Credere nella risurrezione
La liturgia pasquale propone come tema di riflessione la risurrezione di Gesù, vista non come un fatto storico documentabile ma come evento salvifico da accettare per fede.
Nella prima lettura Luca, negli Atti degli apostoli, dà la parola a Pietro, uno dei primi testimoni della risurrezione, mettendo però sulla sua bocca quello che era il primo annunzio delle comunità cristiane del suo tempo e del suo ambiente. Pietro dice di essere testimone della risurrezione perché ha mangiato e bevuto con Gesù risorto. Egli manifesta così la sua convinzione secondo cui quell’uomo che aveva affrontato la sua morte in croce come prova suprema di amore e di solidarietà verso tutti i diseredati e gli oppressi, non poteva essere rimasto nel sepolcro ma era più vivo che mai e per mezzo della fede in lui era possibile ottenere il perdono dei peccati, cioè impegnarsi per un mondo migliore.
Nel vangelo si legge il racconto di due discepoli, Pietro e il discepolo che Gesù amava, i quali sono avvisati da Maria di Magdala che il sepolcro di Gesù è vuoto. Allora corrono al sepolcro. Per primo arriva il discepolo che Gesù amava, vede i teli posati là ma non entra e lascia la precedenza a Pietro. Questi entra e vede non solo le bende ma anche il sudario avvolto in un luogo a parte. Poi entra il discepolo che Gesù amava, il quale vede e crede. Non si dice nulla di Pietro, ma si può supporre che anche lui abbia creduto. L’evangelista commenta poi che non avevano ancora compreso la Scrittura che parla della risurrezione di Gesù dai morti. Il testo è molto enigmatico. Sembra voler dire che i due discepoli hanno creduto non perché hanno visto che il corpo di Gesù non c’era più e i teli che l’avevano ricoperto erano piegati in un certo modo, ma perché ciò che hanno visto ha fatto accendere una luce, cioè ha fatto loro intuire l’attuazione di quello che dice la Scrittura. Dunque la loro fede non è basata su ciò che hanno visto ma sulla parola della Scrittura che proprio allora, per la prima volta, hanno capito.
L’autore della lettera ai Colossesi, dalla quale è presa la seconda lettura, dà per scontato che Gesù è risorto e mette l’accento sul fatto che, mediante il battesimo, i suoi destinatari sono risorti con lui e di conseguenza devono vivere in un modo nuovo, abbandonando i vizi diffusi nella società in cui vivono. Credere nella risurrezione di Gesù vuol dire essere a propria volta persone risuscitate, cioè combattere con lui contro il potere del denaro, del successo e di quell’avarizia che, secondo l’autore del brano, è un’idolatria.
Purtroppo spesso nei secoli si è considerata la risurrezione di Gesù come il grande miracolo, storicamente dimostrato, che garantisce l’autorità di Cristo e l’origine divina della Chiesa. Oggi la nostra sensibilità è cambiata. Per noi non è più possibile affermare per fede un fatto che non è attestato da testimoni credibili e neutrali. Ciò non toglie nulla alla fede in Gesù risorto che consiste nel credere che quel mondo migliore, di cui ha annunziato la venuta, è possibile e che noi stessi possiamo collaborare alla sua realizzazione, proprio a partire dagli ultimi, da coloro che Gesù ha proclamato beati e con i quali si è identificato.
Commenti recenti