Tempo Ordinario C – 22. Domenica
La via dell’umiltà
Le letture di questa domenica mettono a fuoco il tema dell’umiltà. Nella prima lettura si raccomanda l’umiltà come atteggiamento interiore che rende l’uomo gradito a Dio. Ai miti Dio rivela i suoi segreti. Spesso si considera l’umiltà come l’atteggiamento di chi svaluta se stesso. Pensando alla massa di diseredati che vi sono ancora in questo mondo, si comprende come la vera umiltà consista nel vedere il mondo dalla parte degli ultimi e mettersi sul loro piano per poter crescere insieme. Solo cercando di condividere con gli altri quello che si ha è possibile capire se stessi e dare un senso alla propria vita. È partendo dagli ultimi che si può rendere migliore questo mondo. La vera saggezza non consiste nel fare la propria strada, disinteressandosi degli altri, ma nel ricercare il bene di tutti.
La prima parte del brano del vangelo contiene un detto molto strano. A prima vista sembra che Gesù insegni l’ipocrisia: mettersi all’ultimo posto aspettando di essere invitati a occupare il primo. Per dissipare ogni equivoco l’evangelista aggiunge il brano in cui Gesù elenca le persone da invitare quando si fa un banchetto: poveri, storpi, zoppi, ciechi. Non si tratta semplicemente di un consiglio riguardante i banchetti. Mettersi all’ultimo posto significa spendersi per gli ultimi, familiarizzare con loro, aiutarli a crescere. Chi si comporta così non può non crescere in saggezza. L’umanità piena si raggiunge nella condivisione con i poveri, non nella carriera economica e politica o anche religiosa. È proprio vero che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.
Nella seconda lettura si confronta l’esperienza dei primi cristiani con quella degli israeliti dell’esodo. Per costoro la manifestazione di Dio ha avuto luogo mediante i fenomeni della natura: fuoco, tenebre, lampi, tempesta. I cristiani invece hanno sperimentato Dio nell’assemblea dei giusti, cioè nella comunità cristiana. L’autore di questo scritto vuole dire che l’incontro con Dio non avviene mediante fenomeni esterni, ma all’interno di rapporti interpersonali che si allargano a macchia d’olio. Sullo sfondo delle altre letture della messa questo brano fa comprendere come l’attenzione per i diseredati di questo mondo deve avvenire all’interno di una comunità che mette al primo posto non le cose ma la persona umana. È questa la provocazione che i cristiani devono rivolgere a tutta la società, dove spesso vige la legge del più forte, che comporta discriminazione e sfruttamento del più debole.
A volte si confonde l’umiltà con la svalutazione di sé, che consiste nel non sentirsi capace, nel lasciare il posto agli altri, nel farsi indietro di fronte alle sfide della vita. Questo tipo di umità porta inevitabilmente alla depressione e all’isolamento. La vera umiltà non è questa. Essa non solo coesiste con una giusta valutazione di sé, ma la esige come condizione per crescere, operare e avere sani rapporti con gli altri. Per questo è importante conoscere se stessi, i propri limiti e le proprie potenzialità. A tale scopo però non è sufficiente l’introspezione o l’analisi psicologica. Bisogna avere un valore in cui credere e con cui confrontarsi. In altre parole bisogna avere una fede. Purtroppo questo termine è stato frainteso perché è stato interpretato in opposizione alla ragione, come se volesse dire accettare ciecamente una determinata dottrina perché me lo dice un altro, anche se è irrazionale o addirittura incomprensibile. La fede invece indica una visione del mondo e della vita in forza della quale al primo posto non c’è il mio interesse personale, ma il bene di tutti: naturalmente anche il mio bene, ma in un rapporto di solidarietà con quello di tutta l’umanità, almeno fino al punto in cui può arrivare il mio orizzonte personale. Per il cristiano questa fede nasce e si matura nel rapporto con Gesù, un grande visionario che non dà ricette ma indica mete e prospettive verso cui orientarsi. Chi ha questa fede è disposto a mettersi in gioco, senza aspettare riconoscimenti o carriere, accettando qualsiasi insuccesso senza mai scoraggiarsi. È capace di dialogare con tutti, studiare strategie, impiegare risorse, riconoscere i talenti e le capacità degli altri con la gioia di collaborare e di condividere con loro i propri ideali. La persona veramente umile non si lamenta, non litiga, non pretende di aver sempre ragione, non pensa alla carriera, sa mandare avanti coloro che sono più dotati e collaborare con loro. E soprattutto sa ritirarsi al momento giusto, quando la propria presenza rischia di diventare ingombrante, magari per ricominciare in un altro ambiente o in un altro settore. Di persone umili in questo senso ha bisogno non solo la comunità dei credenti, ma anche la politica, l’economia, l’amministrazione pubblica, cioè tutti i settori della vita aggregata. Le persone veramente umili creano progresso, benessere e pace. Chi manca di umiltà, anche se ha grandi talenti, rappresenta una mina vagante di cui ogni giorno si avverte il pericolo.