Avvento A – 2. Domenica
Il tema di questa domenica è quello indicato nella seconda lettura in cui si parla di accoglienza, un termine che è l’equivalente di riconciliazione. Nella prima lettura si preannunzia la venuta di un nuovo Davide; egli è dotato di quella saggezza, giustizia, timore di Dio che egli manifesta difendendo i miseri e gli umili e percuotendo i malvagi. Sullo sfondo viene dipinto un mondo nuovo, in cui anche gli animali selvaggi sono rappacificati: la trasformazione della natura simboleggia e accompagna i nuovi rapporti che si instaurano fra le persone. Non si tratta di una realtà che appartiene a un altro mondo, quello che noi siamo abituati a chiamare «paradiso», ma dello scopo a cui tende questo mondo così come Dio lo concepisce.
Nel brano evangelico il protagonista è Giovanni il Battista. Egli vive con estrema austerità e, secondo l’evangelista Matteo, annunzia come Gesù la venuta del regno di Dio, in vista del quale invita tutti a convertirsi e a ricevere come segno il battesimo. Egli accoglie tutti quelli che vanno da lui riconoscendo i propri peccati. Quello che si forma intorno a lui è un grande movimento di persone che si dispongono interiormente a un evento che avrebbe cambiato il corso della storia. Solo coloro che appartengono alla classe dirigente politica e religiosa, i farisei e i sadducei, non accolgono il messaggio del Battista perché ritengono di avere già un rapporto privilegiato con Dio. Per loro Giovanni ha parole infuocate di condanna. Egli annunzia anche la venuta di uno più grande di lui, al quale afferma di non essere degno neppure di portare i sandali. È a lui che spetta il compito di battezzare, cioè immergere nello Spirito santo coloro che lo accolgono e di riversare il fuoco sui malvagi. Giovanni dunque intravede un mondo nuovo, più umano e fraterno, al quale tutti sono invitati. Ma al tempo stesso, come i profeti suoi predecessori, annunzia il giudizio di Dio. Su questo punto Gesù adotterà prospettive diverse.
Nella seconda lettura Paolo si rivolge a cristiani divisi tra quanti provenivano dal giudaismo, ancora attaccati all’osservanza delle leggi giudaiche, e i gentili, i quali invece non davano loro peso. Egli suggerisce loro di lasciarsi guidare dalle Scritture, da cui proviene l’invito alla perseveranza e la promessa della consolazione. Poi esorta tutti all’accoglienza reciproca, presentando come esempio Cristo stesso, il quale ha accolto non solo i giudei, chiamati per primi alla salvezza, ma anche i gentili, che Dio non ha escluso dalla sua misericordia.
In vista del Natale, la liturgia mette l’accento sulla necessità di un’accoglienza reciproca tra i credenti in Cristo, perché possano gustare fin d’ora la riconciliazione e la pace che sono le caratteristiche fondamentali del regno di Dio. Ma questa accoglienza deve aprirsi a tutte le categorie di poveri, emarginati e oppressi. Oggi in un mondo sempre più diviso, il messaggio della riconciliazione diventa per i cristiani sempre più urgente e impegnativo.
Chi si sarebbe aspettato una guerra nel cuore dell’Europa? Settantacinque anni di pace in un continente sconvolto da guerre continue ci avevano convinto che certe esperienze non si sarebbero ripetute. Ma era vera pace? Potremmo chiamarla pace armata o assenza di guerra. Il progresso economico, raggiunto a spese di un consumo spensierato di risorse e di un pericoloso inquinamento del pianeta, ci ha impedito di vedere che crescevano le disuguaglianze, che altrove le guerre si moltiplicavano, che il clima stava impazzendo. Oggi ci troviamo a chiederci quali sono gli investimenti necessari per avere una pace vera e duratura. Qualcuno pensa all’acquisto di armi sempre più sofisticate, atte a scoraggiare possibili aggressori, o a un’estensione delle alleanze militari, oppure a un isolamento economico delle «nazioni canaglia». Insomma, una nuova guerra fredda a difesa di una pace a rischio. Ma sappiamo bene che una pace raggiunta con tali mezzi non sarebbe altro che l’anticamera di una nuova guerra. Le strade da percorrere sono altre. Anzitutto è importante il timore del Signore: non la paura del giudizio divino, di cui parla Giovanni Battista, ma piuttosto il ritorno ai grandi valori che regolano l’esistenza umana su questa terra, il primo dei quali è la giustizia. Pensare di ottenere la pace a scapito dei diritti più elementari di gran parte della popolazione di questo pianeta è un insulto al buon senso, prima che a Colui che ci ha creati diversi ma sostanzialmente uguali. Ma la giustizia ha un prezzo elevato. Se non vogliamo privare gli altri della possibilità di raggiungere un benessere pari al nostro, dobbiamo necessariamente fare un passo all’indietro, privarci di qualcosa per rendere accessibili a tutti le risorse e le conoscenze necessarie per crescere e svilupparsi. Ma questo non è possibile senza un vero sentimento di fraternità che consiste nell’accoglienza dell’altro di cui parla s. Paolo. È questa la strada che Gesù ha scelto e ci ha indicato per raggiungere una pace vera e duratura.