Tempo Ordinario – 28. Domenica
Ringraziamento
La liturgia di questa domenica richiama l’attenzione su una dimensione fondamentale della vita cristiana, quella della riconoscenza. Nella prima lettura si racconta la guarigione, a opera del profeta Eliseo, di Naaman Siro, un generale, uomo ricco e potente, e per di più straniero, colpito da una grave malattia, la lebbra. In questo testo, in quanto sfondo del brano evangelico, è importante sottolineare alcuni aspetti che denotano un cammino di fede: la ritrosia di Naaman di fronte alle parole del profeta, poi la sua accettazione e la guarigione; il suo desiderio di sdebitarsi con il profeta, il quale però non accetta i suoi regali; la sua decisione di portare con sé un po’ di terra di Israele per potere su di essa adorare YHWH come se si trovasse nel paese abitato dal suo popolo.
Nel brano del vangelo, Luca racconta un episodio analogo: la guarigione da parte di Gesù non di uno, come riferisce Marco, ma addirittura di dieci lebbrosi. Essi non sono ricchi e potenti come Naaman, ma poveracci espulsi dalla società, privi di qualsiasi prospettiva umana. Gesù non fa nessuna promessa ma semplicemente ordina loro di presentarsi al sacerdote al quale spettava il compito di riconoscere la guarigione avvenuta. È dunque un gesto di fede quello che Gesù chiede loro. Tutti vanno e, cammin facendo, guariscono. Allora capita l’imprevisto: uno di loro si distacca dal gruppo e, lodando Dio, va a ringraziare Gesù. Luca osserva che era un samaritano, uno straniero, che nulla aveva a che fare con il Dio di Israele. Forse, diversamente dagli altri, non pensava di avere un diritto alla guarigione. Gesù si stupisce che solo uno, e per di più uno straniero, sia tornato: ciò che lo ha colpito non è tanto il fatto che ringrazi lui, ma che dia gloria a Dio. A lui solo perciò Gesù dice che, in forza della sua fede, ha ottenuto la salvezza. Anche gli altri avevano creduto, ma lui solo ha riconosciuto, quindi la sua fede ha raggiunto la sua pienezza, gli ha ottenuto la salvezza, anche se non appartiene al popolo e alla religione giudaica. La salvezza dunque consiste nel saper ringraziare.
Nella seconda lettura Paolo, prigioniero, vive la sua sofferenza come un mezzo per portare la salvezza a quelli che Dio ha scelto. E spiega che questa salvezza consiste in un rapporto profondo che unisce il credente a Gesù morto e risuscitato e ad accettare il suo messaggio d’amore. E questo vale per tutti, anche per coloro che appartengono a un’altra religione o a nessuna religione, perché il messaggio di Gesù giunge a tutti, purché abbiano il coraggio di guardare dentro se stessi.
Tutta la vita è un dono. È salvo non chi lo ignora o chi vuole sdebitarsi, ma colui che lo riconosce e condivide, con gratitudine, i doni ricevuti.
Sono malati di lebbra però credono di poter guarire: hanno fiducia nella vita – che credo sia la forma più alta della fede – e ne hanno trovato il significato. E poi sono in dieci. Hanno capito che la strada della vita la si percorre insieme e insieme, dopo l’incontro con Gesù, si incamminano verso il sacerdote che dovrà riconoscere l’avvenuta guarigione. Guariscono infatti lungo il cammino percorso insieme e ora possono ricominciare a vivere una vita normale e a seguire la loro fede tradizionale di cui il culto è parte tanto importante. Uno di loro, uno straniero, non va al tempio, si sente guarito da Gesù e torna indietro per ringraziarlo. Capisce che la pienezza della fede la si ritrova nella persona stessa di Gesù, nella comprensione del suo agire e non nell’adempimento della legge.
Forse il Samaritano era libero dalle regole istituzionali che obbligavano gli altri a recarsi dal sommo sacerdote per L’ ufficializzazione della guarigione.
Le regole hanno spesso una funzione sociale (come in questo caso) ma limitano la nostra creatività anche nel fare il bene.
Fede e riconoscenza sono due atteggiamenti del cuore umano che vanno di pari passo. Solo se si crede si può ri-conoscere quanto si è ricevuto. Ri-conoscere a sua volta significa ringraziare e il ringraziamento si trasforma in dialogo sia con Dio che con i propri simili. Soltanto da un dialogo ispirato dalla fede sorge il desiderio di un mondo migliore, solidale e fraterno, per il quale vale la pensa di spendere la propria vita. In questo consiste la salvezza dell’individuo e dell’umanità.