Cristo Re A
Il tema di questa celebrazione liturgica è quello del giudizio finale. Nella prima lettura Dio è presentato come giudice in quanto pastore del gregge. Questa immagine contiene una forte protesta contro i capi di Israele, immaginati come pastori che hanno portato il gregge alla rovina. Perciò Dio interviene mettendosi lui stesso a capo del gregge. Egli svolge il compito di giudice perché è il pastore del gregge ed è interessato unicamente al bene delle sue pecore.
Nella parabola del vangelo viene presentata l’immagine del giudizio, nel quale è Gesù che svolge il ruolo di pastore e di giudice.La scena riguarda gli ultimi tempi. Allora Gesù separerà i buoni dai cattivi. I buoni sono coloro che, a qualunque nazione o religione appartengano, hanno avuto misericordia per gli affamati, gli assetati, gli stranieri, i poveri, i malati, i prigionieri. In tutti costoro essi, pur senza conoscerlo, l’hanno incontrato. La fine dei tempi, come la fine di ciascuno, è un buon punto di osservazione per valutare la situazione presente. Quando ormai tutto sta per essere perso, si capisce che l’unica cosa importante è la misericordia e l’amore fraterno verso i poveri e i bisognosi. In questo consiste la salvezza di una persona e di tutta la società. Ma che cosa Gesù si aspettava da quelli che così l’hanno incontrato? La parabola suggerisce alcuni verbi: dar da mangiare, accogliere, vestire, visitare. Indicano opere di misericordia rivolti alla persona in quanto tale. Questo aspetto è molto importante, perché l’amore non si nutre di belle parole ma di rapporti personali che coinvolgono tutta la persona, anima e corpo.
Anche nella seconda lettura Gesù viene immaginato come un re che ha ottenuto il trono, ma deve ancora vincere del tutto le potenze nemiche, prima di consegnare il regno al Padre. Questa immagine mette in luce un aspetto complementare a quello segnalato nel vangelo: l’amore per gli ultimi non è vero e adeguato se non mette in questione i poteri che determinano miseria e sfruttamento di una parte così grande di popolazione.
L’incontro con Gesù è determinante per la salvezza di tutti. Ma questo incontro non avviene semplicemente all’interno di una comunità. Gesù infatti è presente nei poveri e nei diseredati, nei quali ciascuno può incontrarlo, anche senza una specifica vita religiosa. Oggi si sente la necessità di eliminare le cause del disagio sociale: la ineguale distribuzione dei beni, le carceri sovraffollate, la crisi del mondo giovanile, il commercio internazionale, la vendita di armi. Ciò è molto importante, ma il nemico da sconfiggere è prima di tutto dentro di noi e si sconfigge solo condividendo la sorte degli ultimi di questo mondo.
È difficile dire se gli apocalittici, a cui si ispiravano sia Gesù che Paolo, pensavano veramente che Dio un giorno avrebbe risolto in un grande giudizio tutti i problemi che affliggevano l’umanità. Per loro la riflessione sulla conclusione della storia umana era solo un mezzo per riportare l’attenzione sull’oggi. In realtà, se esiste un Dio che ama l’umanità, non può riservare solo a un lontano futuro il suo intervento in favore dei suoi figli. E Gesù stesso, parlando del giudizio finale, voleva certamente riferirsi a quella separazione tra buoni e cattivi che si verifica già oggi tra chi ha saputo dare un senso alla propria vita e chi invece è precipitato nel baratro del non senso.
Ma è proprio vero che, consapevolmente o no, noi ci salviamo solo se sappiamo vedere Cristo negli sventurati di questo mondo? Certo per persone che lo avevano conosciuto e amato in vita, era suggestivo vederlo ancora presente in coloro a cui lui aveva dedicato tutto se stesso. Per noi che viviamo a distanza di secoli, è forse più significativo vedere in lui il maestro che ci guida con il suo esempio e la sua parola all’amore per questa umanità, fatta di ricchi e poveri, miti e violenti, innocenti e colpevoli, sani e malati. È la solidarietà con questa umanità di cui siamo parte che ci spinge a cercare in Gesù luce e ispirazione.
Certo egli ci insegna, come hanno fatto tesoro tanti dei suoi seguaci, che il vero amore comincia con l’attenzione alla singola persona, con l’empatia nei suoi confronti, con una presenza attiva che aiuta e consola. Ma Gesù è stato non solo un buon samaritano, ma anche un leader che ha lottato fino alla morte contro il potere costituito per attuare una società più giusta e solidale. Per questo lo hanno considerato come il Messia, cioè un re giusto e salvatore. Con noi e per mezzo nostro egli vuole combattere ancora oggi contro le potenze, cioè contro le strutture ingiuste che dominano il mondo. E lo fa insegnandoci a vincere la morte, cioè facendoci superare quella paura di perdere noi stessi che spesso ci fa ritrarre e rinchiudere nel nostro io. Ma noi potremo seguirlo su questa strada solo se operiamo in rete, mostrando con il nostro esempio che una società alternativa è possibile.
Accogliendo la “supplica ” di Sandro ad aggiungere qualche commento alla sua sintesi della videoconferenza di giovedì sera ricordo di aver manifestato perplessità (per usare un eufemismo) sulla introduzione nella liturgia della festa di Cristo re, da parte del Papa “regnante” nel 1925 per contrastare l’espandersi dell’ateismo comunista in quegli anni.
Ritengo che si sia in tal modo fatto un uso politico della religione, in perfetta continuità peraltro con quanto avvenne nel 325, con la convocazione del Concilio di Nicea da parte dell’imperatore Costantino per condannare l’eresia di Ario : la commistione tra sacro e profano, che ha connotato tutti i secoli successivi con tragiche conseguenze, persiste.
Possiamo ancora sopportarla senza reagire ? E come ?
Ho anche manifestato i miei dubbi sul giudizio finale come ci viene raccontato nel vangelo di Matteo, l’unico che ne parla ed in quei termini tanto in contrasto con la giustizia di Dio come misericordia, che Gesù ha proclamato e praticato.
Oggi anche in ambito laico come giustizia non si considera più solo quella retributiva, ma si afferma quella riparativa (art. 27 della Costituzione)
Come possiamo supportare questa diversa concezione della giustizia e contrbuire a praticarla?
Papa Francesco ha deciso e annunciato di celebrare la prossima giornata della gioventù nel mondo (a Lisbona da Panama) proprio nella festa di Cristo Re. Mi sembra un chiaro segno.
Nel libro di paolo ricca sulla creazione commentando Isaia 11 dà un interpretazione della regalità molto paradossale e proprio per questo secondo me utile e persuasiva
Quale?
Sintesi della videoconferenza
Nell’antichità il re era considerato come il pastore e anche come il giudice del suo popolo e al tempo stesso come il (rappresentante di) Dio in terra. Nelle letture di questa domenica Dio è presentato come il pastore-re che ha cura di tutti i suoi sudditi (le pecore)(prima lettura); nella seconda lettura invece Gesù, in quanto suo rappresentante, è il re che un giorno consegnerà il regno a Dio; nella parabola del vangelo Gesù si presenta nuovamente come il re e giudice degli ultimi tempi. In queste letture si sovrappongono immagini di carattere mitologico, rivolte sia al passato che al futuro. Gesù è il re e al tempo stesso il giudice che alla fine premia o castiga a seconda di quello che tutti gli esseri umani hanno fatto a lui presente nei più piccoli dei suoi fratelli: in costoro essi lo hanno incontrato, anche se non lo sapevano. Quello che conta non sono dunque i riti o i dogmi delle diverse religioni ma l’amore del prossimo. Il rapporto esplicito con Cristo non è dunque necessario, ma l’esperienza personale sottolinea come esso sia utile perché aiuta a cogliere i veri valori ed è fonte di una forte motivazione che spinge all’azione (grazia). Ciò presuppone però che questo incontro avvenga all’interno di una comunità in cui la fede comune diventa sorgente di scambio, di affetti e di esperienze, al servizio però di tutta la società. Se ciò avviene, si può dire metaforicamente che Gesù «regna» nella comunità e in essa lotta contro le strutture negative che dominano il mondo (potere, soldi, successo ecc.). Quindi accogliere Gesù nei più piccoli (vangelo) non vuol dire semplicemente fare opere di carità ma impegnarsi anche socialmente per cambiare le strutture ingiuste che provocano emarginazione, povertà e sfruttamento. Lo scopo finale è che Dio sia tutto in tutti. Ma già ora Dio si manifesta nell’uomo e lo si incontra solo battendosi per una vera fraternità nella Chiesa e nel mondo.
in che senso dobbiamo festeggiare Cristo Re?
In Ezechiele l’uomo diventa partecipe della sua stessa liberazione; nella lettera ai Corinzi Gesù, che ha ricevuto poteri da Dio,deve essere a lui sottomesso … che cosa si intende per Re?
In Matteo il richiamo è più esplicito: il Figlio dell’uomo si siederà sul trono glorioso per giudicare e dividerà i buoni dai cattivi.
Festeggiare Cristo Re significa allora festeggiare Cristo che ci giudica? e punisce chi non ha visto in lui il povero da soccorrere?
Gesù è presente nei poveri, sottolinea Sandro, ed è in questi che ciascuno può incontrarlo anche senza una specifica vita religiosa.
Parliamo comunque del Gesù divinizzato, perché il Gesù storico indicava naturalmente, seguendo la sua etica, come giusta la strada dell’attenzione all’altro, non però come atto dovuto verso di lui, ma verso l’uomo, verso quell’umanità che lui desiderava rendere migliore, insieme e in mezzo a noi. Uomo tra gli uomini per una trasformazione della storia verso la giustizia e non … la giustificazione, secondo l’ottica della sottomissione e non quella della libertà. La festa di Cristo Re segue l’ottica della giustificazione e la nostra dottrina, a mio giudizio, avrebbe bisogno di una ripassata.
Sono d’accordo con il commento di Sandro, ma ciò che più mi ha colpito in queste tre letture è l’affermazione di Paolo: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte.” Non sappiamo come e quando ciò si realizzerà, né abbiamo le idee più chiare riguardo alla resurrezione dei morti. Eppure la fede battagliera di Paolo si pone come una testimonianza forte e ci aiuta ad avere fiducia al di là di tutti i nostri dubbi.