Tempo Ordinario A – 14. Domenica
La liturgia di questa domenica mette in luce il tema della mitezza, intesa come non violenza. Nella prima lettura il profeta Zaccaria parla del futuro Messia, cioè del re che, secondo le attese dei giudei, sarà inviato da Dio negli ultimi tempi per instaurare il suo regno. Egli è presentato come un re giusto e umile, cioè mite, non violento. In quanto tale, egli è anche vittorioso nei confronti dei poteri che dominano questo mondo. Entra nella sua città cavalcando un umile asinello. Egli farà scomparire la guerra e instaurerà un’epoca di pace. Il futuro Messia annunzierà un Dio che, secondo il Salmo responsoriale, è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, buono verso tutti, dotato di una tenerezza che si espande su tutte le creature. Solo in forza di questi attributi di Dio l’attesa del suo regno è fonte di speranza.
Il brano del vangelo mostra come l’annunzio profetico sia stato interpretato da Gesù. Egli dice anzitutto che Dio si rivela ai piccoli, cioè ai poveri, agli emarginati, cioè a coloro che non hanno meriti da presentare. Gesù si presenta come colui che rivela questo Dio perché è in un rapporto profondo e personale con lui. Perciò lui solo è capace di dare ristoro a tutti coloro che sono affaticati e oppressi. E invita tutti a imparare da lui, che è mite e umile di cuore: solo così troveranno ristoro per le loro anime. Con queste parole Gesù trasforma radicalmente la nostra immagine di Dio. Dio non è più quello che dà ordini e punisce i trasgressori, ma colui che accoglie tutti e li trasforma con il suo amore.
Nella seconda lettura Paolo afferma che Dio non ci fa violenza esigendo da noi prestazioni che, come creature limitate, non saremo mai capaci di dargli. Dio ci ha dato il suo Spirito in forza del quale non siamo più sotto il dominio della carne. Ciò significa che non tocca a noi diventare buoni e santi. È Dio che ci trasforma nel nostro intimo per mezzo del suo Spirito, che è anche lo Spirito di Gesù.
Queste letture possono dare un grande conforto a chi si trova in situazioni difficili e dolorose. Ma possono generare anche un senso di rifiuto nei confronti di un Dio che non interviene per liberare proprio quei piccoli, poveri e oppressi che sono oggetto del suo amore. Se invece partiamo dalla premessa che Dio è un mistero insondabile, allora si comprende che le letture non ci parlano di Dio ma di noi stessi e ci dicono che la non violenza è l’unico mezzo efficace per attuare un mondo migliore. È un’indicazione di rotta che ci riguarda come individui e come società. Solo mettendoci su questa lunghezza d’onda possiamo incontrare il vero Dio e non il dio che ci siamo creati a nostra immagine e somiglianza.
Nell’antichità la cavalcatura scelta per i propri spostamenti era normalmente anche uno status symbol, come per noi oggi l’automobile. Allora per un re presentarsi sul dorso di un asinello era come oggi per un politico di alto rango far uso di una piccola utilitaria. Chi vuole farsi valere deve necessariamente usare i segni del potere. E l’auto è uno di quelli. Non solo, ma è facile la tentazione, al momento dato, di alzare la voce, mettendo a tacere uno scomodo interlocutore. Esistono tanti modi per affermare il proprio potere, mettendo con le spalle al muro chi ha la sfacciataggine di opporsi o di dissentire.
Gesù ha rifiutato ogni segno del potere e si è presentato come mite e umile di cuore. Questa scelta si manifestava certo nel tono dimesso, nel suo sapersi mescolare con la gente comune, senza rifiutare l’abbraccio, la stretta di mano, la condivisione di un pasto, l’amicizia con i peccatori. Ma è soprattutto nel suo insegnamento che ha manifestato la sua mitezza e la sua umiltà. È stato un maestro che non si è mai seduto in cattedra, non ha fatto prediche e neppure ha enunciato dogmi o regole di comportamento, ma ha scelto come metodo di insegnamento la parabola, la massima sapienziale, il proverbio: un metodo che stimola la riflessione e coinvolge gli ascoltatori in una ricerca personale.
Ma soprattutto la mitezza di Gesù si è manifestata nel saper ascoltare. È questa una disposizione che si trova raramente in coloro che hanno in mano quel grosso potere che si chiama cultura. Per lui la verità non viene dal cielo, ma deve essere estratta dal cuore di ogni persona, anche la più povera e ignorante. Con l’intento non di istruire, ma di stabilire dei rapporti, di creare comunione e fraternità.
Per questo Gesù non ci ha lasciato nulla di scritto ma ci ha fatto dono del suo Spirito che ci trasforma e ci rinnova. I vangeli non sono il riassunto della predicazione di Gesù ma semplicemente raccolte di ricordi, in cui la sua figura è vista attraverso il prisma ottico delle prime comunità cristiane. In essi egli è presente e continua ad interpellarci perché non desistiamo mai dal ricercare il senso della nostra vita.
“Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”.
Penso che la mitezza, ossia la non violenza fisica, ma soprattutto verbale, sia difficile da realizzare pienamente nel quotidiano della nostra vita. È una meta alla quale tendere, un obiettivo utile da porsi, per cercare di evitare azioni, e forse soprattutto parole, tese al sottile e non eclatante, ma reale, prevaricare sull’altro. Non a caso l’esortazione di Gesù mette insieme la mitezza e l’umiltà, cioè la capacità di mettersi nei panni degli altri senza sentirsi un gradino al di sopra e quindi in diritto di imporre modi di vivere e punti di vista.
Don Sirio Politi, primo prete operaio in Italia, fondò il giornalino “LOTTA COME AMORE” che mi arriva ancora online. Lui però purtroppo non c’è più. Essere miti non significa essere sottomessi, ma avere quella tranquillità d’animo, quella forza interiore che sa “imporre” la giustizia, l’uguaglianza, la solidarietà con mitezza. Lotta-come-Amore.
Gesù credo che abbia vissuto così la sua mitezza e noi per riuscirci dobbiamo fare un lungo percorso perché la mitezza a cui Gesù si riferisce non è quella che alcuni hanno per carattere e che spesso maschera l’incapacità di saper vivere il conflitto, ma è l’espressione di una fede matura che ha capito il significato della giustizia e della solidarietà e come sia importante che tutti possano farne esperienza.