Tempo Ordinario B – 15. Domenica
Il tema della liturgia di questa domenica è quello della missione. Nella Bibbia compaiono molte persone, uomini e donne, che si ritengono inviati da Dio e sono riconosciuti come tali dal popolo e dalle autorità religiose, ma spesso solo dopo la loro morte. Questi personaggi a volte fanno segni straordinari, ma normalmente non hanno a disposizione che la forza della loro parola con cui richiamano i loro ascoltatori, semplici fedeli o re e sacerdoti, ai loro doveri verso Dio e verso il popolo da lui scelto. Amos, di cui si parla nella prima lettura, è uno di questi. Il suo messaggio di sventura non è certo tale da essere gradito nelle alte sfere. Non fa segni miracolosi ma si appella unicamente a colui che lo ha mandato e alla realizzazione futura degli eventi terribili da lui annunziati.
Anche Gesù si presenta come depositario di una missione che consiste nell’annunziare la venuta imminente del regno di Dio. Egli fa dei miracoli con cui illustra le caratteristiche di questo regno. Con essi però non intende dimostrare l’autenticità della sua parola, che ha in se stessa la forza di convincere e di trasformare i cuori. In questo suo annunzio egli coinvolge i suoi discepoli e conferisce loro la sua stessa autorità. La loro opera consisterà non tanto nel parlare quanto piuttosto nello scacciare i demoni, simbolo del male che è insito nell’uomo e nelle strutture di questo mondo e così anticipare la venuta del regno di Dio. Essi dimostreranno la loro autorevolezza soprattutto con il distacco da tutti i mezzi materiali. Inoltre correranno il rischio, come il loro Maestro, di non essere accolti: in questo caso non dovranno minacciare o insultare ma semplicemente andarsene scuotendo la polvere dai loro piedi. I discepoli obbediscono al mandato ricevuto e si mettono in cammino: come Gesù essi saranno medici delle anime e dei corpi.
Nella seconda lettura appare che i credenti devono collaborare al progetto di Dio che è quello di ricapitolare in Cristo tutte le cose: in altre parole essi devono far sì che i valori del vangelo trasformino tutta la società e la mettano in armonia con tutte le altre creature di Dio.
La missione cristiana ha assunto spesso lo scopo di offrire a individui o popoli interi una salvezza che si attua in un’altra vita e si ottiene entrando a far parte della chiesa. Oggi si è compreso più chiaramente che il significato della missione cristiana è un altro: quello cioè di annunziare, con le parole e con i gesti concreti, una salvezza che si realizza nel mondo e consiste nella pratica della giustizia e della solidarietà; l’ingresso nella chiesa non è escluso, a patto però che abbia lo scopo non di ottenere una salvezza per sé ma di collaborare con gli altri, credenti o non credenti, alla salvezza di tutti.
Annunziare il vangelo
Certo ai tempi di Amos non mancavano personaggi che affermavano di essere profeti, mandati da Dio ad annunziare la sua parola. Ma come distinguere i veri dai falsi profeti? Non era facile, ma neppure così difficile. Di Amos si dice, poche righe prima del brano liturgico, che i fastidi sono cominciati per lui quando si è messo a parlare contro il re e a denunziare la corruzione della sua corte. Il vero profeta non si mette dalla parte dei ricchi e dei potenti, non cerca il suo interesse personale, ma difende i diritti dei poveri e degli emarginati.
In fondo è questo quello che Gesù esige dai discepoli quando li manda in missione. Diversamente dagli antichi profeti, essi non avranno neppure il fastidio di dover criticare i ricchi e i potenti. Per loro doveva bastare l’esempio. Già il fatto di essere in due e di andare d’accordo era un segno quasi miracoloso. E poi niente soldi, niente viveri, niente vestiti di riserva, al massimo un bastone e un paio di sandali, due cose che secondo Matteo erano anch’esse escluse. Dunque poveri tra i poveri, ma con il grande potere di scacciare i demoni e di guarire gli infermi. Null’altro! Neppure qualcosa da dire, se non invitare la gente a convertirsi. E questo senza passare di casa in casa, ma restando sempre nello stesso posto: non c’era bisogno di cercare la gente, chi era interessato sapeva dove trovarli.
Gesù voleva dunque che i suoi discepoli, senza tante prediche, esprimessero il tema fondamentale del suo messaggio, che nella lettera agli Efesini viene riassunto in questi termini: siamo tutti figli di Dio, perché siamo stati amati da lui e abbiamo ricevuto il suo Spirito. Un messaggio che, tradotto, significa che siamo tutti fratelli e dobbiamo amarci e rispettarci vicendevolmente, estendendo questo amore a ogni essere umano, di qualunque nazionalità e colore. In questo consiste la salvezza annunziata da Gesù. In definitiva è questo il messaggio di cui ancora oggi sono depositari i cristiani. Essi sono inviati in missione non per fare proseliti ma perché a loro spetta il compito di essere strumenti di riconciliazione: e questo potranno farlo solo se essi per primi sapranno vivere da riconciliati.