Tempo di Quaresima B – 4. Domenica
La misericordia infinta di Dio
La liturgia di questa domenica propone alla riflessione il tema della misericordia di Dio. La prima lettura mette però un grosso limite a questo attributo di Dio. In essa infatti si dice che Dio si è stancato dei peccati commessi dal suo popolo Israele e ha mandato contro di esso i babilonesi che hanno distrutto Gerusalemme e il tempio. Per fortuna nella seconda parte della lettura si dice che Dio ha cambiato idea e ha mandato il re persiano Ciro, il quale ha permesso ai giudei di ritornare a Gerusalemme per riedificare il tempio.
Nel vangelo si cambia registro. Parlando con Nicodemo, che era andato di notte a consultarlo, Gesù dice che Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Anche qui appare però il tema del giudizio. Ma Gesù ci tiene ad affermare di essere venuto a salvare, non a giudicare. Chi non crede in lui condanna se stesso. Rispetto alla prima lettura c’è un notevole passo in avanti. Chi pecca condanna se stesso. Non è Dio che condanna. In lui c’è solo misericordia e perdono.
La seconda lettura abbandona del tutto l’idea del giudizio. Dio ha fatto passare dalla morte alla vita coloro che credono nel Figlio e li ha fatti sedere con lui nei cieli. La salvezza è un dono gratuito che non si ottiene con le opere buone: queste non sono la causa ma la conseguenza della salvezza ottenuta mediante la fede.
Senza renderci conto, noi rappresentiamo Dio in modo umano. Per affermare che Dio perdona bisogna supporre che prima castighi chi sbaglia. Ma Dio non è uno che prima si arrabbia, punisce il peccatore, poi ha compassione e lo accoglie nuovamente perdonando il suo peccato. E neppure un dio che subordina la sua misericordia alle buone disposizioni dell’uomo. È vero piuttosto che la vita di ogni essere umano è fatta di lotte, cadute, limiti e condizionamenti, vittorie e sconfitte. Dio è misericordioso perché non abbandona mai la sua creatura le è sempre vicino per sostenerla e darle una nuova possibilità di ripresa.
Una fede che salva
L’immagine di un dio che si arrabbia con il suo popolo e lo castiga inviandogli un esercito nemico che distrugge, uccide e deporta un’intera popolazione ci lascia perplessi; non importa se dopo Dio ritorna a essere misericordioso e permette agli esuli di ritornare nella loro terra. Per fortuna nel vangelo si cambia registro: Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo non per condannarlo ma per salvarlo. Se mai qualcuno non lo riceve, non ha bisogno di essere condannato perché è lui stesso che si condanna.
Resta però un punto interrogativo: qual è la salvezza che Dio, Gesù Cristo, la chiesa ci propongono? Un Dio che per dimostrarci il suo amore sacrifica il suo Figlio e lo espone a una morte atroce, una chiesa che impone dogmi, precetti e divieti e propone come unici mezzi di salvezza i suoi sacramenti? E tutto questo per aprirci le porte del paradiso? Forse molti di noi, prima di pensare a un’altra vita, vorrebbero sperimentare una salvezza già in questa valle di lacrime. Non tanto l’esenzione dai mali di questo mondo, ma la liberazione da quel senso di vuoto e di disperazione che ci coglie quando ci sembra che nulla abbia più senso e che il mondo corra senza freno verso il fondo dell’abisso.
Ed è proprio quello che Gesù ha fatto quando ha annunziato la sua buona notizia, il vangelo: il regno di Dio è vicino, è a portata di mano, accoglietelo con fede. Sì, proprio quel bisogno di credere in un futuro diverso, che corrisponde alle più intime aspirazioni di ogni essere umano. Gesù ci ha creduto, e si è impegnato con gli ultimi di questo mondo. E ci ha dimostrato che solo chi sa credere e sperare, vive una vita veramente piena, nonostante tante sofferenze e delusioni. Anzi, spesso proprio queste possono diventare opportunità per un vero cambiamento.
La salvezza che Gesù ci propone può dunque riassumersi in una parola: speranza. Cioè la convinzione che a ciascuno compete un ruolo insostituibile in questo meraviglioso universo e che tutto ha senso se contribuisce a renderlo un po’ più umano.