volte ci si giustifica pensando di avere un giorno la possibilità di godersi in pace i propri beni. Ma non bisogna farsi illusioni. Il campanello suona quando meno ci si aspetta. Nessuno può portarsi nell’altro mondo ciò che ha accumulato quaggiù. Questo vale anche per i pochi miliardari, che sottraggono alla collettività quantità enormi di danaro. Quando uno si arricchisce oltre un certo limite non può essere onesto. Ma anche chi non si arricchisce deve farsi il suo esame di coscienza, perché la cupidigia può annidarsi anche nel cuore di chi non possiede grandi ricchezze. Tutto dipende dalla gerarchia di valori a cui facciamo riferimento.

Nella seconda lettura si parla della nuova vita che Gesù ci ha acquistato. Non si tratta in primo piano della vita dopo la morte, ma di un nuovo modo di essere che si attua a partire da quaggiù. Abbiamo il privilegio di essere risorti con Cristo. Ma dobbiamo mettere tutto il nostro impegno per essere veramente con lui, imparando a fare un uso appropriato delle cose materiali: l’ingodigia è già in se stessa un’idolatria.

La crisi attuale, in tutti i suoi diversi aspetti, finirà quando si saprà vincere l’ingordigia che affligge l’umanità. Ciò esige che si correggano i meccanismi del mercato, in modo che non si creino sperequazioni eccessive tra cittadini e tra nazioni. Ma a monte è necessario che noi, come individui e come società, scegliamo la strada della sobrietà e della condivisione, invece di quella del profitto e dei consumi. Per arrivare a ciò non sono sufficienti i meccanismi economici. Ci vuole una vera conversione del cuore.