Tempo di Pasqua B – 3. Domenica
In questa domenica il tema del perdono dei peccati, attuato da Gesù con la sua morte e risurrezione, si intreccia con quello del compimento delle Scritture. Nella prima lettura Luca, che scrive più di cinquant’anni dopo la morte di Gesù, riferisce che Pietro, parlando ai giudei, li accusa di aver rinnegato il Santo e il Giusto e di aver chiesto che fosse graziato un assassino. Addirittura li accusa di aver ucciso “l’autore della vita”, cioè colui che guida alla vita. Ma Dio lo ha risuscitato ed egli, insieme agli altri apostoli, ne è testimone. In un certo senso li scusa, dicendo che hanno agito per ignoranza. Ma sottolinea che Dio si è servito di questo errore per realizzare ciò che era stato annunziato dai profeti e cioè che il Cristo doveva soffrire. L’accusa di aver rinnegato Gesù è chiaramente frutto di polemica, ma è significativa la consapevolezza di un progetto divino, annunziato dalle Scritture, in cui si inserisce la vicenda di Gesù.
Nel brano del vangelo, Luca riferisce che Gesù risorto, apparendo ai suoi discepoli, afferma che, come aveva preannunziato durante la sua vita terrena, si è compiuto quanto era scritto di lui nella Legge, nei Profeti e nei Salmi, cioè nelle tre parti della Bibbia ebraica. E spiega come in esse si dica non solo che il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno ma anche che nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati. Di questo, cioè dell’adempimento in Cristo delle Scritture, i discepoli dovranno essere testimoni. In realtà le Scritture parlano sì di un inviato di Dio, il Messia, che avrebbe portato a compimento il suo piano di salvezza, e anche attestano che questa salvezza sarebbe stata estesa a tutte le nazioni. Ma da nessuna parte si dice in modo esplicito che ciò avrebbe richiesto la morte e risurrezione del Messia. Sono i discepoli che rileggono le Scritture a partire dalla propria esperienza. A tal fine vanno alla ricerca di quei testi dai quali appare che la salvezza avviene non mediante l’uso del potere ma mediante la sofferenza del giusto. Per loro la vicenda di Gesù ha senso solo se si inserisce in un progetto più ampio
Nella seconda lettura la morte di Gesù viene spiegata alla luce delle Scritture, facendo ricorso al concetto di sacrificio che in esse è presentato come lo strumento scelto da Dio per il perdono dei peccati.
I primi cristiani hanno visto nella vicenda di Gesù la chiave di lettura di tutte le Scritture; in tal modo essi hanno concepito la sua morte e risurrezione come parte essenziale di un grande progetto di liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze, cioè da ogni forma di violenza e di sopruso. In questo progetto si sono sentiti coinvolti per realizzare quei valori di giustizia e di amore che rappresentano l’essenza del regno di Dio. E questo non solo nell’ambito privilegiato delle loro comunità ma in tutto il mondo.
Molti dei seguaci di Gesù aspettavano un Messia potente, vincitore. Certo Gesù durante la sua vita aveva dato segni di una diversa concezione del Messia, ma le sue implicazioni non erano state comprese. La morte di Gesù in croce ha provocato nei discepoli uno shock terribile. Essi lo hanno superato proclamando la sua risurrezione. Il primo a parlarne è Paolo (verso la metà degli anni Cinquanta), il quale non era certo un testimone oculare. Gli evangelisti, che hanno scritto molto tempo dopo, raccontano che il suo sepolcro è stato trovato vuoto e che egli è apparso agli apostoli. I loro racconti sono discordanti e rivelano forti tendenze apologetiche in quanto vogliono affermare, contro ogni dubbio, il carattere corporale della risurrezione. Per noi oggi è difficile sapere che cosa veramente ha dato origine a questa convinzione. Per i primi cristiani infatti più che narrare oggettivamente i fatti era importante dimostrare come la morte e la risurrezione di Gesù rientrassero nel piano di Dio e quindi fossero previste dalle Scritture. A tal fine si sono serviti di testi che possono evocare qualcosa di simile, anche se in realtà hanno un altro significato. Scritture alla mano, essi hanno rappresentato la morte di Gesù come un sacrificio offerto a Dio per il perdono dei peccati e la sua risurrezione come vittoria sul peccato e sulla morte. Per noi oggi si tratta di una strumentalizzazione inaccettabile delle Scritture. Resta però il risultato di questa ricerca, e cioè l’inserimento della vicenda di Gesù in un progetto di dimensioni cosmiche che ha come scopo l’instaurazione del regno di Dio, cioè di un mondo nuovo in cui regna la giustizia e la pace; questo regno è stato visto come una realtà già presente in una vita di comunità in cui sono abbattute le barriere e regna una vera fraternità. È questo ciò che ha mantenuto vivo nei secoli il ricordo e il messaggio di un oscuro predicatore apocalittico.
Abbiamo giustamente demitizzato il contenuto dei Vangeli, fino a razionalizzare il miracolo dei miracoli, la resurrezione. Mi chiedo però quale spazio rimanga, dopo tutto questo, per quell’entità comunque soprannaturale che chiamiamo Dio, anche se forse dovremmo prima chiarirci su che cosa intendiamo con questo termine.