Tempo Ordinario A – 13. Domenica
Il tema della liturgia di questa domenica è suggerito dalla prima lettura in cui si parla del profeta e dell’accoglienza che gli è dovuta. Il profeta è l’uomo di Dio che esorta, incoraggia e illumina le menti e i cuori alla ricerca di Dio. Egli tiene desta la speranza in un mondo migliore e aiuta ad anticiparlo nella propria vita e in quella di tutto il popolo. Se denunzia gli errori di chi sbaglia, lo fa non per condannarlo ma per aiutarlo a superare gli ostacoli e a riprendere il cammino. La donna che accoglie Eliseo condivide con lui i valori e gli ideali che egli porta con sé: perciò è piena di devozione nei suoi confronti. Ma non ha figli, è senza futuro. Il profeta, facendole avere un figlio, le apre nuove prospettive, le offre la possibilità di dare un senso alla propria vita.
Nel brano del vangelo sono riportati alcuni detti di Gesù, tratti fuori dal loro contesto originario e qui raccolti come conclusione del «discorso missionario» (Mt 10). Fra essi la liturgia suggerisce di mettere in primo piano quello in cui Gesù afferma che chi accoglie un profeta perché è un profeta avrà la ricompensa del profeta. Alla luce di questo detto si possono interpretare gli altri che fanno parte della raccolta. Il profeta è il discepolo che ama Gesù più di suo padre e di sua madre, che prende la sua croce e lo segue, che è disposto a perdere la propria vita per causa sua. Egli è un giusto proprio perché si fa piccolo, senza pretesa di potere o di onori. Perciò chi accoglie il discepolo di Gesù accoglie lui e con lui il Padre che lo ha mandato; anche solo chi gli darà un bicchiere d’acqua non perderà la sua ricompensa. Ne consegue che chi accoglie un profeta/discepolo di Gesù perché è un profeta avrà la ricompensa del profeta. Ciò significa che una comunità che si rifà a Gesù è tale solo se sa accogliere coloro che hanno il carisma profetico. Se una comunità non accoglie i profeti non può diventare essa stessa profetica e quindi non può essere missionaria, perché la missione consiste nell’aprire gli occhi al futuro di Dio e nell’interpretare i segni dei tempi che egli ha messo sul cammino dell’umanità.
Nella seconda lettura l’apostolo Paolo afferma che, con il battesimo, siamo morti e risuscitati con Cristo. E poi specifica che Cristo è morto al peccato una volta per sempre e ora vive per Dio. Solo diventando un’unica cosa con Gesù possiamo anche noi morire al peccato, cioè combattere contro ogni tipo di ingiustizia e di prevaricazione. Ciò è possibile solo se formiamo una comunità profetica, che annunzia, come ha fatto Gesù, la venuta del regno di Dio.
Una comunità che «uccide» i profeti si appiattisce sul culto, sulle regole morali, sulle gerarchie e sui dogmi fissati una volta per sempre. Così facendo essa non è missionaria e quindi non può pretendere di essere il corpo di Gesù. Solo i profeti infatti danno a una comunità la possibilità di guardare in avanti, di interpretare i segni dei tempi e di annunziare un mondo migliore, basato sulla giustizia e sulla solidarietà.
Certo per un’anziana signora deve essere stato un onore ricevere a casa sua un noto profeta quale era Eliseo. Si può supporre che sia stata per lei una soddisfazione poter cogliere dalla sua bocca alcuni dei suoi messaggi. Ma non poteva immaginare che avrebbe ricevuto in cambio della sua ospitalità la gioia di poter avere un figlio.
Ma chi è un profeta? Certo non è un indovino, e neppure un moralista o un contestatore di professione. Il profeta non è un uomo con gli occhi rivolti al passato, che difende abitudini e schemi ormai consolidati. Potremmo definirlo invece come un uomo che sa guardare in avanti, che sogna un mondo più giusto e fraterno, e sa cogliere nell’oggi ciò che preannunzia e anticipa il futuro: uno che sa leggere i segni dei tempi e scopre in essi le indicazioni per un impegno comunitario e sociale.
Non è fcile accogliere un profeta! Sono troppi i problemi che un personaggio del genere suscita: egli mette in questione interessi, abitudini, gerarchie, onori. Soprattutto egli scuote l’inerzia in cui facilmente una istituzione cade. Ma rifiutare i profeti comporta un progressivo deperimento dell’istituzione stessa, una perdita di significato e di adesioni. Una morte annunziata!
Per noi cristiani un grande profeta è stato Gesù: il suo sogno è stato un mondo nuovo chiamato regno di Dio, del quale ha anticipato la venuta con la sua predicazione e i suoi miracoli. Ma è stato abbandonato dall’istituzione religiosa a cui apparteneva e ha pagato con la vita per aver sfidato da solo un altro regno, quello di Cesare.
La sua voce però ha continuato a farsi sentire mediante coloro che, aderendo a lui, sono diventati anch’essi profeti, hanno condiviso il suo sogno e ne hanno anticipato lungo i secoli la realizzazione. Purtroppo molti di loro hanno fatto come lui l’esperienza del rifiuto proprio da parte della chiesa a cui appartenevano. Ma la loro voce non è stata soppressa, anche quando, come spesso capita, non sono stati riabilitati, neppure dopo la loro morte. Sono loro che hanno indicato anche a noi l’arduo compito della profezia.
Secondo me, è bello e pieno di speranza questo brano del Vangelo. Non è necessario compiere atti eroici e tutti possiamo essere discepoli di Gesù, se sappiamo andare oltre il chiuso recinto dei nostri egoismi con gesti anche piccoli e quotidiani (un bicchiere d’acqua fresca…), ma di reale attenzione all’altro.
Mi fa pena vedere i fedeli che partecipano a una messa dotati di mascherina. Poi mi viene in mente che questa è solo l’espressione figurata della realtà di un popolo imbavagliato e ammutolito. Non da oggi ma da secoli. L’istituzione resiste, la profezia è emarginata o soppressa. La sfida più grande a cui oggi deve rispondere la Chiesa è quella di dare la parola a un popolo imbavagliato. Sarebbe una rivoluzione tale da far esplodere la struttura gerarchica e patriarcale della chiesa. Ma non c’è alternativa. E’ questione di vita o di morte.
Se essere discepoli significa essere pronti a sacrificare totalmente la nostra vita e i nostri affetti, non so quanti di noi lo siano e non so neppure se Gesù ha mai pensato di avere discepoli in questo senso perché nella sua vita terrena, di cui abbiamo alcune notizie, non si è mai considerato una persona con poteri divini. Nella sua attività di predicatore voleva indurre gli uomini del suo tempo a essergli solidale per rendere più vivibile, più giusta la società e la religione che condividevano. E, guardando a Gesù oggi, noi cerchiamo di mettere in evidenza a noi stessi un modo di vita che renda migliore la nostra società. Se aiuto un mio fratello, non lo faccio per essere discepolo di Gesù, ma perché tramite il suo esempio (e quello di tante altre persone che hanno espresso in vita forti disponibilità) ho capito che è giusto fare così e che mi fa anche stare meglio.
Essere profeti poi credo significhi allargare lo sguardo sulle sofferenze, sui problemi di chi abbiamo intorno, vicino ma anche lontano, e leggere con spirito solidale i segni dei tempi cui siamo chiamati a dare risposte. Quindi guardare avanti.
Sono totalmente d’accordo e volevo soltanto dirglielo. E grazie di questo sito.