Tempo di Quaresima B – 3. Domenica
Il tema di queste letture è indicato nel brano del vangelo, dove si parla del vero culto di Dio. Nella prima lettura la liturgia propone un brano tra i più importanti della Bibbia, il decalogo. I comandamenti non indicano semplicemente quali sono i diritti e i doveri delle persone, ma soprattutto affermano che sulla loro osservanza si basa il rapporto con Dio. La religione biblica non è fondamentalmente una religione del culto, ma una religione della vita, in cui devono essere privilegiati i rapporti interpersonali, l’amore e il rispetto dell’altro.
Nella lettura del vangelo Gesù, con piglio profetico, scaccia i venditori del tempio e i cambiavalute. Il suo è un gesto simbolico, con il quale pronunzia un severo giudizio nei confronti non tanto delle persone contro cui si rivolge, quanto piuttosto di tutta una pratica cultuale, concentrata nel tempio di Gerusalemme, che funziona automaticamente, senza alcuna attenzione alle disposizioni dei partecipanti e ai rapporti che si instaurano fra di loro. Gesù vuol far capire che questo tipo di devozione non piace a Dio. Il vero tempio per lui è il suo corpo risuscitato, cioè la comunità dei credenti che si riuniscono intorno a lui e nel suo ricordo cercano quel bene comune che i comandamenti suggeriscono.
Nella seconda lettura Paolo annunzia Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i gentili, ma per noi potenza e sapienza di Dio. Gesù incarna quella sapienza di vita che sta alla base dei nostri rapporti interpesonali. È lui il vero Maestro che ci conduce al Padre.
Come membra di Gesù risuscitato noi formiamo il nuovo tempio di Dio. In questo tempio si dà gloria a Dio non con riti e preghiere ma mediante il rapporto di comunione che i credenti stabiliscono con Gesù e fra di loro. Il vero culto consiste dunque nel ricordare ciò che Gesù ha fatto per noi, con lo scopo primario di praticare la giustizia e l’amore nella vita sociale. Senza questo impegno il culto diventa una grande sceneggiata che nasconde un atteggiamento di profonda infedeltà a Dio.
Il decalogo fa parte del mito di fondazione del popolo di Israele. Esso si regge su una premessa: Dio si è manifestato come il liberatore di questo popolo e ha chiesto in contraccambio non un culto ma un coinvolgimento nel processo di liberazione da lui iniziato. È questo il contenuto del primo comandamento (non avrai altro Dio fuori di me), che esige una costante ricerca di libertà.
Ma quale libertà? Lo illustrano gli altri nove comandamenti che a ben vedere riguardano i rapporti con il prossimo; non fanno eccezione il secondo (proibizione del giuramento falso) e il terzo (un giorno di sollievo per tutti, comprese le categorie più emarginate e oppresse). Il rapporto con Dio, su cui si basa l’esistenza del popolo, si attua dunque mediante l’impegno effettivo per la giustizia sociale. È questo l’unico culto gradito a Dio, celebrato non solo nei momenti di festa e di condivisione, ma in tutta la vita.
Secondo il vangelo di Giovanni, Gesù riprende il cammino di liberazione del suo popolo. Per questo propone a tutti di aggregarsi a lui nel servizio degli ultimi e dei diseredati e nella lotta contro ogni ipocrisia. Ciò richiede un coraggio e una dedizione che lo porteranno alla morte.
Una morte nella quale, come dice Paolo, si manifesta la potenza di Dio. Infatti in essa si attua in sommo grado quella libertà profonda che Dio ha progettato per il suo popolo e per tutta l’umanità. È morendo sulla croce che Gesù ha indicato in che cosa consiste la vera liberazione. E così ha dato ai suoi la possibilità di fare con lui, già in questa esistenza terrena, l’esperienza di una vita nuova, quella stessa che lui ha acquistato con la sua risurrezione.
Per i discepoli di Gesù non esiste dunque altro culto che quello di aggregarsi a lui e, facendo memoria di ciò che ha detto e ha fatto, ritrovarsi come fratelli e sorelle impegnati in una lotta quotidiana contro ogni forma di ingiustizia e di discriminazione. Se una comunità cristiana non è questo, viene meno alla sua stessa identità.
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Nella religione biblica, nonostante l’importanza assunta dal tempio, l’idea che Dio potesse abitare in una costruzione materiale è stata sempre vista con sospetto. Il decalogo mostra che Dio si è manifestato come il liberatore e ha chiesto per sé non un culto ma un coinvolgimento del popolo nel processo di liberazione da lui iniziato: perciò al primo comandamento (non avrai altro Dio fuori di me) ne fanno seguito altri nove che ne spiegano il significato in chiave di giustizia sociale: la vera libertà consiste nel rispetto dell’altro e dei suoi diritti. Questi comandamenti non sono semplici proibizioni, ma indicano un campo d’azione i cui contenuti sono lasciati alla ricerca umana. Essi rispecchiano una cultura arcaica (divinità etnica, società patriarcale) ma offrono gli strumenti per superarla. Gesù, secondo Giovanni, si pone sulla stessa linea in quanto sostituisce al tempio materiale il suo corpo risorto, cioè la comunità dei discepoli che mantiene vivo il ricordo di ciò che lui è stato e ha fatto. È questo il culto in spirito e verità di cui Gesù parla alla samaritana. Per i cristiani non ha importanza il luogo in cui si riuniscono ma l’allenamento a quei rapporti di giustizia e di amore che testimonieranno nella vita. Per Paolo Gesù aggrega i suoi discepoli perché è un maestro di sapienza, che indica il senso della vita nella ricerca di quella «felicità» che viene dall’impegno per il bene e per la felicità degli altri.
Io sono un po’ un outsider del gruppo, ma ho avuto una vita giovanile da cattolica.
Centrale mi sembrano le due ultime frasi del commento di A. Sacchi