Avvento B – 3. Domenica
La gioia dell’incontro con Gesù
Il tema della liturgia di questa domenica è quello della gioia. Nella prima lettura entra in scena un personaggio, consacrato con l’unzione regale, il quale è inviato da Dio a portare ai miseri un messaggio gioioso: le ferite dei cuori sono guarite, gli schiavi sono liberati, i prigionieri sono scarcerati e si apre un periodo in cui la misericordia del Signore prevale sul peccato dell’uomo. È un messaggio che riempie di gioia prima di tutto colui che lo annunzia. Si tratta di un progetto che secondo la Bibbia si attuerà pienamente solo un giorno, ma che già fin d’ora ci viene proposto come un ideale a cui tendere.
Nel brano del quarto vangelo si descrive la testimonianza che Giovanni Battista ha dato a Gesù. La sua attività faceva pensare che fosse lui l’inviato di Dio che i giudei aspettavano. Secondo alcuni doveva essere il messia (Cristo), che avrebbe liberato il popolo dalla dominazione romana, oppure un antico profeta, magari Elia, ritornato in vita per preparare il giudizio finale di Dio. Giovanni il Battista nega di essere il Cristo, il profeta, Elia e si qualifica come la voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore. Il suo compito è unicamente quello di preparare la venuta del personaggio che essi aspettavano. Non si lascia montare la testa dal successo della sua opera di predicatore ma con grande umiltà si riserva un compito subordinato, senza potere e onori, quello cioè di annunziare uno più importante di lui, che si trova già fra loro e sta per iniziare la sua opera. In seguito dirà di essere come l’amico dello sposo che partecipa alla sua gioia.
Nella seconda lettura Paolo invita tutti i membri della comunità non solo a pregare, a essere riconoscenti, a valorizzare i doni dello Spirito, a evitare ogni specie di male, ma prima di tutto ad essere veramente gioiosi. Il motivo di questa gioia, accompagnata dalla pace interiore, consiste nel fatto che è ormai vicino il tempo in cui si realizzeranno le promesse di Dio. Paolo aspettava entro breve tempo il ritorno di Gesù, ma la sua esortazione resta valida perché ogni giorno è possibile l’incontro con lui.
L’invito alla gioia, rivolto a persone povere, sfruttate e diseredate, si basa sulla fede in un Dio che è misericordioso e ha un progetto di salvezza che riguarda anzitutto proprio loro. Oggi viviamo in un tempo di benessere e siamo tentati di cercare la gioia nel possesso delle cose materiali. Queste cose però possono dare un piacere momentaneo ma non la vera gioia. Questa si ottiene soltanto se si è disposti a condividere quello che si ha, impegnandosi per la realizzazione di un mondo più giusto e fraterno.
La vera gioia non consiste nel piacere di vedere soddisfatti i propri desideri e neppure semplicemente nel sollievo per uno scampato pericolo o nell’allegria che a volte nasconde una grande tristezza. La gioia non viene dall’esterno ma è una conquista interiore. Essa si trova soprattutto rientrando in se stessi e scoprendo il significato della propria umanità come parte di un’umanità più grande a cui appartengono tutti gli umani.
La gioia vera si nutre mediante la consapevolezza delle nostre potenzialità e dei nostri limiti. Questi ci fanno sentire il bisogno dell’altro e ci aprono al dialogo e alla condivisione: le nostre potenzialità invece diventano carismi, cioè talenti messi al servizio del bene comune. La consapevolezza dei nostri limiti e dei nostri carismi è il presupposto di una vita ricca di rapporti, di amicizia e di comunicazione vicendevole da cui scaturisce una vera esperienza comunitaria. I rapporti affettivi sono fonte di gioia, a patto che ci sia un’igiene mentale che consiste nel saper distinguere il vero amore dal possesso dell’altro. In questo discernimento ci è di guida il principio di fare agli altri quanto si vorrebbe fosse fatto a sé, non solo nelle grandi ma anche nelle piccole cose. Non si è gioiosi da soli ma solo operando insieme per un bene più grande che coinvolge a livelli diversi tutta l’umanità.
Una vita vissuta nella gioia presuppone una grande fede nel futuro dell’umanità. L’attesa del regno di Dio rappresenta l’espressione mitologica della speranza nella quotidiana vittoria del bene sul male, basata sulla certezza che, nonostante tutto, l’umanità è guidata da una forza indefettibile di Bene che chiamiamo Dio, oppure Spirito o Amore. A questa profonda intuizione richiamano continuamente i profeti, tra i quali campeggiano Giovanni Battista e colui che egli ha annunziato, Gesù di Nazaret. A loro si associano tanti altri fratelli e sorelle che lottano e pagano con la vita perché si attui un mondo in cui regna la giustizia vera, che si esprime nel perdono e nella solidarietà.