Tempo Ordinario C – 02. Domenica
La prima lettura evoca un tema che fa da sfondo al brano del vangelo: il rapporto sponsale tra Dio e il suo popolo. Per i giudei ritornati dall’esilio babilonese questo tema, che ha radici culturali molto antiche, diventa importante perché essi si rendono conto che solo una rinnovata fedeltà al loro Dio può costituire il fondamento della loro convivenza. Secondo questa lettura la prerogative essenziale del popolo rinnovato consiste in una salvezza che è frutto della giustizia, cioè di una fedeltà a Dio che comporta rapporti nuovi di fraternità e di solidarietà. In questo rapporto vicendevole, basato sulla fede nell’unico Dio, essi scoprono il senso di essere popolo in mezzo ad altri popoli più ricchi e potenti.
Nella lettura del vangelo le nozze di due giovani sposi richiamano alla mente il rapporto sponsale che unisce Dio al suo popolo. In questo contesto Gesù dichiara di non essere d’accordo con Maria quando, desolata, teme ormai che la festa finisca male per la mancanza di vino: è a lui che compete il compito di dare il vino, quello vero, che è un dono del Padre. Anzitutto il fatto che le anfore di pietra, che dovevano contenere l’acqua per la purificazione, fossero vuote significa che gli antichi riti di purificazione prescritti dalla legge erano ormai diventati inefficaci. Di riflesso il vino più buono dato da Gesù rappresenta una salvezza che non consiste anzitutto nella vita eterna dopo la morte ma in un’esistenza basata sulla giustizia del vangelo, che coincide con l’amore. In questo racconto Maria non è colei che con la sua intercessione ottiene addirittura un cambiamento nei tempi stabiliti da Dio, ma colei che è accanto a Gesù all’inizio, così come lo sarà alla fine quando scoccherà l’ora di Gesù ed egli, sulla croce, la darà come madre al discepolo prediletto, simbolo della Chiesa. È lei la prima discepola, la collaboratrice di Gesù nel suo compito di annunziare la salvezza, in altre parole la donna nemica del serpente tentatore della Genesi (cfr. Gn 3,15: «Porrò inimicizia tra te e la donna»).
Nella seconda lettura viene descritto il funzionamento di una comunità che non si basa sui riti di purificazione ma sul vino nuovo della salvezza. Questo consiste per ciascuno nel saper scoprire i propri talenti (carismi) per metterli a profitto, non in funzione dei propri interessi personali ma per il bene comune. È così che funziona una comunità che ha fatto l’esperienza della salvezza.
Il banchetto nuziale al quale Gesù prende parte significa le nozze tra Dio e il suo popolo, cioè il rapporto indissolubile che unisce Dio all’umanità. In questo contesto Gesù dà in abbondanza il vino della salvezza, in contrasto con l’acqua ormai esaurita delle purificazioni. Questo segno troverà la sua piena attuazione nell’ora di Gesù, cioè nel momento della sua morte in croce. Maria gli è accanto e collabora con lui sia al principio che alla fine, cioè per tutto l’arco del suo ministero pubblico. Il vino nuovo dato da lui si concretizza ancora oggi in una comunità solidale, in cui ciascuno mette i suoi doni a servizio degli altri, perché la comunità possa contribuire al bene di tutta la società.
Il racconto delle nozze di Cana è spesso frainteso perché viene letto come la narrazione di un fatto veramente accaduto mentre invece si tratta di un racconto allegorico; in esso perciò i singoli elementi devono essere interpretati non come dettagli di un avvenimento ma come simboli di una realtà superiore. Ciò ha come conseguenza che il racconto appaia spesso inverosimile o enigmatico, carente di passaggi essenziali per comprendere ciò che è veramente accaduto. Questa constatazione non deve soprprendere perché gli evangelisti non sono interessati a ricostruire con esattezza dei fatti ma a esprimere il significato spirituale e trascendente che essi hanno avuto per loro. E per raggiungere questo scopo la creazione di un evento fittizio era ritenuta a volte più efficace della narrazione oggettiva di un fatto veramente accaduto. La liturgia ci suggerisce questo approccio presentando nella prima lettura, come chiave interpretativa delle nozze di Cana, l’allegoria delle nozze tra Dio e il suo popolo. Su questo sfondo l’ottimo vino dato da Gesù «alla fine» rappresenta la salvezza finale del popolo che nella gioia si unisce al suo sposo. Di questo vino sono riempite le anfore che precedentemente contenevano l’acqua per la purificazione: esse ormai erano vuote perché quest’acqua è diventata inefficace e inutile. L’iniziativa di dare questo vino viene da Gesù in modo autonomo e non da Maria, la quale non ha chiesto un miracolo ma è partecipe della missione di Gesù come la «donna» che, secondo la Genesi, sarà la nemica del serpente insieme alla sua «discendenza» (cfr. Gn 3,15). In questa veste Maria sarà presente anche ai piedi della croce, dove sarà dichiarata madre del discepolo prediletto, rappresentante della comunità dei discepoli di Gesù che continuano la sua lotta contro il male. La liturgia suggerisce anche una riflessione sul significato del vino come simbolo di salvezza indicando come seconda lettura il brano in cui Paolo parla dei carismi: infatti è proprio nel saper mettere se stessi e i propri talenti al servizio degli altri che prende forma la salvezza portata da Gesù.