Tempo Natalizio ABC – 2. Domenica
In questa domenica la liturgia presenta, come nella terza Messa di Natale, il tema della dignità trascendente di Gesù alla luce della riflessione sapienziale. Nella prima lettura si parla infatti della sapienza di Dio. Secondo il pensiero biblico Dio ha creato il mondo e lo governa secondo un ordine da lui prestabilito. Ma Dio è santo e non può immergersi in un mondo limitato e impuro. Per salvare la trascendenza di Dio e al tempo stesso garantire la sua presenza attiva nel mondo, l’autore di questo brano si rifà a un pensiero tipico del giudaismo ellenistico affermando che Dio, l’unico sapiente, si è servito della sua sapienza per creare e governare il mondo. Così la sapienza, che è un semplice attributo di Dio, viene personificata e diventa lo strumento mediante il quale il Dio trascendente si rende presente e opera nel mondo prima, per crearlo e poi per condurre a sé l’umanità. Questa Sapienza divina, viene poi identificata con la parola (logos) di cui, secondo la Genesi, Dio si è servito per creare il mondo (cfr. Sal 33,6). Questa a sua volta si rende presente nella legge data da Dio a Mosè nel contesto dell’alleanza con Israele. La parola così concepita viene poi identificata con il Logos, la Parola-Ragione suprema che secondo la filosofia greca governa il mondo (Filone).
Nel prologo del vangelo di Giovanni, riportato come terza lettura, la concezione della Parola/Sapienza di Dio, tipica dei giudei ellenisti, viene utilizzata per comprendere e spiegare la persona di Gesù. Per il quarto evangelista questa Parola non si rende presente nella legge mosaica ma nella persona di Gesù. In forza di questa identificazione, Gesù viene visto come l’incarnazione della Sapienza preesistente, mediante la quale Dio ha creato il mondo e ha conferito all’uomo, non più al solo Israele, la sua salvezza. Ciò non significa che Gesù esistesse prima della sua nascita da Maria ma che in lui si manifesta il piano di salvezza concepito da Dio fin dall’eternità.
Infine nella seconda lettura si dice che quelli che hanno creduto in Cristo sono stati scelti anch’essi da Dio, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati e per diventare in Cristo suoi figli. Con ciò non si vuol dire che i credenti in Cristo siano preesistenti, cioè che esistessero prima della creazione, ma che la loro scelta è parte di un progetto divino concepito già prima della creazione.
La rilettura sapienziale della persona di Gesù, propria di una comunità che si rifaceva all’apostolo Giovanni, ha svolto un ruolo importante nella storia del movimento cristiano: alla sua luce i primi cristiani hanno compreso Gesù come colui che ha rivelato al mondo il «volto umano» di Dio. Purtroppo questa concezione però ha in parte offuscato l’umanità di Gesù, facendo sì che molti cristiani vedessero in lui una divinità a cui dare culto piuttosto che un maestro di vita e una guida nel cammino verso Dio.
La vera sapienza
Purtroppo il mondo è complicato e per sapersi districare nelle vicende alterne della vita è necessaria una buona dose di saggezza, frutto di esperienza e di riflessione. Tutti i popoli dell’antichità hanno fatto tesoro delle proprie esperienze, le hanno scambiate tra di loro e le hanno messe a disposizione delle nuove generazioni mediante raccolte di proverbi di cui il Siracide è un esempio. Al fondo dei proverbi si intravede la percezione di un ordine e di un’armonia che bisogna rispettare perché in essa si rispecchia una sapienza superiore che ha origine il Dio, il creatore, l’unico veramente sapiente. Perciò il Siracide interrompe la sua raccolta di proverbi per fare l’elogio di questa sapienza che viene da Dio.
Certo la sapienza è semplicemente un attributo di Dio, ma il Siracide la immagina, in chiave mitologica, come un’entità personale che esce dalla bocca di Dio, cioè si identifica con quella parola mediante la quale Dio ha creato il mondo e gli ha conferito ordine e stabilità. Questa stessa parola è donata all’uomo per far sì che anche lui si lasci coinvolgere liberamente in questo ordine e lo porti a compimento. In questa veste di maestra di vita la sapienza avrebbe preso dimora in Israele, il popolo eletto e si sarebbe manifestata nella legge di Mosè, in cui è contenuta la parola di Dio.
Per i primi cristiani questo elogio della sapienza non poteva passare inosservato. Ma per l’autore del quarto vangelo qualcosa è cambiato. La sapienza/parola di Dio ha preso carne, cioè si è manifestata in modo pieno non in un libro, fosse anche la legge di Mosé, ma in una persona umana, Gesù di Nazaret. Infatti con le sue parole e suoi gesti, fino alla morte in croce, egli ha rivelato una sapienza superiore, la vera sapienza di vita, che si ispira all’amore e non, come la sapienza di questo mondo, all’egoismo e alla sopraffazione.
In quanto parola di Dio, Gesù ci aiuta a scoprire e ad ascoltare questa stessa parola che si manifesta sia nella bellezza della natura, sia nelle vicende umane. È questa la sapienza che secondo l’autore della lettera agli Efesini Gesù ha comunicato a coloro che lo seguono. Una sapienza che bisogna saper cogliere per progredire nella ricerca di un bene che fa di tutta l’umanità un’unica grande famiglia.
In questa domenica viene ripreso il tema della Sapienza, elaborato dal giudaismo ellenistico e utilizzato dai primi cristiani per comprendere la persona di Gesù. La Sapienza è un attributo di Dio (il Dio sapiente) che viene personificato, cioè viene considerato come un’entità personale che rappresenta Dio stesso in quanto comunica con il mondo e si comunica a esso. Perciò si immagina che essa sia creata, generata prima di tutte le cose, sia come una parola che esce dalla bocca di Dio. Questa parola è creatrice, come si dice nella Genesi. Essa crea l’universo e resta impressa in esso come ordine e armonia e si rivolge all’uomo per coinvolgerlo liberamente in questo ordine cosmico. Perciò si rivela nella legge mosaica che regola i rapporti degli israeliti tra loro e con Dio. Per i cristiani questa parola si è «incarnata» invece nella persona di Gesù, in cui si è manifestato in modo umano il volto di Dio. In quanto parola di Dio, Gesù ci aiuta a scoprire e ad ascoltare questa stessa parola nel cosmo, cioè in tutte le sue manifestazioni sia meravigliose che catastrofiche e, al tempo stesso, ci aiuta a coglierla nelle vicende umane e nelle singole persone. Ogni realtà che ci circonda ci fa sentire la sua voce per illuminarci, incoraggiarci, ammonirci e introdurci nel Mistero di Dio che governa l’universo. È questa parola che, penetrando in noi, provoca come risposta le nostre parole con le quali entriamo in dialogo tra noi e con il Mistero di Dio al quale noi stessi, come gli antichi israeliti e cristiani, ci rivolgiamo come faremmo con una Persona trascendente e amica. L’ascolto interiore di questa parola ci aiuta a evitare le false parole e a inserirci in modo armonioso e dinamico nelle vicende di questo mondo, alla ricerca di un’alleanza positiva tra l’uomo e il suo ambiente naturale.
Commento ricevuto via email:
Il problema che mi pare interessante è quello del legame tra Gesù e Dio e tra Gesù e noi.
Il problema della divinizzazione di Gesù in questo contesto mi sembra secondario.
Nella prima lettura si presenta la Sapienza come un’entità personificata, che promana da Dio e collabora con lui nella creazione e nella salvezza dell’umanità; è un modo di raccontare il trascendente che troviamo in noi, nelle nostre esistenze.
La sapienza è presente nel racconto della creazione, è la stessa parola di Dio che poi segue il popolo di Israele nella sua storia. E’ uno dei modi con cui Dio comunica con lui. L’ebraismo non usa concetti astratti ma concreti e quindi queste personificazioni sono frequenti. La Sapienza assume a volte la forma di una mamma che protegge, di una sposa che nutre, di un angelo. Gli angeli sono uomini in grado di far intravedere questo trascendente in modo simbolico, i profeti, anche se pur con diverse caratteristiche.
Assumere la Sapienza al di fuori del contesto simbolico, mi pare un modo fuorviante di presentare il problema se ci porta a pensare che comunque la Sapienza c’è (preesistente) e vive nel mondo indipendentemente da noi. La Sapienza è stabilita in Israele come albero di vita, si manifesta in vari modi, anche sotto forma della legge, richiede una adesione da parte del popolo di Israele, altrimenti resta sterile
Il fatto che Giovanni usi il termine “parola” in fondo non è tanto lontano dal vecchio testamento, parola di Dio, sapienza che esce dalla bocca di Dio, pur mediata qui da una diversa cultura, quella greca.
I versetti sul logos non significano che Gesù sia Dio, se non nell’intendere che egli è un mezzo, non l’unico, con cui la Parola viene tra noi e, come tutti gli altri mezzi, ha in sè accanto a un aspetto umano, un qualcosa di trascendente, di divino.
Andrebbe poi discusso, e credo con attenzione, il fatto che questa parola (o sapienza) deve essere vivificata per rendersi presente. Ad esempio in Giovanni il logos non esiste in quanto tale. Nella frase “io sono la via, la verità e la vita” l’apostolo vuole dire che se seguiamo “la via” di Gesù, troviamo “la verità e la vita” secondo il progetto che Dio ha sul mondo, non che Gesù ci dà “facendoli scendere dall’alto” sia la via che la verità che la vita. Se non seguiamo la via non rendiamo presente la Sapienza (la Parola), cioè “la verità”, e se non la mettiamo in pratica, “la vita”.
Giuseppe
Credo che il vero problema della sapienza biblica non sia tanto (almeno originariamente) se esiste un Dio che ha creato questo mondo e lo dirige secondo un progetto da lui elaborato; il vero problema è se questo mondo è immerso nel caos o se si evolve, per quanto non sempre in modo omogeneo, verso qualcosa di meglio. In questo secondo caso dovremo ammettere che esso è animato da un’energia propulsiva che possiamo chiamare logos, spirito, natura oppure Dio. In caso contrario sarà ben difficile dare un senso alla vita, all’amore, alla solidarietà e alla gioia: resterebbe solo il baratro del non senso. E l’uomo Gesù con la sua etica non sarebbe altro che un impostore.
Quando si cerca di conciliare un Dio sapiente, creatore e governatore del mondo, con altre immagini di Dio, soprattutto quella di un Padre amorevole verso la sua creazione, si cade, mi sembra, in una serie di contraddizioni e di dubbi. Poiché “Dio nessuno lo ha mai visto”, forse è meglio accettarne il mistero e cercare, per quanto possiamo, soltanto di coltivare quella scintilla di Bene che abbiamo in noi e che può dare senso alla nostra vita.
Le letture di questa domenica sono piacevoli e anche rilassanti, ma diventano ostiche quando si vuole cercarvi un significato che dia senso alla nostra vita di oggi.
I cristiani, ma anche ebrei e musulmani, chiamano il processo cosmico – creazione – credono che il mondo sia stato creato appositamente per loro e che ciascuno abbia in esso una vocazione già prevista (ma la libertà?).
Non riesco più a credere a un’azione propria di Dio che attraverso la sapienza (nella lettura sapienziale) chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono (Rom.4,17). Penso piuttosto che l’umanità sia frutto di un processo cosmico, iniziato miliardi di anni fa, orientato a una progressiva evoluzione, che ha momenti di ordine ma anche di disordine. Particelle, atomi, molecole, organismo e, arrivato a una maggiore complessità, vita e intelligenza.. Come? mi mancano conoscenze scientifiche sufficienti per capire appieno: intuisco.
Anche Gesù nel progetto di Dio viene raccontato in termini sapienziali. “Colui
che è – la Parola -, è diventato uomo ed è vissuto in mezzo a noi uomini…. la sua grazia e la sua verità sono venute a noi per mezzo di Gesù, il Cristo.” Così Gesù è diventato una divinità da adorare e non l’uomo Gesù, ebreo, laico che cambiò il modo di comprendere la scrittura e la legge religiosa. Gesù indica una strada, un modo di vivere, legato ad un’etica. Non è più il tempio, il culto, il sacerdozio il centro della religione, ma una vita vissuta con e per gli uomini, in una relazione strutturale.
Bella riflessione grazie Sandra