Avvento C – 1. Domenica
In queste letture, con cui inizia l’anno liturgico dedicato all’evangelista Luca (anno C), il tema è quello dell’attesa di Gesù che dà un senso a tutta la storia umana. Nella prima lettura il profeta Geremia preannunzia la realizzazione finale delle promesse che Dio ha fatto al suo popolo. La venuta del germoglio giusto è da lui presentata come il segno della fedeltà di Dio al suo popolo.
Il brano del vangelo ci mette a contatto con un problema molto sentito dai primi cristiani. Gesù aveva annunziato la venuta imminente del regno di Dio in questo mondo. Dopo la sua morte e risurrezione, i suoi discepoli avevano pensato che dovesse ritornare quanto prima e che il suo ritorno sarebbe stato preceduto dalla distruzione di questo mondo cattivo. Nel frattempo c’era stata la caduta di Gerusalemme sotto i colpi delle armate romane, un evento che, secondo alcuni, era l’anticamera della fine del mondo. Luca precisa, con la sua versione di questo discorso, che la fine non è ancora giunta. Gesù ritornerà come colui che salva coloro che l’hanno seguito. Quando ciò si attuerà, essi dovranno «alzate il capo perché la loro liberazione è vicina». Per ora essi devono saper vivere il tempo dell’attesa, vigilando e pregando per essere pronti a sfuggire a tutte le sciagure che accompagneranno la fine e a comparire davanti al Figlio dell’uomo. Ciò significa che il tempo che li separa del ritorno di Gesù è piuttosto lungo, ma anch’esso è un tempo di salvezza: in esso infatti i credenti dovranno annunziare la salvezza portata da Gesù a tutte le nazioni.
Nella seconda lettura Paolo ci invita a sovrabbondare in un amore che non deve essere limitato a quelli che appartengono alla nostra cerchia (parenti, amici, colleghi) ma deve estendersi a tutti. Il tempo dell’attesa deve essere anche il tempo del progresso spirituale, illuminato dalla speranza.
Oggi si profila il pericolo di un disastro ecologico di dimensioni mondiali: noi dobbiamo interpretarlo non come una punizione di Dio ma come un richiamo a cercare un bene che non è solo nostro ma che spetta a tutta l’umanità, anche alle generazioni future. I fatti drammatici di cui siamo testimoni ci ricordano ogni giorno che ormai siamo tutti nella stessa barca e non possiamo salvarci da soli. Molti purtroppo, anche fra noi, sono preoccupati unicamente di salvaguardare i propri privilegi. Per questo noi restiamo con gli occhi bassi per la vergogna. Nell’Avvento dobbiamo imparare a levare invece il capo e pensare alla nostra personale liberazione in termini di liberazione e progresso di tutti i popoli.
Il tempo della speranza
È duro affrontare i momenti difficili della vita senza la speranza di un futuro migliore. Perciò nell’antico Israele i profeti mescolavano i loro rimproveri con l’annunzio di un giorno in cui Dio avrebbe portato a compimento le sue promesse instaurando un’epoca di giustizia e di pace, tutta in favore di Israele e di quanti avessero fatto propria la sua fede (cfr. 1a lettura). Quando poi, quando sotto la dominazione romana, la situazione sociale e politica si è aggravata, ci hanno pensato gli apocalittici ad annunziare che le sciagure presenti erano nulla in confronto a quelle che stavano per venire. Ma proprio queste avrebbero segnato la fine di questo mondo perverso, seguita dalla risurrezione dei giusti e dalla creazione di un mondo nuovo, conforme alla volontà di Dio. Una prospettiva questa che avrebbe dovuto riempire di terrore i cattivi e dare speranza ai buoni, spesso ingiustamente oppressi.
Anche Gesù è stato coinvolto in questo clima di minacce e di speranze. Ma per lui al primo posto c’era l’annunzio di un mondo migliore, quello che gli ebrei del suo tempo chiamavano regno di Dio. Certo esso era disponibile alle persone per bene, specialmente ai più poveri ed emarginati. Ma anche agli altri non era precluso, a patto che si convertissero e accogliessero il perdono di Dio.
Ai discepoli di Gesù la sua morte, pur così drammatica e contraria alle loro aspettative, non era apparsa come un fallimento ma come un segno di eroismo e di fedeltà talmente grande da preludere a un’imminente adempimento delle promesse di Dio. Da qui la loro fede nella sua risurrezione, preludio della risurrezione dei giusti, e l’attesa di un suo prossimo, imminente ritorno nella veste di giudice severo; per questo sentivano l’esigenza di non farsi trovare impreparati, dedicandosi alla preghiera e alle opere buone (2a lettura).
Per noi il ritorno di Gesù appare ormai come un mito, cioè non tanto come un evento storico ma piuttosto come un ideale a cui tendere. Resta la speranza in un mondo nuovo, conforme alle più intime aspirazioni di ogni essere umano; un mondo per la cui attuazione vale la pena di impegnarsi, anticipando nella propria vita i suoi valori di giustizia, amore e fraternità. Il mondo si trasforma solo facendo ricorso a una speranza che non viene meno neppure di fronte alle prove più dolorose.
La prima lettura presenta la visione degli ultimi tempi propria dei profeti: secondo loro la storia sfocerà in un’epoca di pace e di giustizia, attuata da Dio stesso: al centro vi sarà Israele, in cui sarà restaurata la dinastia davidica; gli altri popoli parteciperanno a questo mondo nuovo solo se si sottometteranno a Israele e al suo Dio. Nel vangelo è riportato invece un discorso apocalittico attribuito a Gesù in cui si preannunzia la fine del mondo preceduta da guerre e cataclismi, a cui fa seguito la venuta del Figlio dell’uomo che sarà il giudice dell’umanità. Apparentemente sembra che questo discorso abbia lo scopo di far paura alla gente, e così purtroppo spesso è stato interpretato. Invece è chiaro che Luca si serve di un materiale tradizionale per dire, a persone che aspettavano il ritorno imminente di Gesù, che questo evento accadrà in un tempo futuro, non prevedibile, nel quale si attuerà la liberazione definitiva. Quindi in mezzo alle sventure che colpiscono l’umanità non bisogna aver paura, perché il bene comunque trionferà. Il tempo attuale quindi è già un tempo di salvezza, nel quale i credenti sono chiamati a vigilare nella preghiera, evitando dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, impegnandosi nell’annunzio del vangelo. Per noi il ritorno di Gesù appare ormai come un mito, cioè non tanto come un evento storico ma piuttosto come un ideale a cui tendere. Alla luce della seconda lettura, la vigilanza appare come una crescita nell’amore; ma ciò comporta un impegno costante per la giustizia sociale, collegata con la solidarietà e la fraternità verso tutti, non solo verso coloro che appartengono al nostro gruppo sociale o religioso. Infatti la vittoria del bene sul male si realizza certo per grazia di Dio, ma attraverso la collaborazione umana. La teologia della liberazione ha dato un forte impulso a questa visione dell’impegno cristiano e per questo è stata accusata di comunismo. Ma forse il motivo delle critiche è stato piuttosto il fatto che partiva dagli ultimi, visti non più come beneficiari della carità altrui, ma come artefici, nella chiesa e in tutta la società, di quel mondo nuovo che Gesù ha annunziato.