Tempo di Pasqua A – 6. Domenica
La liturgia di questa domenica, penultima del ciclo pasquale affronta, in vista della festa di Pentecoste, il tema dello Spirito Santo. Nel brano degli Atti degli apostoli scelto come prima lettura si parla di persone che si sono convertite al cristianesimo e sono state battezzate, ma non hanno ancora ricevuto il dono dello Spirito. Perciò Pietro e Giovanni si muovono da Gerusalemme per andare a imporre loro le mani. Con questo racconto Luca vuol dire che è possibile esser battezzati senza aver ancora ricevuto lo Spirito santo. Forse per questo la Chiesa, quando ha ammesso il battesimo dei bambini, ha introdotto un altro sacramento, quello della cresima, che ha lo scopo di conferire al bambino il dono dello Spirito.
Ma in che cosa consiste lo Spirito, come opera in noi? Nel brano di vangelo, Gesù promette di mandare un altro Paraclito, lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Lo Spirito di Gesù è il suo modo di pensare e di agire, che si trasmette al credente e lo guida nell’impegno quotidiano per seguirlo e per imitare il suo esempio. Gesù può comunicare lo Spirito ai suoi discepoli perché è la stessa energia vitale che lui ha colto nel suo rapporto con il Padre. Inteso in questo modo, lo Spirito ci mette in un rapporto strettissimo con Gesù, che a sua volta ci rende partecipi del suo rapporto di amore con il Padre. È lo Spirito che ci pone dei problemi, ci illumina sulle decisioni da prendere, aggrega e unisce il credente a tutti coloro che si impegnano a seguire Gesù. Lo Spirito fa da elemento propulsore, suggerendo sempre nuove strade e facendo emergere ciò che di più intimo ciascuno porta dentro di sé. Il rapporto con lo Spirito inizia quando si scopre che dalla persona di Gesù si sprigiona una forza che corrisponde ai propri desideri più profondi e alle proprie aspirazioni. Solo con l’aiuto dello Spirito possiamo elaborare in modo personale il messaggio di Gesù. Perciò lo Spirito riceve l’appellativo di «paraclito» che a volte viene tradotto «consolatore»: questa traduzione non è sbagliata perché lo Spirito svolge il ruolo di sostegno nei momenti di difficoltà, di delusione e di angoscia. Ma il senso di «paraclito» si avvicina di più a quello di «avvocato difensore». Lo Spirito rappresenta infatti nella nostra vita quella profonda convinzione interiore che difende in noi la persona e l’opera di Gesù, cioè ci rende sicuri che il suo messaggio è «vero»: per questo è chiamato «Spirito di verità».
Nella seconda lettura un autore cristiano che, verso la fine del secolo, scrive a nome dell’apostolo Pietro, ci invita ad adorare Cristo nei nostri cuori, in modo da ottenere la speranza in un mondo nuovo e a batterci perché esso si realizzi. Proprio operando per un mondo migliore possiamo rendere ragione della speranza che è in noi. Chi è entrato in un rapporto personale con Gesù diventa suo testimone. Questa speranza non si testimonia con parole arroganti, tipiche di persone che pensano di avere sempre ragione, ma con rispetto e dolcezza. La violenza, anche solo verbale, è l’antitesi del messaggio di Gesù.
La pratica del battesimo dei bambini, nonostante il successivo sacramento della cresima, ha fatto sì che esistessero persone che, pur essendo state battezzate, ma non hanno avuto l’esperienza dello Spirito. Per loro l’essere cristiani consiste essenzialmente nella pratica di alcuni riti cristiani, come la Messa domenicale, nell’accettazione di alcuni dogmi o comandamenti etici e nella sottomissione all’autorità gerarchica. È chiaro che in un cristianesimo vissuto in questo modo lo Spirito Santo è assente, è uno sconosciuto. Oggi si sente sempre più la necessità di una vera «spiritualità». Ma lo Spirito si può scoprire nella misura in cui si riserva un tempo per leggere, meditare, riflettere e soprattutto ci si rende disponibili a un’autentica esperienza comunitaria.
Gesù era stato un personaggio ispirato che, come capita agli artisti, sapeva cogliere quell’energia vitale che aggrega e muove umani, animali e cose, conferendo loro armonia e ordine. E aveva espresso questo Spirito divino mediante la sua capacità di stabilire rapporti, di guarire le più svariate malattie, di perdonare e amare persino gli scarti di questo mondo. Così facendo aveva dimostrato che chi possiede questo Spirito può anche fare miracoli.
Se Pietro e Giovanni hanno deciso di fare una camminata fino in Samaria non era certo per controllare l’attività di Filippo. Questi infatti era un semplice diacono, ma aveva dimostrato di essere un buon predicatore e aveva attirato tanta gente a Gesù. Ma i due apostoli sapevano che lo Spirito non si scomoda una volta per tutte ma scende a più riprese: ed essi, che per primi avevano ricevuto lo Spirito di Gesù, erano convinti di poterne comunicare una dose supplementare a questi primi cristiani.
Ma come si comunica lo Spirito di Gesù? Non certo come un fluido che viene travasato da un contenitore all’altro. Lo Spirito non opera nel vuoto, ma è una forza che risveglia quell’energia vitale che già è presente nel DNA di ogni essere umano: esso si comunica attraverso l’esempio che smuove e attiva ciò che forse era assopito e inerte. È un soffio di vento che, come diceva Gesù a Nicodemo, provoca una rinascita. Infatti un essere umano nasce veramente non quando il suo corpo animato viene alla luce, ma quando in lui si risveglia lo spirito che lo rende capace di amare e di donarsi.
In quanto artefice di relazione, lo Spirito non è un possesso privato ma una forza che si comunica da persona a persona, creando un tessuto connettivo che fa di persone diverse un unico corpo. Solo lo Spirito è capace di creare libertà nel rapporto e unità nella diversità. E soprattutto spinge coloro che sono da lui «ispirati» a sperare e lottare per un mondo migliore. Se ciò non capita, significa che, per usare una metafora di Paolo, i battezzati hanno lasciato spegnere lo Spirito che era in loro.
Sento lo Spirito come una dimensione del mio essere, non come qualcosa che, con suoi specifici attributi, mi arriva dall’esterno e mi “consola”… Lo spirito cresce o soffoca dentro di me a seconda di come io stessa tratto il mio mondo interiore, come l’ascolto e quanta attenzione gli dedico. Si parla di “spirito” all’interno di una religione, ma per me religione e spiritualità non sono termini facilmente accostabili. La religione istituzionalizzata è sempre più povera di spirito; la spiritualità è quella forza libera, quell’energia che unisce gli uomini tra loro e anche con la terra e l’universo intero e suscita in noi l’anelito verso il Mistero.
Gesù in questo percorso mi è compagno, continuo riferimento per tutto quello che ha fatto e pensato in vita, non perché “divinizzato”. E’ alla comprensione della sua azione e del suo pensiero che la spiritualità, nella sua libera ricerca, si nutre. E Gesù, anche per gli studi sempre più avvincenti che emergono, non abbiamo mai finito di conoscerlo.