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Tempo Ordinario A – 09. Domenica

Una religione senza fede

La liturgia di questa domenica pone una domanda inquietante: è possibile praticare una religione senza avere la fede? Nella prima lettura l’autore mette sulla bocca di Mosè l’esortazione a obbedire ai comandi del Signore, perché solo così gli israeliti potranno ottenere la vita. E perché non se ne dimentichino, Mosè li invita a legare le parole di Dio alla mano e a metterle come un pendaglio tra gli occhi affinché non se le dimentichino. Chiaramente è un’immagine, ma nel mondo ebraico è stata presa alla lettera dando origine all’uso dei filatteri che consiste nel mettere frammenti della Bibbia in altrettante scatolette di cuoio e di legarle una al braccio sinistro e l’altra sulla fronte. È strano: invece di impegnarsi nella pratica dei comandamenti, gli osservanti prendono alla lettera un espediente suggerito per tenerne vivo il ricordo. E così si sentono sicuri di avere compiuto la volontà di Dio.

Nel brano del vangelo le parole di Gesù non sono dirette a coloro che si legano i filatteri sul braccia o sulla fronte, ma ai cristiani che credono di essere fedeli a Dio e a Cristo perché appartengono al numero dei suoi discepoli o addirittura hanno fatto in suo nome delle cose importanti come scacciare i demoni. Oggi Gesù direbbe le stesse cose a coloro che compiono delle pratiche religiose, atti di culto, devozioni, oppure partecipano a crociate contro l’aborto o l’eutanasia o magari fanno opere buone, sacrifici, elemosine. Per Gesù tutto questo non serve a nulla se a monte non c’è una scelta radicale per lui e per i valori fondamentali che ha espresso nel discorso della montagna, di cui questo brano è la conclusione. Gesù non si attende che i cristiani siano perfetti, ma attende da loro una scelta di campo, vuole che costruiscano la loro vita sulla roccia sicura del suo insegnamento. E che non abbiamo paura delle conseguenze.

Paolo nella seconda lettura rincara la dose. La salvezza si è rivelata non mediante  l’osservanza delle norme contenute nella legge mosaica, ma mediante la fede in Cristo. È curioso che nel testo greco non si dica «fede in Cristo», ma «fede di Cristo». Con questa preposizione forse Paolo voleva sottolineare che non basta credere in Cristo, nella sua messianicità o nella sua divinità, bisogna condividere quella fede che lo ha portato a mettersi dalla parte degli ultimi, fino a essere lui stesso eliminato dai potenti di questo mondo. In questa scelta di fondo sta l’unica possibilità di salvezza per noi e per tutto il mondo.

Oggi anche nel linguaggio comune si tende a distinguere fede e religione, intendendo la prima come adesione profonda al messaggio di Gesù e la seconda come pratica religiosa. Non so se sia possibile fare una distinzione così netta, perché è evidente che anche la fede ha bisogno di pratiche attraverso le quali esprimersi. Ma è chiaro che è possibile essere religiosi ma non partecipare a quella fede che ha portato Gesù a morire per noi sulla croce. È una verifica che dobbiamo sempre fare per non cadere in una religiosità formale, che finisce per screditare il Vangelo agli occhi di coloro che non si dicono credenti ma si impegnao a fondo per la giustizia e la solidarietà.

Tempo Ordinario A – 33. Domenica

L’impegno delle buone opere

Il tema di questa liturgia domenicale è quello segnalato nella prima lettura in cui si presenta l’esempio di una donna saggia e laboriosa, che non si stanca di provvedere al bene della sua famiglia e si preoccupa anche degli estranei e dei poveri. Questa donna non ha impegni sociali o politici, come oggi ci si aspetterebbe, ma riveste un ruolo fondamentale all’interno della famiglia. Con la sua vita laboriosa, che non concede nulla all’inerzia e al disimpegno, ella contribuisce al benessere di tutti. 

Nella parabola dei talenti, riportata nel vangelo, l’accento è posto sulla diversità tra il comportamento dei primi due servi e quello del terzo il quale, per paura, non traffica il talento ricevuto. Sulla bocca di Gesù quest’ultimo rappresenta simbolicamente i devoti del suo tempo i quali, preoccupati di osservare i minimi dettagli della legge, non accettano il suo messaggio di salvezza. Per Matteo, che riporta la parabola in funzione dei suoi lettori, quando ormai il ritorno di Gesù non appare più come imminente, Dio dà a ciascuno i suoi doni in base alle sue capacità e si aspetta che faccia del suo meglio in rapporto con ciò che ha avuto; però il premio è uguale per tutti. Il servo fannullone rappresenta quei cristiani che dominati dalla paura del castigo divino sono preoccupati di osservare dei comandamenti ma non si impegnano in un servizio di amore per il bene comune. Quindi la parabola punta da una parte al superamento di una visione legalistica del rapporto con Dio e, dall’altra, all’esigenza di una vita cristiana all’insegna della fedeltà al vangelo. 

Nella seconda lettura l’impegno cristiano, nell’attesa del regno di Dio, viene sintetizzato in due parole: vigilanza e sobrietà. Queste due parole indicano non tanto una pratica religiosa, quanto piuttosto l’impegno per creare una società più fraterna e solidale. 

Spesso i cristiani si sono accontentati di riti, preghiere stereotipate, devozioni, con l’intento di farsi dei meriti e così sfuggire al pericolo dell’inferno. Per Gesù non è importante l’osservanza dei comandamenti, ma la disponibilità ad accogliere i doni di Dio e a farli fruttificare. E questo non per avere una ricompensa o evitare un castigo, ma per entrare nella gioia di Dio, cioè per vivere in sintonia con lui e attuare quei valori da cui dipende la felicità, in questa e nell’altra vita. È squalificato non chi produce meno, ma chi non si fida della misericordia di Dio.

Tempo di Pasqua A – 5. Domenica

Una verità che conduce alla vita

Il tema di questa domenica è adombrato nella prima lettura dove appare come già nella comunità primitiva si sia verificata una spaccatura, quella tra i cristiani di lingua ebraica e quelli di lingua greca. Il motivo sembra banale: l’assistenza alle vedove. Ma probabilmente c’era molto di più: rispetto ai cristiani nati e vissuti in Palestina, Stefano e i suoi compagni avevano una diversa visione del cristianesimo, più dinamica e progressista; per il loro zelo nell’annunziare Gesù, attireranno su di sé la persecuzione dei giudei e Stefano sarà ucciso. È interessante come Luca descrive il comportamento degli apostoli: essi non si atteggiano a detentori esclusivi della verità ma riconoscono ai nuovi cristiani un ruolo importante nella comunità.

Nel vangelo Gesù dice che nella casa del suo Padre ci sono diverse dimore: ritornando al Padre egli va a prepararci un posto. Non penso che Gesù si riferisca all’altra vita. Subito dopo infatti dichiara di essere lui la via, la verità e la vita: in altre parole egli è già, nella nostra esistenza terrena, la via che conduce alla verità dalla quale scaturisce la vera vita. Nel linguaggio di Gesù, così come lo interpreta Giovanni, la verità ha un posto molto importante. Per capire che cosa vuol dire dobbiamo rivolgerci alle Scritture, dove il termine tradotto «verità» significa piuttosto fedeltà. Esso esprime un attributo di Dio, la prerogativa che fa di lui il Dio fedele, che ha misericordia verso Israele e quindi, di riflesso, verso l’uomo in quanto tale. Secondo Gesù Dio non è un’entità astratta, lontana, ma un Padre che non abbandona mai la sua creatura. Affermando di essere la verità Gesù non intende sostituirsi a Dio ma sottolinea come in lui la presenza del Dio fedele prende una forma umana, viene riflessa sul suo volto. Se sul volto di Gesù risplende la fedeltà di Dio, vuol dire che egli è anche la via, in quanto mette chi crede in lui a contatto con questa verità che è la fedeltà di Dio; egli è anche la vita perché dalla verità/fedeltà di Dio deriva la vita vera, una vita orientata verso il Bene sommo che è Dio. Da questo rapporto con Gesù, via verità e vita, deriva per il credente la possibilità di fare le stesse opere compiute da lui; anche la sua preghiera non può non essere ascoltata perché è fatta con Gesù e per mezzo di lui.

Il tema della verità appare indirettamente anche nella seconda lettura dove Gesù è presentato come una pietra viva; anche coloro che credono in lui diventano pietre vive per costruire con lui e su di lui, pietra angolare, il nuovo tempio. In esso i credenti sono partecipi di un sacerdozio santo e offrono a Dio sacrifici spirituali a lui graditi. Questi sacrifici consistono nella proclamazione delle ammirevoli opere di Dio. Il sacerdozio dei cristiani consiste dunque nella comunione che li unisce con Gesù e fra di loro e al tempo stesso nell’annunzio della fedeltà di Dio che opera continuamente per la salvezza di questa umanità che lui ha creato

Nella Chiesa si dà spesso una grande importanza a concezioni astratte, regole morali o riti, il tutto considerato come la Verità suprema a cui aderire. Per i primi cristiani non era così. Per loro la verità non era altro che la fedeltà di Dio che guida le sue creature a un fine di bene. Per loro questa verità/fedeltà era visibile sul volto di un Uomo, Gesù, il quale non solo ha ricevuto il compito di condurre l’uomo alla verità di Dio, ma lui stesso l’ha rivelata e fatta pregustare.