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Tempo di Pasqua A – 2. Domenica

La comunità cristiana

La prima lettura ci invita in questa seconda domenica di Pasqua a riflettere sulla vita comunitaria così come è stata proposta da Gesù e vissuta dai primi cristiani. Per costoro la fede in Gesù significava veramente una scelta di vita alternativa. Ne parla Luca nel brano degli Atti degli apostoli: «Avevano ogni cosa in comune». In un mondo in cui ciascuno difende a oltranza il proprio orticello, saper condividere rappresenta una vera rivoluzione. E non si tratta solo della condivisione dei beni materiali. Sarebbe troppo poco. Anzitutto devono essere condivisi i pensieri, i progetti, i sogni, la ricerca di un mondo migliore. 

Nel brano del vangelo Gesù parla di pace e di perdono dei peccati. Solitamente si interpreta questo messaggio in chiave individualista, come qualcosa che riguarda noi cristiani e il nostro bisogno di essere perdonati, magari per superare i nostri sensi di colpa. Il vangelo invece considera il perdono come un grande progetto di riconciliazione, con Dio naturalmente ma al tempo stesso tra persone che si incontrano e formano insieme una comunità di fratelli. Questa necessità viene oggi avvertita in modo sempre più chiaro: le guerre devono cessare e l’umanità deve lottare in modo solidale contro sfruttamento, fame, malattie. Ma per fare questo bisogna credere che Gesù è vivo e condividere con lui la fede in un mondo migliore. È significativa la vicenda di Tommaso. Un discepolo che aveva creduto in Gesù e lo aveva amato con grande trasporto. Ma quando Gesù appare ai discepoli, Tommaso non è con loro e non è disposto a credere nella sua risurrezione se non ha la possibilità di vederlo e di toccarlo. Gesù lo accontenta, ma lo esorta a non essere incredulo ma credente. Sì, tocca pure, sembra dirgli, ma guarda che la fede è un’altra cosa. E Tommaso rinunzia a toccare le ferite di Gesù e reagisce con un vero atto di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Così è ritornato a far parte del gruppo dei primi testimoni. Ma Gesù soggiunge: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto». Per credere non c’è bisogno di vedere un morto risuscitato. Bisogna saper sognare… e fare esperienza di una comunità in cui quel sogno comincia ad avverarsi.

Su questa linea nella seconda lettura l’autore, che si presenta come Pietro, rivolgendosi ai destinatari della sua lettera, dice riguardo a Gesù: «Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui». Si tratta dunque di cristiani che non hanno conosciuto direttamente Gesù, né prima né dopo la sua morte e risurrezione. Ma credono in lui e formano una comunità in cui ciò che sperano è già anticipato.

La risurrezione di Gesù non è un fatto strepitoso che rivela la natura trascendente di Gesù ma un mistero nel quale si crede nella misura in cui si fa l’esperienza di rapporti nuovi fra le persone e ci si impegna insieme per un mondo migliore.

Tempo Ordinario A – 02. Domenica

L’Agnello di Dio 

In questa domenica la liturgia propone una terza manifestazione di Gesù, presentato da Giovanni il Battista come «Agnello di Dio». Nella prima lettura ritroviamo un personaggio, il Servo del Signore, del quale si parla in quattro carmi riportati nella seconda parte del libro di Isaia. Domenica scorsa abbiamo letto il racconto della sua vocazione. Oggi la liturgia ci propone il secondo dei quattro carmi che lo riguardano. In esso si dice Dio ha avuto per lui una stima tanto grande da conferirgli il compito non solo di riportare a lui le tribù di Israele e ricondurle nella loro terra, ma anche di essere luce delle nazioni. Egli dovrà portare la salvezza fino ai confini della terra. In realtà il Servo è stato mandato direttamente al suo popolo. Ma il suo messaggio improntato alla non violenza ha un valore universale. Si tratta di una scelta difficile, che pagherà con la morte. Perciò in seguito sarà paragonato a un agnello condotto al macello, a una pecora muta di fronte ai suoi tosatori (Is 53,7).

Nel brano del vangelo si parla di Giovanni il Battista che riconosce in Gesù «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». In questa espressione è interessante il simbolismo dell’agnello che, letto in riferimento al tema del Servo del Signore di cui parla la prima lettura, presenta Gesù come il liberatore del popolo, non dalla dominazione romana, come tanti si aspettavano, ma dal peccato. Giovanni il Battista non parla dei peccati individuali ma del «peccato del mondo». Con questa espressione si indica una situazione di peccato che si manifesta nelle strutture ingiuste, nella corruzione, nella violenza, che causano sofferenza e morte. Gesù è venuto proprio per combattere contro questo peccato che pervade il mondo. E ha fatto ciò non provocando una rivoluzione violenta ma mettendosi dalla parte degli ultimi e condividendo le loro sofferenze.Così facendo però ha suscitato l’odio dei potenti che l’hanno eliminato.

Nella seconda lettura Paolo si rivolge ai cristiani di Corinto chiamandoli «santi» e sottolineando che essi sono tali in quanto hanno creduto in Gesù e sono in sintonia con tutti coloro che in ogni luogo lo invocano. Come discepoli di Gesù i cristiani devono essere uniti non solo fra loro ma anche con tutti i credenti che appartengono ad altre religioni e con tutti gli uomini e donne di buona volontà, per lottare contro ogni ingiustizie e violenza. 

Il perdono del peccato è qualcosa che ci riguarda da vicino non solo come individui ma anche come membri di una comunità che lotta, con mezzi non violenti, contro le strutture ingiuste di questo mondo. Ma questo comporta la necessità di puntare su un rapporto vero fra persone, prima che sul culto e sulle devozioni, accettando le sofferenze e le prove che ne conseguono.