Maternità di Maria ABC
Il capodanno è il giorno in cui si celebra la festa della maternità di Maria. Ma è anche il giorno dedicato alla preghiera per la pace. Questo tema appare nella prima lettura nella quale viene riportata la preghiera che i sacerdoti pronunziavano nel tempio di Gerusalemme alla fine del servizio religioso. In essa si dice: «Il Signore faccia risplendere su di te il suo volto e ti faccia grazia… ti conceda la pace». In altre parole, si chiede a Dio di sorridere sul suo popolo. È questo un segno di amore e di misericordia, che porta con sé il dono della pace. Questa benedizione ci fa capire che la vera pace non è il risultato dello sforzo umano ma è un dono gratuito che dobbiamo saper accogliere con fede. Nella visone biblica la pace non è semplicemente assenza di guerra ma si identifica con i rapporti nuovi che si instaurano fra le persone.
La lettura del vangelo ci riporta al tema della maternità di Maria. Nel racconto di Luca non si danno dettagli concreti circa la nascita di Gesù ma si mostra come essa sia l’occasione per una chiamata alla gioia rivolta a persone povere ed emarginate: è questo il preannunzio di quanto avverrà a seguito della predicazione di Gesù. In questa circostanza Maria è presentata dall’evangelista non tanto come una madre impegnata nell’assistenza a un neonato ma come colei che custodiva «queste cose», cioè quanto era stato riferito dai pastori, meditandole nel suo cuore. La dignità di Maria non consiste semplicemente nell’aver dato a Gesù la vita fisica, ma nell’essere stata partecipe del suo progetto di salvezza, cercando di capirlo e di farlo proprio. Ella è dunque il modello del discepolo che si mette al seguito di Gesù, facendo proprio il suo messaggio e ispirando a esso la propria vita alla sua.
Nella seconda lettura Maria è presentata come colei che ha dato a Gesù la possibilità di essere uomo come noi, pienamente inserito mediante la circoncisione nella storia del suo popolo. Fin dalla nascita è presentato da Paolo come partecipe di un progetto divino, quello cioè di riscattare coloro che erano sotto la legge. Qui la legge è intesa come un insieme di regole imposte dall’esterno, con la presunzione che la loro osservanza ottenga la benevolenza divina mentre la loro trasgressione porti con sé una pena. Così concepita, l’osservanza della legge non crea un rapporto di amore con Dio e col prossimo, ma solo la paura di offenderlo e di essere da lui puniti. La redenzione portata da Gesù consiste invece nella libertà da ogni imposizione e quindi nella possibilità di fare ciò che è giusto non per costrizione ma per amore. Egli infatti ci rivela che Dio è padre di tutti e noi siamo suoi figli e quindi fratelli.
L’essere cristiani non deve ridursi a pratiche rituali o morali e neppure all’accettazione di dogmi su cui si può tutt’al più costruire un’identità religiosa e sociale, magari in antitesi ad altre identità. Per essere veramente tale, il cristiano dovrebbe avere un profondo rapporto personale con Dio e con i propri simili, chiunque essi siano. Da esso deriva una pace profonda, che si espande poi a tutta la società. Ma ciò richiede una ricerca interiore di cui Gesù è maestro e Maria modello e guida.
Parlare di pace in questo mondo può sembrare frutto di ingenuità o di provocazione. Purtroppo siamo diversi, abbiamo interessi divergenti, siamo destinati a lottare gli uni contro gli altri. Non è vero che in questo mondo predomina la violenza, in forza della quale il più piccolo è destinato a soccombere di fronte al più forte?
Eppure la pace corrisponde a un bisogno che non si può sopprimere, è un bene a cui nessuno intende rinunziare. Perché senza la pace la vita è un inferno. Ma la pace dobbiamo scoprirla anzitutto dentro di noi, nel nostro cuore. E ciò è possibile solo se rientriamo in noi stessi e ci lasciamo abbagliare da una luce che viene dall’alto e ci fa scoprire che siamo tutti fratelli, figli dello stesso Padre, profondamente uguali, con caratteri e doni diversi, non contrapposti ma complementari. Non è questo il nucleo profondo di quanto ci ha insegnato il nostro Maestro e con lui tutti i grandi maestri dell’umanità?
Da questa scoperta interiore nasce l’impegno per la pace, che significa lotta quotidiana per la giustizia. La legge è importante per il vivere sociale, ma legalità non basta. Nessuna legge potrà mai attuare la pace se ciascuno non saprà andare oltre le sue prescrizioni mediante l’ascolto, il dialogo, la condivisione. Non è vero che l’offeso raggiunge la pace solo se il colpevole è adeguatamente punito. La pace viene quando il colpevole e la vittima si guardano in faccia e riconoscono la forza di un’umanità che accoglie e che perdona.
Ma che fare di fronte a una violenta aggressione che provoca distruzione, morti e feriti? Come è possibile non reagire con la violenza di fronte a una violenza così disumana? Purtroppo quando ciò avviene esistono colpe che vanno ben al di là di quanti vi sono direttamente coinvolti. Ma è poi vero che la pace si difende rispondendo alla violenza con la violenza? Quante volte la vittoria sul campo è diventata la causa di guerre ancora più feroci! Lui ha detto: «Beati gli operatori di pace». E ciò vale anche in tempo di guerra.
“L’essere cristiani dovrebbe consistere in un profondo rapporto personale con Dio e con i propri simili” – scrive Sandro – e nel salmo di questa liturgia leggiamo: “Tutti lodino i popoli o Dio, ti lodino i popoli tutti. “Tutti”, quindi Dio appartiene a ogni uomo ed è facile capirlo se pensiamo che (Dio), il principio trascendente che sentiamo in noi, sgorga, esce, si eleva da ogni essere umano, non solo da me “cristiano”, ma da tutti gli altri esseri “simili”, cioè dai fratelli che popolano il mondo e vivono credenze diverse.
Ho letto in questi giorni un piccolo libretto (Il figlio di Noè di Eric-Emmanuel), denso di significato. Ho capito in queste pagine che cosa significa Panikkar quando scrive che le religioni devono contaminarsi tra loro, o quando afferma “sono partito cristiano, mi sono scoperto indù e ritorno buddista senza aver mai cessato di essere cristiano”. Nel libretto, che vi consiglio, padre Pons, dopo aver detto a Joseph, il ragazzino ebreo che protegge dai nazisti “Dio ha creato l’universo una volta per tutte. Ci ha dato l’istinto e l’intelligenza perché ce la sbrogliassimo senza di lui” e “una religione non è né vera né falsa” ma tutte, se attaccate vanno difese, attua tutto questo nella scelta di salvare l’ebraismo, studiandolo e praticandolo fino a quando sussiste il pericolo nazista e più avanti nella difesa della religione ortodossa dagli attacchi di Stalin il cui obiettivo era sostituirla con l’ateismo universale.
Joseph coglie il significato dell’esempio e quando due ragazzini, uno ebreo e uno arabo, bisticciando fanno cadere i loro copricapi, un Kippà e un Kefiah,
li raccoglie e li mette uno in una tasca e uno in un’altra. Ogni religione trova nella conoscenza e nella difesa dell’altra, una sua più piena identità. Anche la religione cristiana. I cristiani, noi che dobbiamo collaborare a una più profonda interpretazione del discorso interreligioso, discorso quanto mai, e oggi nuovamente, di pace. Bisogna rompere la logica “morbosa” della paura, “fonte di conflitto,” che aumenta il “rischio della violenza”, come scrive papa Francesco nel messaggio per la giornata mondiale della pace.
Scusatemi, questa volta sono stata proprio un po’ lunga, ma mi piace tanto parlare con voi, anche se a distanza … e a tutti un anno ricco di pensiero, di volontà e soprattutto di amore.
“La Pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica” è il tema del Messaggio di papa Francesco per la 53a Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2020. La speranza ci mette in cammino sulla via del la pace mentre la sfiducia e la paura aumentano “la fragilità dei rapporti e il rischio di violenza”. Da qui il richiamo del Papa ad essere artigiani di pace, aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni, camminando anche verso una conversione ecologica che è un “nuovo sguardo sulla vita”.