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Tempo Ordinario A – 11 Domenica

Il popolo eletto: immagine e realtà

Può Dio scegliere un popolo e affidargli dei compiti e dei privilegi? È questo il tema di questa liturgia. Nella prima lettura si dice che Dio ha liberato Israele e lo ha chiamato a diventare il suo popolo: sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. In questo testo si afferma che Dio sceglie Israele su uno sfondo internazionale: «mia è infatti tutta la terra». Inoltre l’identità di Israele è legata a due clausole: «ascoltare la sua voce e custodire l’alleanza». Subito dopo si dirà che Dio si aspetta da questo popolo l’osservanza del decalogo, una legge essenziale, tutta incentrata sulla giustizia e sulla difesa dei diritti umani.

Nel vangelo tutta l’attenzione è ancora puntata su Israele come popolo di Dio. Gesù rivolge il suo messaggio a tutta l’umanità e chiede di pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe. Certamente Dio è il dio di tutti. Ma subito dopo l’evangelista racconta che Gesù sceglie dodici discepoli, che rappresentano le dodici tribù di Israele, e li manda esclusivamente a questo popolo, a cui lui stesso apparteneva. A esso devono annunziare che il regno di Dio è vicino e fare i segni che ne preannunziano la venuta: guarire gli infermi, risuscitare i morti, sanare i lebbrosi, cacciare i demoni: Israele è ancora in primo piano. Dopo la sua risurrezione Gesù invierà i discepoli a tutte le nazioni. Sono loro che porteranno a compimento il progetto un giorno affidato a Israele formando un nuovo popolo eletto, la Chiesa, che diventa testimone dell’amore di Dio per tutta l’umanità. 

Paolo scrive a una comunità cristiana e mette in luce una realtà sbalorditiva: Dio ci ha amato quando eravamo ancora peccatori e per questo ci ha mandato il suo Figlio Gesù per riconciliarci con lui. Chi accetta questa riconciliazione è un piccolo gruppo che forma una comunità. Ma lo scopo, sempre secondo Paolo, è la riconciliazione dell’umanità con Dio in funzione di una riconciliazione tra diverse persone e gruppi umani.

Il concetto di elezione ha comportato nella storia diversi malintesi, in quanto la salvezza è stata riservata ad alcuni escludendone altri. Una simile discriminazione non può essere attribuita a Dio. Intesa in senso corretto, l’elezione significa assunzione di responsabilità da parte di un popolo o di una comunità in funzione di un progetto universale di salvezza. In caso contrario diventa occasione di tensione e di attriti con il resto della società.

Tempo Ordinario B – 14 Domenica

Fede e miracoli

La liturgia di questa domenica contiene una forte denunzia nei confronti di una religiosità basata sulla ricerca di prodigi e miracoli. Nel testo di Ezechiele, riportato nella prima lettura, gli israeliti sono condannati come una genia di ribelli. Il motivo non è detto, ma si tratta soprattutto di quella sottile idolatria che consiste nel ritenersi in diritto di ottenere i favori di Dio a prescindere dal proprio comportamento in campo etico. 

Nel brano del vangelo si dice che i compaesani di Gesù non erano disposti ad accogliere il suo insegnamento perché trovavano un ostacolo («scandalo») nella sua origine, umile e nota a tutti. Di lui infatti sono ben noti la professione di falegname, il nome di sua madre e quello dei suoi fratelli; le sue sorelle poi vivono ancora nel villaggio. Ma il rifiuto dei nazaretani consisteva soprattutto nel fatto che essi, in quanto suoi compaesani, pensavano di avere un particolare diritto ai suoi miracoli. Gesù non accetta tale pretesa: le sue opere prodigiose infatti non solo compiute per soddisfare le attese egoistiche di qualcuno ma per mostrare la potenza guaritrice del regno di Dio accolto con fede. L’atteggiamento dei nazaretani s’inserisce così nel contesto della rottura verificatasi ad un certo punto tra Gesù e gli abitanti della Galilea: costoro, attratti in un primo momento dai suoi miracoli, si sono allontanati ben presto da lui, vedendo che non potevano usufruire a proprio piacimento del suo potere straordinario. Secondo Marco Gesù commenta l’atteggiamento dei suoi compaesani osservando che «un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4). Questo detto riguarda i rapporti del popolo di Israele con gli inviati di Dio (cfr. 2Cr 36,15-16). Nell’atteggiamento dei nazaretani Marco vede dunque adombrato il rifiuto che il giudaismo istituzionale ha opposto a Gesù e al movimento che nascerà da lui. 

Nella seconda lettura Paolo mette in luce come nella sua debolezza si manifesti la potenza di Cristo. Come Gesù anche Paolo, diversamente da quanto si aspettavano i nazaretani, è convinto che Dio si manifesta non mediante grandi realizzazioni umane ma nel dono di sé che si attua nelle situazioni umili e quotidiane della vita.  

Il rischio più grande di ogni persona religiosa è quello di volersi appropriare di Dio e di aspettarsi da lui segni miracolosi. Sia i profeti che Gesù hanno condannato la falsa convinzione di avere Dio dalla propria parte per una sorta di privilegio, a motivo del culto a lui prestato. Dio non si lascia comprare da nessuno, ma è vicino a ognuno di noi per sostenerci nel nostro impegno quoticiano per rendere un po’ migliore il nostro mondo.