Tempo Ordinario C – 14. Domenica
Cristianizzazione o evangelizzazione?
In questa domenica la liturgia ci invita a riflettere sul tema della missione. Nella prima lettura, ricavata dalla terza parte del libro di Isaia, si descrive la Gerusalemme degli ultimi tempi, nella quale scorre la pace come un fiume, fonte di gioia e di benessere. È questa un’immagine per indicare la società ideale verso la cui realizzazione tende il piano di Dio nella storia. Dopo l’esilio babilonese i profeti invitano i giudei non solo a orientarsi verso questo ideale ma anche a proporlo alle altre nazioni, diventando così un punto di riferimento per tutta l’umanità.
Nel brano del vangelo, Luca, che aveva già narrato l’invio in missione dei Dodici, riprende una tradizione parallela per raccontare l’invio di altri settantadue discepoli: essi rappresentano tutti i futuri missionari, anzi, tutti i discepoli di Gesù, cioè i cristiani. Il loro compito è quello di annunziare la venuta del regno di Dio e manifestarne la natura mediante un comportamento veramente alternativo rispetto ai valori correnti nella società. Essi dovranno essere come agnelli in mezzo ai lupi, cioè portatori di pace e araldi della non violenza. Non dovranno portare né borsa, né sacca, né sandali per mostrare che il regno di Dio non consiste nell’avere di più ma in una solidarietà vera. Infine dovranno guarire i malati perché la salute del corpo e dello spirito è la condizione primaria perché una società sia più giusta e fraterna. Il brano termina con il ritorno dei missionari i quali sono pieni di gioia perché anche i demoni si sottomettono a loro. Gesù commenta dicendo di aver visto satana cadere dal cielo come una folgore: è questa un’immagine con cui si esprime l’efficacia della predicazione del Vangelo. Ma per Gesù è più importante il fatto che i loro nomi sono scritti nei cieli, cioè la soddisfazione e la gioia di essere loro stessi già partecipi fin d’ora del regno di Dio che annunziano.
Nella seconda lettura Paolo fa un’affermazione che per quei tempi era veramente rivoluzionaria: ciò che conta non è la circoncisione o la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. Per gli ebrei la circoncisione era importante come segno dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Per Paolo ciò non è essenziale. Quello a cui deve tendere il credente è un rapporto nuovo con Dio e con i fratelli in vista di un mondo migliore.
Alla luce di queste letture dobbiamo imparare a distinguere tra evangelizzazione e cristianizzazione. Questa consiste nell’imporre i riti, i comandamenti morali o i dogmi della Chiesa come gli unici strumenti di salvezza. L’evangelizzazione invece è l’annunzio di un mondo nuovo in cui prevale la giustizia, la solidarietà e la pace. Essere cristiani vuol dire credere che questo nuovo mondo sia a portata di mano e che sia possibile anticiparlo nell’oggi mediante rapporti nuovi in cui prevale la giustizia e la fraternità. Evangelizzare non significa invitare a entrare nella Chiesa per ottenere la salvezza in questa o nell’altra vita, ma piuttosto operare nella e con la comunità dei credenti per rendere questa umanità più umana.
I settantadue discepoli che Gesù manda in missione sono chiaramente un gruppo di utopisti. Ma è lui il primo utopista. Come tutti gli utopisti, Gesù non solo ha un’idea fissa, ma ritiene di dover spendere per essa la sua vita. Questa idea è quella dell’imminente venuta del regno di Dio. Chiaramente si tratta di un diverso assetto sociale, nel quale prevale non l’interesse personale o di gruppo ma il bene di tutti, in un contesto di giustizia e di solidarietà. Siccome questo regno appartiene a Dio, sarà lui a realizzarlo. Quindi a noi non resta altro che aspettarne la realizzazione. Ma in quanto autentico utopista, Gesù non si accontenta di aspettare, ma si mette in moto lui stesso, se non per realizzare questo regno almeno per porne le premesse, per manifestarne i germi nella società del suo tempo. Per fare ciò anzitutto ne parla con grande convinzione ed entusiasmo; poi ne tira le conseguenze, mettendo in questione lo status quo, dominato da interessi di parte; infine si prende cura dei malati, specialmente di quelli afflitti da gravi malattie mentali, considerati come indemoniati. Le sue parole e i suoi gesti suscitano in chi lo ascolta un interesse che si trasforma in speranza e in energia vitale. Si forma così un gruppo di discepoli cui affida un compito impegnativo, quello di mettersi in cammino per fare essi stessi quello che lui stava facendo: annunziare la venuta del regno di Dio, contestare con il loro modo di vivere una società basata sull’egoismo, guarire i malati. Chi viene a contatto con loro deve sentire che la vita vera si rispecchia in loro e non in quelli che conducono un’esistenza grigia, fatta di inerzia e di compromessi. Essi dovranno essere dei veri utopisti perché non si lasciano bloccare dallo status quo, dagli ostacoli, dai rifiuti. Dovranno saper guardare in faccia la realtà, ma senza lasciar spegnere il loro ideale scambiandolo per un’inutile illusione. Anche noi oggi abbiamo bisogno di simili utopisti, disposti a non smettere di lottare per un mondo migliore, nonostante tutti i segnali che sembrano negarlo. Se questi vengono a mancare, si preannunzia un futuro molto triste e rischioso.