Tempo Ordinario A – 20. Domenica
Il tema della liturgia di questa domenica è indicato nel brano della prima lettura. Molti dei giudei che erano ritornati dall’esilio, pensavano che la possibilità di avere un rapporto diretto con Dio spettasse soltanto a loro, in quanto membri del popolo eletto, e quindi escludevano dal tempio coloro che non erano di puro sangue ebraico. Ma non si accorgevano che, così facendo, negavano l’amore di Dio per tutta l’umanità e riducevano il loro Dio a una divinità locale, interessata soltanto a coloro che appartenevano al popolo che egli aveva scelto. Il profeta invece va contro corrente e annunzia che la casa di Dio, cioè la salvezza, è disponibile a tutti coloro che erano disposti ad accettare YHWH come loro Dio e a comportarsi secondo la sua volontà.
Per Gesù questo non era sufficiente. Nel suo annunzio del regno di Dio egli si è spinto sempre più in là manifestando la misericordia di Dio alle categorie più povere ed emarginate: le donne, i bambini, gli ammalati, gli indemoniati, i peccatori. Non si può escludere che in questo tragitto egli abbia raggiunto anche i gentili. E difatti il vangelo di oggi presenta Gesù che fa un miracolo, segno di salvezza, per una donna straniera, basandosi unicamente sulla sua fede, senza chiederle di entrare a far parte del popolo di Israele a cui erano state fatte le promesse di Dio. Questo gesto non è piaciuto ai primi cristiani di origine giudaica, per i quali Gesù era il Messia di Israele e ha annunziato la buona novella solo ai giudei. Perciò Matteo gli mette sulla bocca due frasi sconcertanti: egli afferma di essere stato mandato solo alle pecore perdute della casa di Israele e aggiunge che non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Al che la donna fa notare che anche i cagnolini si cibano delle briciole ddi pane che cadono dlla mensa dei loro padroni. La donna dunque riconosce che la salvezza spetta a Israele e non ai gentili e Gesù, in forza di questa fede e in via eccezionale, le concede il miracolo richiesto.
Nella seconda lettura Paolo fa un’affermazione che ci lascia un po’ disorientati. Proprio lui, che si è dedicato interamente all’evangelizzazione dei gentili, afferma di essersi rivolto a essi per suscitare la gelosia dei suoi connazionali e convincerli ad accettare Gesù come il Messia da loro atteso; e aggiunge che anch’essi un giorno si salveranno. Il primo destinatario della salvezza è dunque Israele e i gentili possono ottenere la salvezza solo aggregandosi, mediante Cristo, all’Israele degli ultimi tempi, cioè alla Chiesa.
La posizione originaria di Gesù è diventata oggi più convincente delle interpretazioni che ne hanno dato i primi cristiani. Gesù ha aperto a tutti l’ingresso nel regno di Dio, senza esigere come condizione previa l’appartenenza a Israele o l’ingresso nella chiesa. Con ciò non è tolto valore alla missione. Se il suo vangelo è fonte di salvezza, i suoi discepoli devono farlo conoscere a tutti perché impregni qualunque cultura o religione. Ciò che è importante non è il passaggio da una religione all’altra, ma l’impegno comune di tutti coloro che credono in un mondo migliore.
Fa effetto sentire sulla bocca di Gesù parole come quelle che gli attribuisce questo brano del vangelo di Matteo: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele»; «Non è bene prendere il pane di figli e gettarlo ai cagnolini». È vero che poi Gesù cede alla supplica della donna pagana che gli chiede la guarigione della figlia. Ma è chiaro che lo fa in via eccezionale. In questo i vangeli sono espliciti: Gesù si è rivolto esclusivamente ai suoi connazionali, richiamandoli alla coerenza con la loro fede, mentre la missione ai pagani è stata una scoperta dei suoi discepoli.
Ma allora Gesù non è il salvatore di tutti? Effettivamente sembrerebbe di no, se pensiamo a quanti miliardi di persone non hanno mai sentito parlare di lui. In realtà Gesù non ha mai lasciato intendere che il resto dell’umanità potesse salvarsi unicamente accettando la religione ebraica. E neppure i primi discepoli hanno pensato che tutti dovessero far parte delle loro comunità. Essi si sentivano ebrei a tutti gli effetti, a maggior ragione in quanto discepoli di Gesù. Se i pagani volevano entrare a far parte delle loro comunità, tanto di guadagnato, vista la ritrosia di tanti ebrei nei confronti di Gesù. Ma senza la pretesa che solo così potessero salvarsi.
Il guaio è cominciato quando si è pensato che fuori delle chiesa non ci fosse salvezza. E per colmo di generosità (?) si è cominciato a far pressione perché tutti entrassero nella chiesa. E così si è formato il sacro romano impero, nel quale il cristianesimo era la religione «cattolica», cioè di tutti, per decreto imperiale. Da qui è nato quel proselitismo che papa Francesco ha qualificato come il peccato più grande.
Ma allora Gesù non ha nulla da dire a coloro che per una ragione o per l’altra non sono diventati cristiani? Direi di no. Gesù ha portato valori che per loro natura sono universali: giustizia, solidarietà, amore sono esigenze dell’uomo prima che del cristiano. E allora l’insegnamento e l’esempio di Gesù vanno al di là delle chiese e interpellano tutti. Ma al tempo stesso la chiesa deve lasciarsi interpellare da tutte le conquiste che l’umanità ha fatto e sta facendo in questo campo, anche al di là dei suoi confini.