Tempo di Quaresima B – 1. Domenica
Nella prima domenica di Quaresima la liturgia propone una riflessione sul tema del deserto. Nella prima lettura però non si parla di deserto ma dell’alleanza che dopo il diluvio Dio stabilisce non solo con Noè ma anche con tutti gli animali, le piante e il cosmo intero, con la promessa che la terra non sarà più devastata da un cataclisma del genere. Questa visione idilliaca di un mondo rinnovato fa da sfondo a quella del deserto, simbolo di aridità e di maledizione.
Nel vangelo si racconta che Gesù, prima di iniziare la sua predicazione, si ritira nel deserto dove è sottoposto alla tentazione di satana. Diversamente da Matteo e da Luca, Marco non dice in che cosa sia consistita questa tentazione. Si limita a dire che questa prova è durata quaranta giorni. Questo numero richiama quello dei quarant’anni trascorsi dagli israeliti nel deserto prima di giungere alla terra promessa. In questo periodo spesso si sono scoraggiati, si sono lamentati, hanno rimpianto l’Egitto e i vantaggi di stare in una terra coltivata, che dava i suoi frutti, mentre nel deserto c’erano solo siccità e bestie selvatiche.Possiamo immaginare che la tentazione di Gesù sia stata la stessa, quella cioè di tornare indietro, di non accettare la sfida dei poteri forti della società. In realtà con questa sfida Gesù si è confrontato durante tutto il tempo della sua predicazione. Nel deserto Gesù non fa nulla di speciale, ma abita con le fiere selvatiche: è questo un simbolo della pace universale che lui è venuto a portare. La presenza degli angeli indica che Dio non abbandona il suo eletto. Solo dopo essere stato nel deserto Gesù inizia la sua missione, che consiste nell’annunziare la venuta del regno di Dio.
Nella seconda lettura, tratta da una lettera attribuita a Pietro, si parla di un viaggio simbolico fatto da Gesù nel regno dei defunti per annunziare la salvezza anche a coloro che erano morti nel diluvio. Nelle acque del diluvio l’autore vede, con un po’ di fantasia, una prefigurazione del battesimo in quanto purificazione dei cuori in vista della salvezza. Forse con l’idea di un incontro con l’umanità che lo aveva preceduto, l’evangelista vuole sottolineare come il messaggio di Gesù non abbia limiti di spazio e di tempo ma sia stato messo a disposizione di tutti, fin dall’inizio della storia umana.
Anche noi, pur vivendo in una città in mezzo alla gente, facciamo spesso l’esperienza del deserto. È il deserto della solitudine, dell’insuccesso, della depressione. È un’esperienza che a volte sembra tagliarci le gambe perché mette a nudo la nostra incapacità di vivere in un altro modo, di trasformare questo mondo, di contrastare tutti gli interessi che muovono le persone, noi compresi. Sono momenti dolorosi, che però ci fanno comprendere che non tocca a noi realizzare il regno di Dio; a noi spetta unicamente il compito di scoprire i segni che ne indicano l’approssimarsi e orientare verso di esso i nostri pensieri e le nostre scelte.
Raramente un vero leader ci aveva pensato prima. Senza volerlo si è trovato coinvolto in una situazione difficile e ha preso posizione. Allora sono cominciati i guai: invidie, falsi amici, bastoni tra le ruote. E poi la tentazione mai del tutto superata di prendere la scorciatoia del potere. Con la scenetta simbolica descritta all’inizio del suo vangelo, Marco ha voluto dirci che anche per Gesù è stato così. Si era recato da Giovanni e aveva ricevuto il suo battesimo. Poi basta: la famiglia e il lavoro lo aspettavano. Ma proprio allora, racconta Marco con un po’ di ironia, lo Spirito lo ha scaraventato nel deserto.
Che cosa ha pensato Gesù in quel luogo desolato è facile immaginarlo: il deserto, luogo della nascita e della rinascita del suo popolo, gli animali selvatici rappacificati, gli angeli segno della presenza di Dio, il potere diabolico di Roma da combattere e il regno di Dio da annunziare. Ma come? Con le armi della violenza o con quelle dell’amore? In ogni caso con il rischio di soccombere. Per chi non si sottometteva l’alternativa di Roma era la croce. Una sfida che Gesù ha colto quando, lasciato il deserto, ha cominciato ad annunziare: «Il regno di Dio è vicino! Credete a questa buona notizia!».
Anche a noi è capitato almeno una volta in vita di essere scaraventati nel deserto di una situazione inattesa, magari drammatica, di fronte alla quale ci sentivamo impreparati. E forse proprio allora siamo stati costretti a prendere decisioni difficili e pericolose. Fortunati noi se abbiamo capito che proprio il nostro limite era la nostra forza perché ci rendeva capaci di stringere ogni mano che ci veniva tesa.
Lo stesso discorso vale anche per le nazioni: la patria, gli interessi nazionali, il respingimento dei migranti, le spese per la difesa… Nulla di tutto ciò può garantire la sicurezza e il progresso. Bisogna investire nelle persone, nella loro formazione, nell’accoglienza, in una politica a tutto campo che faccia superare le tensioni e crei rapporti. Vincendo ogni giorno la tentazione del potere.
Il deserto è un’immagine ambigua, che può esprimere una profonda crisi ma anche un’opportunità. Il deserto non si cerca. Gesù stesso è stato scaraventato nel deserto e ha fatto l’esperienza della solitudine e dell’angoscia. Per lui non si tratta di un momento transitorio, ma di una situazione in cui si è trovato durante tutto il suo ministero e si è conclusa con la morte in croce. Marco non dice qual è stato l’oggetto della crisi, ma il numero simbolico dei quaranta giorni rimanda all’esperienza degli israeliti nel deserto, quando invece di guardare in avanti hanno rimpianto le cipolle d’Egitto. Gesù invece ha superato la prova perché aveva in mente il regno di Dio che doveva annunziare, come ha fatto subito dopo. E proprio questo regno di Dio significa, come dice la prima lettura e il racconto stesso di Gesù nel deserto, una riconciliazione di tutto l’universo: a questo egli ha pensato e per questo ha pregato. L’immagine di Gesù che scende agli inferi per predicare potrebbe significare che l’annunzio evangelico ha operato nell’umanità anche prima della sua nascita. Anche noi non vorremmo mai andare nel deserto ma vi siamo scaraventati dalle situazioni della vita. Ma proprio il deserto può diventare un’opportunità favorevole per rientrare in noi stessi, per far emergere il nostro vero io: è questo l’unico mezzo e per liberarci da noi stessi e per ricercare un bene più grande, che riguarda non solo il nostro piccolo ambiente ma quello più grande dell’umanità.
Non sono tanto d’accordo sull’approssimarsi del regno di Dio: mi sembra che nel corso della storia giustizia e ingiustizia, violenza e non violenza, bene e male, se vogliamo, continuino purtroppo a bilanciarsi e a convivere. Penso però che ognuno di noi possa portare il proprio contributo a questo sogno del Regno di Dio: è un contributo minimo, meno di una goccia nell’oceano, ma fare quel che possiamo dà un senso, penso, al nostro vivere su questa terra.