Avvento A – 4. Domenica
Il tema di questa liturgia prenatalizia è indicato dalla seconda lettura, in cui si presenta Gesù come Figlio di Dio. Nella prima lettura si racconta che il profeta Isaia ha annunziato al re Acaz, come segno della benevolenza divina, la nascita di un bambino che sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi. È difficile scoprire l’identità di questo bambino, ma probabilmente si tratta di Ezechia, figlio di Acaz, che sarà un re giusto e pio. In due successive profezie questo bambino è presentato come centro di un mondo rinnovato. Il testo presenta sua madre come una «giovane donna». La traduzione greca sostituisce però questo appellativo con il termine «vergine», dando così l’impressione che la madre abbia generato il bambino rimanendo vergine.
È stato facile per i primi cristiani interpretare questo bambino, portatore di una grande speranza, come la figura del futuro Messia, cioè di Gesù. Facendo leva sul malinteso secondo cui egli doveva nascere da una vergine, essi hanno hanno pensato che Maria l’avesse concepito e partorito restando vergine. Matteo e Luca hanno dato corpo a questa credenza con il racconto della sua nascita. Per Matteo però questa convinzione metteva in discussione un altro dato della tradizione: Gesù in quanto Messia è discendente di Davide. Ma la discendenza passa attraverso il padre, che però nel caso di Gesù non ha svolto un ruolo nel suo concepimento. L’evangelista racconta perciò la sua nascita in modo tale da far risaltare come per lui l’aver avuto una madre vergine non escluda la discendenza davidica. Giuseppe è un discendente di Davide; egli è sposato con Maria ma, secondo l’uso ebraico, essi non vivevano ancora insieme. Egli si rende conto con rammarico che Maria aspettava un bambino. Secondo le concezioni dell’epoca, Giuseppe avrebbe dovuto separarsi da lei, ma non vuole farle del male mettendo in pubblico un eventuale errore da lei compiuto. Ma come fare dal momento che il ripudio esigeva un atto ufficiale? In questa situazione di perplessità appare in sogno a Giuseppe un angelo che gli dice di prendere in moglie Maria perché il bambino che sta per nascere da lei è opera dello Spirito Santo. Giuseppe obbedisce: prendendo Maria come moglie, egli adotta Gesù come figlio e lo inserisce nella dinastia davidica. Per spiegare la missione assegnata a questo bambino l’angelo dice poi a Giuseppe di imporgli il nome Gesù, che significa «YHWH salva» perché salverà il suo popolo dai suoi peccati. Infine, l’evangelista cita a sostegno di questa ricostruzione la profezia della vergine. Egli non dà peso alle anomalie di tale racconto perché a lui non interessa il fatto in se stesso ma il suo significato: Gesù è l’uomo nuovo, portatore di una salvezza che riguarda tutta l’umanità.
Nella lettera ai Romani, Paolo si presenta come l’annunciatore del vangelo che riguarda Gesù Cristo. Egli lo qualifica come discendente di Davide secondo la carne, ma Figlio di Dio in potenza a motivo della sua risurrezione dai morti. Paolo non pensa alle modalità fisiche della sua nascita ma al ruolo che gli è affidato: quello di portare al mondo la bella notizia di un Dio che ama l’umanità e vuole che tutti si sentano e siano veramente suoi figli.
Secondo queste letture, Gesù è Figlio di Dio in un modo diverso da quello che è proprio di ogni credente e in ultima analisi di tutti gli esseri umani. Ciò che lo distingue è il ruolo unico che gli è stato assegnato come Maestro e guida. Anche se non tutti lo riconoscono, egli indica a tutti l’unica strada che porta alla salvezza: quella di sentirsi e di essere figli di Dio e quindi fratelli, senza barriere o esclusioni.
Possiamo immaginare la meraviglia dei primi cristiani quando, dopo circa cinquant’anni dalla morte di Gesù, hanno letto per la prima volta nel vangelo di Matteo le modalità con cui Gesù era stato concepito da sua madre, Maria. Fossimo stati noi al loro posto forse la meraviglia sarebbe stata accompagnata da una certa incredulità. Nella nostra cultura infatti la natura è quella che è e facciamo difficoltà a pensare che Dio entri a scompigliare quello che lui stesso ha creato. Per i cristiani di allora, che oltre a essere discepoli di Gesù erano anche ebrei praticanti, il problema era invece un altro: come poteva Gesù essere figlio di Davide secondo le Scritture, come d’altronde scrive anche Paolo ai romani, se Giuseppe, lui sì un discendente del grande re, non era suo padre naturale. Matteo aveva previsto questa difficoltà, perciò ha raccontato che in realtà Gesù è stato adottato da Giuseppe che così ha potuto comunicargli la discendenza davidica. E in più, l’evangelista ha portato come prova il fatto che in un oracolo di Isaia ciò era già stato preannunziato.
Forse a quei primi cristiani la soluzione proposta da Matteo è sembrata convincente anche se qualcuno, ancora capace di leggere la Bibbia in ebraico, potrebbe aver arricciato il naso vedendo che Isaia non parlava, come si legge nella traduzione greca, di una vergine ma semplicemente di una giovane donna. Ma tutto sommato la notizia appariva convincente: in una cultura in cui il rapporto sessuale era visto come fonte di impurità, una nascita verginale poteva risolvere tanti problemi: quale argomento migliore per affermare che Gesù era in tutto simile a noi, eccetto il peccato? Per noi oggi invece le cose si complicano: se Maria è stata tutta pura perché non ha avuto rapporto con uomo, cosa dire delle nostre mamme che ci hanno generato come natura vuole?
A pensarci bene forse questa problematica ci ha portato fuori strada. In fondo siamo tutti d’accordo che, se Dio è Dio, può fare quello che vuole e quello che lui fa è e resterà sempre per noi un mistero indecifrabile. È bello però pensare a quello che il racconto di Matteo ci vuole comunicare. In qualunque modo sia stato concepito, Gesù è l’uomo nuovo, che ha dato origine a una nuova umanità, il Maestro che ci indica una strada difficile ma bella; è lui che ci insegna a vivere fino in fondo la nostra umanità come lui l’ha vissuta, senza compromessi con il male a cui spesso noi cediamo per viltà o per interesse egoistico.
Per riflettere su Gesù Figlio di Dio bisogna tornare a Dio e chiedersi chi è Dio per me? Il Dio del catechismo che sacrifica il figlio per salvarci dal peccato originale, il Dio che ci ama ad uno ad uno e che posso pregare perché mi aiuti nelle difficoltà o nei dolori?
No. Credo di essere arrivata a capire e a sentire che deve esserci un altro modo per pensare e capire Dio e ugualmente il cristianesimo.
E oggi per me Dio non è una realtà distaccata da me, che sta in alto nei cieli, ma è quella tensione spirituale che mi spinge sempre oltre, che mi fa gettare lo sguardo verso quel più in là che intuisco ma che non posso definire.
Gesù è un uomo che ho incontrato nel mio cammino di ricerca e che ho scelto di seguire perché nel suo vivere sento che ha raggiunto un nuovo, un più alto livello di coscienza umana. Gesù ha avviato un cammino che si è interrotto e noi oggi responsabilmente possiamo riprendere quel percorso e tendere a una capacità di amore e di giustizia che si avvicini sempre di più a quella che quest’uomo ha vissuto.
In queste letture appare la preoccupazione dei primi cristiani, tutti di estrazione giudaica, di situare la figura di Gesù nel contesto della grande tradizione del loro popolo. Per essi era necessario, perché altrimenti Gesù non sarebbe stato capito dai loro connazionali. Ma per noi questo riferimento alla cultura e alle attese giudaiche rischia di diventare fuorviante. Non è possibile ripensare la figura di Gesù a partire dalle categorie della nostra cultura? Per noi Gesù sarebbe più comprensibile se fosse presentato come un Maestro, capace di stimolare alla ricerca di un senso della vita, un “terapeuta” delle anime e dei corpi. E soprattutto è suggestiva la sua visione di Dio come un'”Entità” benevola, aperta al mondo e a tutti gli esseri umani. Gesù ha presentato Dio in un modo molto “laico” che può essere suggestivo anche per coloro che si dichiarano atei.