Categoria: Feste

Santissima Trinità B

L’unico vero Dio

Il tema delle letture di questa festa non è, come ci si potrebbe aspettare, il dogma della Trinità ma quello della manifestazione dell’unico Dio nella persona umana di Gesù. Nella prima lettura è riportato un brano del Deuteronomio che può essere considerato come la proclamazione dell’unicità di Dio. Non si tratta però di una concezione filosofica, astratta, ma dell’esperienza di Dio che gli israeliti, guidati dai profeti, hanno fatto a partire non solo dalla bellezza e dall’armonia del creato, ma anche e soprattutto dalla loro storia tribolata. La fede nell’unico Dio si è così tradotto nel progetto di costruire una vita sociale basata sulla giustizia e sulla solidarietà.

Nella lettura del vangelo Matteo racconta che Gesù, dopo la risurrezione, è apparso ai suoi discepoli su un alto monte e li ha inviati in tutto il mondo a insegnare e a fare nuovi discepoli. Il compito di guida alla scoperta di Dio, un tempo affidato ai profeti, era stato svolto in modo speciale dal loro Maestro, il cui insegnamento aveva trovato il suo pieno significato nella sua morte e risurrezione. Ora essi ricevono il compito di annunziare a tutto il mondo l’esperienza che avevano fatto a contatto con lui, perché a tutti fosse reso possibile l’incontro con Dio di cui egli era stato l’annunciatore. A Gesù viene attribuito anche l’ordine di conferire a coloro che avrebbero creduto in lui il battesimo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Questo rito significa che a quanti aderiscono a Gesù è aperta la strada all’incontro con Dio. Il riferimento allo Spirito santo significa che questo incontro non è superficiale ma implica una profonda trasformazione interiore.

L’azione dello Spirito è illustrata nella seconda lettura. Essa consiste in una diversa percezione di Dio, visto non più come l’onnipotente a cui stare sottomessi ma come un Padre che ama i suoi figli. È mediante lo Spirito che il credente diventa partecipe del rapporto filiale che Gesù ha con Dio.

Fin dall’infanzia noi siamo stati abituati a considerare la Ss. Trinità come il culmine della nostra fede senza chiederci che cosa significhi per noi: era convinzione comune che si trattasse di un mistero che, come tale, non si può spiegare. Ma bisogna ricordare che la Trinità è pur sempre un’immagine con la quale uomini di tanto tempo fa hanno cercato di descrivere con categorie umane l’azione indescrivibile di Dio nel mondo. In realtà la Trinità significa che nell’esperienza umana di Gesù si è manifestato il Dio invisibile che si rapporta a noi come un Padre, cioè, fuori metafora, come colui che rappresenta i valori fondamentali nei quali troviamo il senso della nostra vita: e da questo rapporto sgorga in noi quella forza interiore che chiamiamo, sempre con una metafora, lo Spirito santo. Se uno fa questa esperienza sarà portato a condividerla con chiunque, senza pretese o pregiudizi. 

Pentecoste B

La ricerca spirituale

La festa di Pentecoste mette in luce un tema spesso trascurato dai cristiani: la spiritualità. Luca ne parla negli Atti degli apostoli dove descrive in modo narrativo la venuta dello Spirito sui discepoli di Gesù proprio nel giorno in cui gli ebrei celebrano la festa di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua. Per comporre il suo racconto egli si serve delle metafore che nell’ambiente giudaico erano tradizionalmente collegate alla festa di Pentecoste, cioè la manifestazione di Dio (teofania) sul Sinai e il dono della sua Legge. Anche Luca immagina il terremoto, il fragore del tuono, il fuoco, ma dà a tutta la scena un nuovo significato: ciò che è comunicato però non è più una legge che impone un certo comportamento, ma lo Spirito, che agisce nei cuori e fa comprendere e vivere sempre più in profondità il messaggio di Gesù. Ricevendo lo Spirito i discepoli parlano lingue diverse, rendendo così comprensibile il messaggio di Gesù a gente di lingua e cultura diverse. Gesù è per tutti un Maestro di spiritualità. La ricerca spirituale è l’unica capace di abbattere i muri che separano gli umani. 

Nel suo Vangelo Giovanni riferisce che Gesù, durante l’ultima cena, ha detto ai suoi discepoli di non poter comunicare a loro tutto quanto avrebbe voluto dire perché essi non erano ancora in grado di capire; ma lo Spirito avrebbe fatto comprendere loro tutta la verità. Questa verità, da scoprire sotto la guida dello Spirito, non consiste in concetti astratti o in norme morali, ma nella percezione personale del suo insegnamento nelle situazioni di vita in cui ciascuno si trova. Secondo Giovanni Gesù non ha aspettato la Pentecoste per conferire lo Spirito ai suoi discepoli ma lo ha fatto nel momento stesso in cui è apparso loro dopo la sua risurrezione. Naturalmente si tratta di immagini diverse per esprimere la stessa esigenza di un’esperienza spirituale a cui deve condurre l’insegnamento di Gesù. Tutta la Chiesa dovrà dunque portare avanti questa ricerca, l’unica che le permetterà di comprendere sempre più in profondità e di comunicare alle nuove generazioni il messaggio di Gesù.

Nella seconda lettura Paolo mette il dito sulla piaga di un mondo corrotto e violento e fa una constatazione che ancora oggi non abbiamo del tutto assimilato: non è la legge che può trasformare questa società ma lo Spirito. Solo una esperienza spirituale vissuta dà a ciascuno la possibilità di correggere gli aspetti negativi della propria personalità per rendere possibile un’esperienza di amore nel servizio degli altri.

Spesso ciò che la gente percepisce nelle funzioni religiose non è una ricerca spirituale ma concetti e comandamenti da accettare per fede e soprattutto l’immagine di un Dio che bisogna pregare per ottenere determinati benefici. Questo è il motivo che spinge molte persone di buona volontà ad abbandonare la pratica religiosa. Solo riproponendo il Vangelo di Gesù come chiamata a una ricerca spirituale personale e comunitaria la Chiesa potrà aiutare le persone a scoprire il senso della propria vita e a operare efficacemente per il bene di tutta la società.

Ascensione del Signore B

L’eredità di Gesù

Le letture proposte dalla liturgia per questa domenica ci pongono un problema molto impegnativo: che cosa ci ha lasciato Gesù con la sua morte? Nella prima lettura Luca racconta che Gesù, dopo la sua risurrezione, ha trascorso quaranta giorni con i suoi discepoli parlando del regno di Dio. Forse Luca pensava a una specie di tirocinio a cui ha sottoposto i discepoli. Al termine di questo periodo Gesù è asceso al cielo: il Risorto non può stare se non nel luogo dove, secondo la cultura dell’epoca, risiede Dio con le creature «celesti». Ma prima di andarsene ha promesso di inviare loro lo Spirito Santo e li ha incaricati di essere suoi testimoni nella Giudea, in Samaria e fino ai confini del mondo.

Questo tema è ripreso nel brano del vangelo. Secondo Marco Gesù ha dato ai suoi discepoli la consegna di predicare il vangelo a tutte le creature e per fare ciò ha dato loro alcuni poteri, i più importanti dei quali sono quello di scacciare i demoni e di guarire i malati. Se li leggiamo nel loro contesto, essi assumono un grande significato. I demoni indicano simbolicamente ogni tipo di violenza e di ingiustizia istituzionalizzata. Annunziare il vangelo significa dunque anzitutto lottare per una vera giustizia sociale. Ma questo impegno i discepoli devono cominciare ad assumerlo nei confronti di ogni persona che ha bisogno di essere guarita dai suoi mali. Si tratta infatti prima di tutto della guarigione del cuore, indicando il vero senso della vita: la guarigione del corpo, cioè di tutta la persona, viene di conseguenza.

Nella seconda lettura si sottolinea che i discepoli possono compiere la missione loro affidata solo mediante una vera vita comunitaria. Come prima cosa essi dovranno volersi bene fra di loro attuando quell’unità che viene dall’avere la stessa fede e lo stesso battesimo. E perché ciò si realizzi l’autore ricorda che Gesù, dopo essere salito al cielo, è ritornato per conferire dei doni ai suoi discepoli. Si tratta anzitutto di servizi che alcuni ricevono a favore della comunità. L’autore nomina gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i pastori e i maestri. Costoro però non hanno l’esclusiva del ministero. Il loro compito anzi è quello di far sì che ogni membro della comunità abbia un servizio da svolgere a favore degli altri. Senza una pluralità di ministeri la comunità non può rappresentare Gesù e testimoniarlo nel mondo.

Con l’immagine della salita al cielo l’evangelista vuole dire che Gesù ha finito il suo compito. Durante la sua vita terrena egli ha annunziato la venuta del regno di Dio. Ora affida ai discepoli, non solo agli apostoli ma a tutti i cristiani, il compito di continuare la sua opera. Questo però esige che noi per primi ci comportiamo veramente secondo le esigenze del Vangelo. A tale scopo il nostro primo impegno deve essere quello di attuare un’autentica vita comunitaria, nella quale il servizio vicendevole fa sì che cessi la violenza e si instauri un clima di vera fraternità. In questo modo, anche senza fare nulla di particolare, diventiamo spontaneamente i testimoni di Gesù e il lievito che trasforma la società.