Tempo Ordinario C – 29. Domenica
Nelle letture di questa domenica si può cogliere il tema della modalità con cui Dio interviene nelle vicende umane. Nella prima lettura appare l’immagine di una battaglia in cui gli israeliti sono vincitori perché Mosè sta tutto il tempo con le braccia alzate. Il suo atteggiamento è il simbolo di uno stretto collegamento tra cielo e terra. È dunque Dio che combatte con i suoi eletti contro un esercito nemico. Si tratta di un’immagine pericolosa: come può Dio combattere con gli uni contro gli altri? Ma essa adombra la lotta continua che il credente deve ingaggiare contro il male, sapendo che essa sarà vittoriosa solo nella misura in cui farà riferimento a quei valori superiori di giustizia, di solidarietà e di non violenza che trovano in Dio la loro sorgente.
Nel brano del vangelo è riportata la parabola del giudice iniquo che fa giustizia alla povera vedova solo a motivo della sua insistenza. Secondo quanto osserva Gesù, questo giudice rappresenta Dio che tante volte, nonostante le loro preghiere, sembra lasciare i credenti alla mercé dei loro nemici. Gesù vuole rassicurare i suoi: Dio non è impotente ma al momento giusto, quando lo riterrà opportuno, interverrà per fare giustizia ai suoi eletti. Nel frattempo però temporeggia, ha pazienza, prende tempo e dà tempo, si nasconde dietro le quinte: ciò non significa che dia via libera al male ma che lascia ai credenti la responsabilità di operare in suo nome. La parabola riguarda anche la necessità di una preghiera costante, come osserva Luca nell’introduzione. La preghiera indica la via e dà il coraggio necessario per percorrerla.
Dalla seconda lettura si ricava che, nella lotta per il bene, si trova un valido aiuto nelle Scritture, le quali non sono un prontuario di verità infallibili a cui aderire ma uno strumento per insegnare, convincere, correggere ed educare a quella giustizia che si attua mediante la fede in Gesù. Le Scritture non danno soluzioni prefabbricate ma indicano un percorso di liberazione che non esclude ma conferma quanto di buono e di giusto ha saputo esprimere la mente umana.
La vita umana è tutta una grande battaglia contro gli idoli di questo mondo, che esercitano anche su di noi il loro influsso negativo. Noi per istinto vorremmo che Dio intervenisse ogni volta per risolvere i nostri problemi. Gesù vuol farci capire che Dio non ci abbandona mai, ma ha i suoi tempi e le sue modalità che noi possiamo scoprire solo se noi stessi operiamo secondo i valori del suo regno, che sono la giustizia e la solidarietà tra tutti i viventi.
Nella Bibbia si dice spesso che Dio è lento all’ira cioè, nella traduzione greca e nelle lingue moderne, «ha pazienza». E si spiega che si comporta così perché vuole dare a tutti il tempo di convertirsi. Ottimo! Ma come evitare il dubbio che Dio non intervenga affatto nelle vicende di questo mondo, che si sia ritirato nel suo lontano Olimpo? Ma allora a che cosa serve Dio? Se non fa nulla è come se non esistesse. Ma la mente umana si ribella all’idea di un mondo abbandonato a se stesso, che corre in modo inarrestabile verso il caos. Se così fosse non resterebbe altro che gridare ai quattro venti: si salvi chi può! È impossibile vivere decentemente in questo nondo senza pensare che sopra le nubi c’è il sole e che domani è un altro giorno. La speranza, ultima dea, fugge i sepolcri. Ma Dio che cosa ha a che fare con questo bisogno dell’uomo? È questa una domanda che percorre millenni di storia umana. Personalmente credo che oggi (forse) ci stiamo liberando dall’idea di voler sindacare sugli interventi di Dio nelle vicende di questo mondo. Forse Dio ha pazienza, prende tempo… o forse interviene secondo modalità a noi sconosciute; oppure, magari, ha creato una macchina talmente perfetta che non solo viaggia senza autista ma anche è capace di ripararsi dopo un incidente. Ma in questo caso si potrebbe dire che nel mondo c’è una «provvidenza» di manzoniana memoria che ne regola misteriosamente le vicende. Solo chi ha fede nella potenza dell’amore può vedere i segni di questa provvidenza, ritrovando così, dopo ogni bufera, la fiducia in questo mondo e nell’umanità che lo abita. Ma per percepire questa Realtà superiore bisogna avere delle lunghe antenne, oppure, con un’altra immagine, le braccia alzate verso il cielo, il gesto tipico di Mosè. Un aiuto ce lo possono offrire le Scritture, se sappiamo prenderle non come messaggi in codice ma come la trascrizione di esperienze umane che, con tutti i loro limiti, sono ispirate, cioè capaci di ispirare la nostra ricerca di senso. Ma le Scritture non bastano, come non bastano le tante parole che si dicono. Ciò che importa è saper rientrare in noi stessi, saperci fermare un momento per riscoprire la nostra umanità e rinvigorire la nostra ricerca di un Bene che va al di là dei nostri piccoli interessi. Ma non sono solo questi i momenti di preghiera. Noi cessiamo di pregare solo quando perdiamo la fede nella possibilità di un mondo migliore per il quale vale la pena di spendere tutte le nostre energie.
Ho visto alla televisione la pubblicità di una nota assicurazione, in cui veniva utilizzata una pseudo immagine dell’ultima cena di Leonardo. Gesù, Giuda, gli altri discepoli erano banalizzati in maniera estrema, intenti a scambiarsi battutine di basso livello. Mi ha urtato, perché mi sembra molto al di là dell’ateismo e, al limite, persino della bestemmia, che comunque prende sul serio Dio. Qui il messaggio cristiano è completamente privato di significato, ridotto ad immagine pubblicitaria per l’acquisto di un prodotto. Forse esagero, ma questo trattare tutto in maniera superficiale e banalizzante mi sembra pericoloso almeno quanto l’estremismo bigotto di tanti cattolici.
Un proverbio napoletano recita:
Dio è LENTARIELLO e non SCURDARIELLO
Credi di comprenda il significato:
Dio è lento nell’agire ma non dimentica
Interessanti gli aggettivi, più dei verbi…..
Siamo abituati ad avere tutto e subito, nella società attuale…..
” ma Dio non interviene? Non fa niente contro il male a sostegno delle vittime dei disgraziati…..” si sente dire o lo pensiamo anche noi? Eppure è importante ” pregare sempre” forse per imparare noi la pazienza confermare la fede in un Regno che comunque si realizza se vogliamo, se collaboriamo….
Credo che il pensiero di Hetty Hillesum sia corretto, tutta la nostra vita se vissuta e animata dall’amore per Dio e per la sua parola e quindi per il prossimo diventa preghiera, ma non può prescindere dal trovare il tempo per ascoltare, celebrare e meditare la parola di Dio, perché è da li che nasce e si nutre la nostra volontà di amore.
Studiare, meditare e riflettere sui testi sacri è necessario, ma non è ancora preghiera.
Mi ritrovo molto in un pensiero di Raimon Panikkar: “Nell’atto di pregare l’uomo partecipa ad un dinamismo che è al centro della realtà e penetra nel cuore del mondo”.
La mentalità dell’uomo moderno è portata a parcellizzare tutto e così fa anche con la preghiera quando la considera solo un rito che occupa uno spazio della sua giornata. Ma la preghiera è fede. Non può esserci nessun rito che ci pone in atteggiamento di richiesta e supplica, volto a piegare un dio lontano e fuori di noi. Ormai siamo in grado di avere un’idea matura di quello che chiamiamo Dio. Se la preghiera è fede è un’esperienza radicale (per paradosso è assenza di preghiere), è la via attraverso cui cerchiamo ed esprimiamo il significato della vita; è uno stile di vita attraverso cui rendiamo visibile l’invisibile che è in noi. Non sempre però riusciamo a tener distinta la fede dalla religione e, nella concezione di religione, ci sta tra le varie prescrizioni da seguire, anche la preghiera con un suo rito e spazio determinato … l’uomo spesso ne ha bisogno, un po’ come un parapetto che lo protegge dall’abisso, tutto questo è umano e indispensabile, ma non è la fede.
Hetty Hillesum scriveva: “Voglio essere un’unica grande preghiera” … non è facile ma credo sia la strada da percorrere.